“Maremma a veglia teatro col baratto”: ardito mix fra sharing economy e le usanze di nonno Pompilio

“MAV – Maremma a veglia” è un Festival – uno dei tanti, in cui si declina il teatro estivo.
Messe a maggese le stagioni ufficiali dei cartelloni dei grandi centri, è tutto un pullulare di rassegne – più o meno prestigiose, più o meno conosciute, seguite e ricercate -, che animano i luoghi meno blasonati, ma certo più pittoreschi, vivaci e suggestivi del nostro Bel Paese. Volterra, Castel dei Mondi, Castiglioncello, solo per citarne alcuni… e, da nove anni a questa parte, anche Manciano, in Maremma.

Così ce lo racconta Elena Guerrini, autrice, attrice teatrale e cinematografica, nonché ideatrice e direttrice artistica della rassegna: “Maremma a veglia teatro col baratto è un’usanza antica, ripresa dalle veglie contadine, dove andava mio nonno. Usciva di casa con una seggiolina in mano e una bottiglia d’olio nell’altra e gli chiedevo: “Nonno, dove vai?” e mio nonno Pompilio diceva: “Guarda, vo’ a veglia…”. Questa tradizione, nove anni fa, quando sono venuta a vivere nel paese di mio nonno – a Manciano -, ho provato a recuperarla: ma non mettendo nella veglia i normali cantastorie, che potevano andare una volta al tempo della trebbiatura, ma i nuovi nomi del teatro contemporaneo e di narrazione. Sono passati da qui personaggi come Marco Paolini e Moni Ovadia, fra gli altri”.

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Eccola qui, l’idea: mixare una tradizione antica e radicata nel territorio con un’esigenza di attualizzazione e divulgazione di quella cultura teatrale, che, in fondo, tanto deve ai cantastorie. Di più: meticciare l’antica cultura del baratto – “un’economia di sussistenza e di resistenza”, come l’ha definita Oliviero Ponte Di Pino in un intervento alla radio, in cui si ragionava sulle specificità e sui punti di forza di questo festival – con la sharing economy, che, “complice un po’ la crisi e un po’ gli eccezionali strumenti messi a disposizione dalla rete, sta iniziando a funzionare sempre più a livello globale”. Senza dimenticare la “cultura del dono”. E’ sempre Ponte Di Pino a chiamarla in causa, ricordandone in Malinowski l’antropologo teorizzatore e citando il “kula” – primordiale strumento di scambio rituale fra popolazioni tribali delle isole del Pacifico -, non solo come momento di avvicinamento, ma con in più il precipitato di gettare quelle basi di fiducia reciproca, su cui poi intessere anche rapporti economici e commerciali. E un po’ è anche questo, come ricorda la Guerrini: “All’inizio, i primi anni del Festival, ho cominciato, con un mio lavoro, che è “Orti insorti”, ad andare nei poderi e dire: “Pagatemi coi vostri prodotti”. Io per due anni non ho fatto la spesa” Certo, non è sicuramente questo, il focus, ma forse – è ancora Ponte Di Pino a evidenziarlo – quel “fare comunità”, che è naturale vocazione sia del teatro che della condivisione del cibo. “Quindi ho poi iniziato a coinvolgere in quello che è poi diventato il Festival tantissimi amici attori – prosegue la Guerrini -, che mi chiedevano di quest’esperienza. Gli artisti rimangono molto contenti, addirittura ci chiedono di tornare… sia per la vicinanza col pubblico – perché immagina un teatro dove non ci sono palchi, non ci sono luci, non c’è service, ma c’è la luce che tu trovi nella casa… la metti fuori, metti un tavolino e una sedia e inizi a fare il tuo racconto… Gli artisti hanno questa vicinanza fortissima col pubblico, ma anche questo scambio di prodotti per cui non è l’olio comprato, ma l’olio prodotto dal contadino e il contadino ci tiene a instaurare un dialogo poi con l’artista che c’è stato”. E giustamente si parla di una cultura dell’accoglienza e della cura. Come non pensare all’antica sacralità di tutto ciò, fin dai tempi dei canti omerici? Ma si dice anche di un diverso atteggiamento del pubblico: “Non si tratta di fruire di un prodotto (artistico), ma di condividere un progetto”.

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“Maremma a veglia. Dove l’arte nutre il territorio e il territorio nutre l’arte”, è il sottotitolo della rassegna. “Un teatro vivo, genuino e che nutre”, prosegue la Direttrice Artistica, citando il curioso caso di Andrea Cosentino, che “dei meccanismi della povertà e del teatro povero, benché rivisitato in una chiave anche comica, ha fatto la sua cifra stilistica”, come faceva notare Graziano Graziani, padrone di casa della trasmissione radiofonica. Curioso caso perché Cosentino sarà “il 5 settembre a casa del prete, in genere distante dal teatro”, ma che per quest’occasione: “apre proprio la sua casa, quindi la casa della Canonica, per accogliere le persone con la sedia e già dice: “Va bene durante la Messa dirò alle persone di venire la sera a teatro a casa mia”. “E’ un modo di portare a teatro gente, che naturalmente non ci andrebbe”, commenta la Guerrini – mentre Ponte di Pino chiosa sulla curiosa commistione di ”spazi pubblici “ e “spazi privati”: “E’ interessante notare come in un festival come questo, gli spazi pubblici e gli spazi privati si confondano un po’. Una volta si andava a teatro e si prendevano degli edifici apposta, mentre invece quello che succede in una situazione come questa è che ci sono degli spazi che vengono allestiti per i teatri e altre cose che avvengono negli spazi della quotidianità. Credo che anche questo sia un aspetto da sottolineare”.

Così si scende in pianura – sulle vestigia degli antichi padri, a pascolar le greggi. Già perché, nato nelle abitazioni di Manciano, da un paio d’anni il festival si è spostato anche sulla costa.
Si comincia a Orbetello, dal 3 al 7 settembre, con Cuocolo-Bosetti, Teatri Uniti, il già citato Costantino, la stessa Guerrini e Nada – che si esibirà con un suo recital appositamente scritto per l’occasione -, per poi risalire a Manciano, nell’entroterra maremmano, dal 17 al 20, con Giancarlo Bloise, Abbiati/Capuano, Mau Mau, e Teatro Alkaest, per il gran finale.
Qui programma completo.

Il tema è il cibo – in linea con EXPO -, ma  poi: “Non di solo pane vive l’uomo…”.
Perciò, munitevi di seggiolina e prodotti locali e si va in Maremma: a teatro a veglia col baratto.

Francesca Romana Lino

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marzo, 2024

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