IT Festival, un lustro di teatro indipendente a Milano

Con un mesetto di ritardo rispetto agli ultimi anni, da venerdì 9 a domenica 11 giugno torna IT Festival. Appuntamento sempre più irrinunciabile, a conclusione della stagione teatrale milanese, come un meritato sorbetto di fine pasto (non a caso c’era anche un limone, nella cartella stampa: giallo come il colore che contraddistingue l’evento, dal fluo al giallo-acido fino al caldo color del sole, a colorare in maniera sempre personalizzata ciascuna delle edizioni) si propone di offrire qualcosa di dolce (aspro quanto basta) a coronare la scorpacciata teatrale, che, a Milano, è quasi sempre assicurata.

Mercoledì 7 e giovedì 8 le porte erano aperte ai soli operatori del settore: cosa abbiamo carpito, da questa prima turnata di ventiminuti teatrali?

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Intanto la cornice: questa quinta edizione si apre al grido di: “Animals for a new era!” e propone la suggestione di animali impossibili ottenuti accorpando specie realmente in estinzione. Un’idea efficace, che, come hanno avuto più volte modo di ripetere Arianna Bianchi e Valentina Falorni di IT Indipend Theatre (l’associazione, “di cui il festival è solo la punta dell’iceberg”, specificano), parla della resistenza, del trasformismo e del meticciato come (unica) possibilità di sopravvivenza in un panorama tanto vivace, quanto competitivo qual è la scena teatrale meneghina. Sei gli animali impossibili for a new era: eppure un éscamotage comunicativo per nulla sfruttato nel batage promozionale.

Ma veniamo al festival. La formula è sempre quella: 84 le compagnie, quest’anno (il mandato resta lo stesso: inclusività e assenza di selezione all’ingresso, così che attori finiti e carichi di esperienze teatrali di un certo spessore si esibiscono a fianco di neo diplomati di qualche accademia o di più o meno assidui frequentatori di corsi non professionali serali), per una maratona che propone la contemporaneità di 6/7 ventiminuti di assaggi teatrali (a volte studi, a volte estratti di spettacoli finiti, magari anche già visti in stagione) poi una decina di minuti per cambiar sala e scenario ed ecco che il gioco ricomincia, come in un’instancabile vorticosa giostra. Basta un soldino per assicurarsi un altro giro; basta un piccolo costo (7,84€ per poter scegliere se assaggiare nella prima o nella seconda fascia oraria e, con poco più di 11€, accesso per l’intera durata della serata) per assicurarsi questa certo singolare esperienza di spettacolo dal vivo, sconosciuta, per lo più, ai non habitués di Fringe Festival.

Ma qual è, il menù? Oltre alle tante opzioni di street food e beverage (perché IT Festival vuol essere anche occasione d’incontro, festa, condivisione e convivialità), a IT è possibile veder teatro di prosa, teatro danza, danza contemporanea, teatro di strada, performance, teatro ragazzi e fruire di tutta una serie di attività, che sabato e domenica, intratterranno il pubblico dei più piccoli accanto alle attività extra. Impossibile spendere una parola per ciascuna delle compagnie, ma, a giudicare dai temi portati in scena (inevitabilmente più appresi dalla lettura delle sinossi, che dall’impossibile visione diretta di un così esorbitante numero di esibizioni), quel che trapela è verso dove si muove il teatro contemporaneo.
Monologhi, per lo più (ed anche le performance, spesso, risentono di questo solipsismo, che non è dettato solo da ragioni di costi), che ci parlano della contemporaneità. “Oggi mancano le grandi storie… quelle che hanno fatto grande il teatro di Shakespeare, ad esempio” commentava uno degli addetti ai lavori, in questi profecional days, appositamente pensati per offrire non solo uno spazio di confronto artistico e critico, ma anche per agevolare un’occasione d’incontro fra chi il teatro lo fa e chi lo compra/produce (e, quella della distribuzione, circuitazione come spesso si ama definirla) è un’altra delle annose questioni che congelano il teatro contemporaneo.

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E la contemporaneità non sembra uscirne poi tanto bene… Una grande attenzione è data alle donne (ma c’è davvero ancora bisogno di auto trattarci come una “specie protetta”, quasi a creare le condizioni per quella diversità, che le pari opportunità vorrebbero, per paradosso, azzerate?), ma anche ad una generazione, che non sembra proprio riuscire a prender congedo da un’adolescenza ad oltranza, su cui scleroticamente si attarda. E poi l’amore: complicato e reso ancor più tale da una società sofisticata e sterilizzata da medium di vario genere e natura; ma non mancano anche i riferimenti ai grandi maestri (figure leggendarie soprattutto della musica, fragili, esistenzialmente, come tutti noi post moderni, ma il cui senso è affidato all’arte), anche nella rivisitazione di qualche drammaturgo classico. E poi la cronaca: il terremoto, una scuola-discount che va a pizzicare la delicata questione della formazione delle nuove generazioni (non solo nozionistica, ma che ha invece molto a che fare col tipo di uomini e donne, chiamati a trainare la storia verso il domani), il mondo dei call center (pur nel post “generazione mille euro”), la malattia mentale, ma poi anche squarci di “follia” (poetica, performativa o utopica) tra graffi d’ironia e bulini onirici. Eppure “Abbiamo fame di una commozione siderale”, questa le battute di uno degli spettacoli, che la dice lunga sulla tonalità affetta del Sitz-im-Leben, in cui, volenti o nolenti, galleggiamo tutti; e  che, come certi spettacoli di strada o certe improbabili e buffe performance, ancora ci restituiscono il gusto, la meraviglia e la poesia del fare teatro e dello stare insieme.
E le due chiacchierate, nei profecional days, a proposito di “Pratiche d’Indipendenza” (con le realtà CLAC Palermo, Ex-Asilo Filangieri, Napoli, ANGELO MAI, Roma, Sale Docks, Venezia e Cavallerizza Irreale, Torino, a confronto con IT Indipendenter Theatre) e “Orizzonti d’Indipendenza” con gli attori Massimiliano Speziani e Marco Cacciola, il giornalista radio Matteo Caccia, Francesca Garolla, dramaturg, l’esperto in comunicazione Matteo Torterolo e Ubi Broki per il collettivo Strasse, in perfetta continuità con la vocazione di un festival, che non è solo proposta, ma anche provocazione e momento di riflessione e confronto (com’è sempre capitato nei talkIT, che tradizionalmente concludono le serate, in un momento di condivisione di birra, suggestioni e domande). Perché questa festa del teatro non sia solo “intrattenimento”, ma anche “trattenimento” (questo, nelle parole di Speziani, il senso del teatro).

Francesca Romana Lino

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marzo, 2024

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