Dialogo con Abani Biswas. Sull’arte, l’origine della Casa del Teatro, Milòn Mèla e i suoi sogni

Abani Biswas [photo: Claudia Roselli]
Abani Biswas [photo: Claudia Roselli]

di Claudia Roselli [roselliclaudia@gmail.com]

È cambiato il tempo a Santiniketan: la mattina qualche nuvola si affaccia nel cielo limpido. È un marzo caldo, le foglie si staccano dolcemente dagli alberi, suonano insieme al vento. Sono tornata alla Theatre House dopo sette anni dalla prima volta che arrivai qua. Avevo seguito le tracce del Teatro delle Sorgenti e, dopo la Polonia, decisi di partire per l’India per il workshop con gli artisti del gruppo Milòn Mèla. Dopo tutti questi anni, la casa dell’arte in mezzo alla campagna bengalese è più silenziosa: solo musica ed i suoni della natura, che in questo luogo sono molto forti. Le notti sono piene di lucciole. Al mattino ed alla sera un sadhu tantrico del Nord-Est dell’India tiene delle lezioni molto energetiche di yoga. Qualcosa è cambiato qua intorno: ho parlato con alcune persone che erano qui anche sette anni fa, le quali hanno cercato di spiegarmi come si sono evolute le cose all’interno del gruppo. Ho ascoltato e poi ho cominciato a pensare, ho letto alcuni testi che Abani mi ha dato e ho capito che l’unico modo per scoprire la verità era cominciare una conversazione con lui. Abani Biswas è il fondatore della Casa del Teatro e il direttore artistico di Milòn Mèla. Ha fatto parte del gruppo di ricerca artistica il Teatro delle Sorgenti, fondato da Jerzy Grotowski in Polonia negli anni settanta.

C.R.: Abani, che cosa è per te la Theatre House?
A.B.: La Theatre House a Santiniketan è un luogo che è nato e cresciuto insieme con l’evoluzione della mia vita. È il luogo degli esercizi, del lavoro pratico, della ricerca. È il luogo delle prove. Mi piace molto preparare il corpo e la voce per la performance. Qua alla Theatre House si fanno le prove di Kalaripayattu, danza Chhau e Gotipua. Da due anni si pratica anche Hatha Yoga. È bello il corpo! Ho cominciato a fare teatro quando avevo circa quindici-sedici anni. Praticavo anche molto sport. Lo sport, poi, era diventato troppo competitivo per me così mi sono dedicato totalmente al teatro.

C.R.: Da quando esiste la Theatre House?
A.B.: L’ho fondata nel 1990. Questo luogo geografico, il Bengala, ha per me un valore particolare. Mi ricordo di quando arrivai in questa parte dell’India, per la prima volta: ero piccolo, avevo sette o otto anni ed ero con mio nonno. Era il 1959, venivo dal Bangladesh e questa regione dell’India è stata come un rifugio. Sono cresciuto qua e a un certo punto ho incontrato Grotowski a un mio spettacolo. Non sapevo niente di lui e neppure del Teatro Povero. In quel periodo lavoravo nel gruppo Living Theatre di Calcutta. Vidi una persona europea, un uomo molto grande e molto alto, entrare nella sala. Si sedette come spettatore davanti a noi. Era con altre persone: Marek, Kaska, Pierre, Riccardo, François, erano venuti per vedere il mio spettacolo.

C.R.: In che posto era questo spettacolo?
A.B.: Era una scuola di periferia di Calcutta, a Khardha esattamente. Quando ero con il Living theatre non capivo bene che cosa significasse fare teatro. Poi quando sono andato con Grotowski in Polonia ho capito meglio anche l’importanza del lavoro nella natura. Alzarsi la mattina e iniziare a lavorare. Stare e fare ricerca nella natura e poi andare a dormire. Diventa come un ritmo ma all’inizio è stato molto difficile. Questo posto l’ho creato io: considero molto importante il training fisico dell’attore e anche il canto. Questo luogo aiuta molto nel lavoro e nella creazione. Inoltre, quando gli artisti vengono dai loro villaggi trovano cibo e possono mangiare. L’intera struttura è autosufficiente: c’è un orto dal quale prendiamo le verdure che cuciniamo. I diversi maestri trovano ospitalità: Master Lal che conosce i Drupad e i Raga del mattino e i musicisti Baul che stanno qua per lunghi periodi.

photo: Claudia Roselli
Il gazebo nel giardino della Casa del Teatro, dove Abani è solito passare molto tempo [photo: Claudia Roselli]

C.R.: Pensi che questo luogo dia delle energie e delle direzioni diverse al lavoro degli artisti?
A.B.: Eh… sì! È evidente! In questo posto è più facile per tutti entrare dentro il lavoro. Questo luogo, come ti ho detto, aiuta nella ricerca. Quello che l’attore, il performer fa non è solo qualcosa di dimostrativo, non è sempre teso alla spettacolarizzazione. Non è fatto solo per essere guardato dalle persone. Il training è qualcosa che l’attore dovrebbe fare per sé stesso, che noi dovremmo fare per noi stessi. Questo è importante nel lavoro: la ricerca delle Sorgenti.

C.R.: Che cosa è cambiato qui con il passare del tempo?
A.B.: Adesso c’è più calma e più tranquillità. Quando lasciai Grotowski era il 1983. Passai del tempo da solo a Volterra, Grotowski era in America. Decisi di continuare la stessa tipologia di lavoro attraverso la ricerca in India. Sarebbe stato troppo complicato per me tornare in India e mettermi a fare l’ingegnere o qualsiasi altro tipo di lavoro. All’inizio fu un periodo molto difficile: stavamo molto in giro, raggiungevamo un posto, preparavano tutto ed il mese successivo tutto finiva. Non c’erano posti dove fermarsi: per fare un lavoro continuativo.

Milòn Mela - la ricerca delle sorgenti a VolterraTeatro 2008 [photo: Simone Pacini]
Milòn Mela – la ricerca delle sorgenti a VolterraTeatro 2008 [photo: Simone Pacini]

C.R.: Sei stato a Volterra nel 1983?
AB: Tra il 1982 ed il 1983 sono stato a Volterra molte volte. Stavo dietro a quell’edificio che ospitava le persone pazze.

C.R.: Il manicomio.
A.B.: Mi ricordo che qualcuno ci chiedeva una radio mentre ci vedeva passare durante i nostri esercizi di walking. Qualche volta un’altra persona ci chiedeva una sigaretta. Qualche volta in mezzo alla notte qualcuno piangeva. Ho molti ricordi di Volterra: le belle colline e la piazza. Tutti i posti dove ho lavorato in Europa hanno in comune la forte presenza della natura: a Brzezinka, in Polonia, a Volterra e a Cenci; dove sono stato a volte per mesi e dove vado ancora da trenta anni. In tutti questi posti c’è un’energia simile. Oggi, nel mondo, le persone sono più preoccupate e la tipologia di sofferenza si è trasformata rispetto agli anni Settanta e Ottanta. Adesso i giovani soffrono di più, sono intelligenti ma soffrono davvero troppo. La canzone che cantiamo la sera con i Baul, Tumi anundo moi, ha un testo che ci ricorda come sia possibile cambiare tutto della propria vita.

C.R.: Che significa precisamente Tumi anundo moi?
A.B.: Gioia, f
elicità… e questa parola è usata con un valore molto alto: nel mondo c’è felicità. Anundo è un’emozione diversa: una sensazione che si può trovare per esempio dentro i raga, cantando una certa melodia. Cantando uno diventa più tranquillo, essere tranquilli è molto importante. Grotowski diceva che il silenzio è importantissimo. Per me sono molto importanti sia la tranquillità che la vista, l’azione del vedere. Osservare in maniera orizzontale: come si fa nell’esercizio mattutino del motion. È molto bello guardare il paesaggio ed ognuno ha il suo e spesso è il paesaggio da dove si è venuti. Essere distaccati, provare meno sofferenza aiuta a vedere e in seguito a raggiungere l’atto della creazione artistica. Prima si lavora per sé stessi, poi con il gruppo. Poi c’è il terzo livello del lavoro, che è quello per gli spettatori, per il pubblico. Però prima è importante concretizzare il lavoro all’interno del gruppo. In questo aiuta abhyasa, ovvero la pratica giornaliera. Questo posto quando l’ho pensato era un luogo per la pratica giornaliera. Abhyasa Yoga, la pratica di ogni giorno. È lavoro, ricerca, incontro con la natura e con il silenzio, ascolto. Ieri Magda leggeva Patanjali. Abbiamo parlato del concetto di dhristis, che è spiegato da Patanjali.

C.R.: Chi è che vede?
A.B.: Grotowski parlava della relazione tra silenzio e visione. Nel silenzio si può vedere, ma trovare il silenzio dentro di noi non è semplice, serve l’atteggiamento giusto. A volte può succedere, dopo tanto lavoro fisico: trovare il silenzio nella stanchezza. Anche tra due pensieri si può trovare il silenzio a volte. Oppure nell’osservazione vera delle cose, questo può avvenire più facilmente nell’osservazione della natura: degli alberi, delle foglie. Nella vita umana possono esserci dei blocchi, degli ostacoli, in sanscrito sono chiamati klesha. I klesha sono blocchi che acquisiamo con la nascita stessa. È la natura della mente umana, del nostro appartenere a questo mondo. Il ciclo della vita è caratterizzato dalla presenza di ostacoli. Entrando nella disciplina di abhyasa yoga, le problematiche diventano meno forti, perdono il loro potere, la loro influenza. In questo momento si comincia a vedere. Questa direzione è quella che mi piace nella Ricerca delle Sorgenti. Mi ricordo che questo succedeva anche a Brzezinka.

Il portico della Casa del Teatro  [photo: Claudia Roselli]
Il portico della Casa del Teatro [photo: Claudia Roselli]

C.R.: Pensi perciò che il training fisico, la ripetizione degli esercizi e l’allenamento di Yoga, di Kalaripayattu o di Chhau e anche la ripetizione di canzoni e melodie sacre, possano in un certo senso allontanare gli ostacoli del quotidiano? Che attraverso la ripetizione di queste pratiche, le persone possano spingere più lontano le emozioni ed i pensieri negativi? Rimuovendoli?
A.B.: Sì, sì, in seguito si comincia a vedere e a creare.

C.R.: In uno stato mentale diverso.
A.B.: Sì, di un livello superiore. Molte persone mi hanno aiutato nella continuazione della mia ricerca in questi anni, Grotowski amava circondarsi anche di gente molto spirituale.

C.R.: Che cosa vorresti per la tua ricerca? E per questo posto?
A.B.: Io sono coinvolto nel teatro da tanto tempo. Incontrai Grotowski otto anni dopo il mio inizio con il teatro, ho poi incontrato anche altri personaggi del teatro. Questo posto è diventato teatro. Noi viviamo nel lavoro di ricerca. Andiamo fuori, facciamo delle performance e poi torniamo di nuovo indietro in questo posto ed è come ricevere energia per la propria vita. Tutti gli artisti, tutti quelli che vengono a lavorare qui, sono maestri. Siamo umani, moriremo: perciò come per i cavalli è meglio morire nella corsa che in un luogo chiuso. Credo questo.

photo: Claudia Roselli
La sala del lavoro alla Casa del Teatro: i canti della sera con i Baul [photo: Claudia Roselli]

C.R.: Io sono stata in questo posto la prima volta nel dicembre 2005. In questi anni qualcosa è cambiato. Nella ricerca forse? Oppure nel gruppo di artisti e in te? Alcuni maestri di certe discipline sono tornati indietro, nei loro villaggi di origine e artisti più giovani li hanno sostituiti. Tu non puoi lasciare la ricerca perché sei l’anima di questo posto. Il tuo ruolo è il più duro e difficile: le persone possono cambiare intorno a te, ma tu ti senti un riferimento per chi sta qui?
A.B.: Sì.

C.R.: Qualche volta non pensi alla necessità di avere un gruppo che possa andare in una direzione più simile a quella che ha avuto il Teatro delle Sorgenti, come con Grotowski, nel passato? Persone più vicine a te, ma forse i tuoi artisti indiani lo sono già. Tu hai descritto come sia vostra abitudine esercitarvi qui, uscire per presentare le performance e poi tornare di nuovo qua. Tu sei il riferimento. A che punto è il tuo lavoro?
A.B.: Ti spiego: alzarsi la mattina, fare delle cose piccole. Azioni quotidiane, forse camminare un po’ e poi cantare. Il tempo del risveglio è un momento molto importante e delicato. Ti coinvolge molto velocemente e ciò può causare la perdita delle sensazioni sulle verità della mattina. Come quando una nuova luce nasce dal buio, tu che stai dormendo ti svegli e il corpo ricorda e anche la mente. Le persone come noi hanno un ritmo diverso. Per noi il mattino è un momento importante. Cantare i raga la mattina risveglia una sensazione di sukha.

C.R.: Che cosa significa sukha?
A.B: Sukha significa felicità interiore, è una sensazione profonda. Per esempio: sukha, si può raggiungere anche con la ripetizione delle posizioni del maestro di yoga tantrico Viswajit Giri. Ho cominciato solo negli ultimi due anni ad aggiungere al lavoro anche questa nuova direzione dello yoga. Il padre di Viswajit e anche suo nonno erano maestri di yoga. Si sono trasmessi le conoscenze in linea familiare, così come fanno i Baul. Anche i danzatori Chhau: Shudir Khumar era un maestro Chhau. Veniva dalla campagna, prima lavorava nei campi e poi suonava e danzava. Non aveva contraddizioni dentro di lui. Suonare e ballare sono azioni normali, non c’è nessuna separazione interiore. C’è un’altra parola sanscrita usata da Patanjali che significa “ostacolo della mente”, ma questa volta l’ostacolo è individuato come una contraddizione generata da qualcosa che deriva dall’esterno. Ti piace qualcosa, non ti piace qualcosa, ti piace qualcuno, non ti piace. Questo tipo di contraddizione può generare il desiderio di lavorare per risolverla. Il gruppo Milòn Mèla è cambiato, prima c’erano
altre persone ad aiutarmi nell’organizzazione pratica ed anche mio figlio.

photo: Claudia Roselli
La sala del lavoro al mattino [photo: Claudia Roselli]

C.R.: Che cosa è cambiato?
A.B.: Per essere precisi direi che non è un cambiamento ma piuttosto un processo di trasformazione. Sono nella corrente, nel processo trasformativo, direi, nell’essenza. Alcune persone vengono qui per cercare qualcosa ed una volta trovato, se ne vanno. Altre vogliono affinare la loro ricerca. C’è chi vuole diventare un buon cantante, si può esercitare il proprio corpo per avere un corpo atletico e sano. Negli ultimi anni c’è forse più attenzione a questo.

C.R.: Tu sei nel processo di cercare qualcosa per te?
A.B.: Sì. Qualche volta sono nel gruppo senza distinzione dagli altri elementi e qualche volta lo conduco.

C.R.: Hai dei sogni?
A.B.: Ho fatto molti sogni. Molte persone, negli anni, mi hanno chiesto di raccontare loro i miei sogni, ma non l’ho mai fatto. Se vuoi te ne racconto due o tre.

C.R.: Sì.
A.B.: Ho fatto un sogno. Hai visto il cancello di ingresso della Theatre House?

C.R.: Sì.
A.B.: Ecco quello: c’è un albero molto grande e poi c’è il cancello. Una mattina io andai ad aprirlo. Subito sentii dietro di me come il rumore di otto cavalli che correvano al galoppo, il rumore dei loro zoccoli: tac-tac tac-tac tac-tac. Mi spaventai e cominciai a cercare con lo sguardo dove fossero. No, non erano otto cavalli, era solo uno. Lo vidi: era grande e di colori bellissimi, come i colori di un pavone. Bello e di grande energia. Ma subito vidi che aveva una corda al collo: era un cavallo addomesticato che era scappato dalla sua casa. Sono stato molto triste per lui, mi sembrava in pericolo. E quando ho cominciato a pensare che fosse pericoloso per lui essere qui, ho visto una grande esplosione. Un’esplosione come nei film di Hollywood. La corda si è impigliata in un albero, il cavallo ha saltato e tutto è diventato pieno di polvere. Un altro sogno molto importante: ero con un gruppo di persone e facevamo degli esercizi. Riscaldavamo il nostro corpo: esercizi di Kahalaripayattu, facevamo motion. Ad un certo punto un uomo, un folle, è entrato nel nostro spazio di lavoro e ha cominciato a dire ad alta voce: “Questo va molto bene! Questo lavoro va bene! È curativo!”

C.R.: Stai dicendo che una persona è entrata nello spazio utilizzato da voi per fare esercizi? Eravate all’aperto?
A.B.: Sì e improvvisamente ho visto un’ambulanza arrivare dietro di lui. Qualcuno è uscito dall’ambulanza, vestito con abiti bianchi. Ha detto: “Questo vecchio è pazzo! È scappato dall’ospedale.” Come quello che c’era a Volterra: un ospedale psichiatrico. Le persone che lavoravano con me hanno cominciato a protestare e a difenderlo. Dicendo: “No lui non è pazzo!” Hanno protestato e lo hanno difeso, si sono ribellati. È un sogno che ho fatto più di trenta anni fa.

C.R.: Lo hai fatto a Volterra?
A.B.: Si l’ho fatto quando ero in tournée. In questo periodo sogno poco.

Milòn Mela - la ricerca delle sorgenti a VolterraTeatro 2008 [photo: Simone Pacini]
Milòn Mela – la ricerca delle sorgenti a VolterraTeatro 2008 [photo: Simone Pacini]

C.R.: Me ne racconti un altro?
A.B.: C’è un sogno che ho fatto su un serpente. Dormivo in una casetta al secondo piano. Nella mia camera c’era un piccolo buco, di quelli per far defluire l’acqua e da lì è entrato un serpente. Io sono rimasto fermo. Poi dopo qualche istante ho visto che il serpente si è alzato ed è diventato grandissimo. Ho avuto paura per un attimo, sono uscito per andare a prendere un bastone e il serpente è sparito. Era di colori bellissimi.

C.R.: Questo per la Theatre House non è un momento negativo. Sento che c’è una forte trasformazione in corso.
A.B.: Forse è un momento collegato alla luce ed ai colori. Un nuovo bisogno di spiritualità. È cambiato il ritmo.

C.R.: Forse questo cambiamento era necessario.
A.B.: Forse è un momento nel quale le cose hanno bisogno di essere definite in maniera più precisa. La crisi è passata. Forse arriverà qualcosa di positivo. Nel lavoro si incontra tanta gente e questo è molto importante per il suo sviluppo.

Contatti:
Theatre House, Santiniketan, West Bengal
(+91) 9734573439
http://digilander.libero.it/milonmela

Milòn Mela - la ricerca delle sorgenti a VolterraTeatro 2008 [photo: Simone Pacini]
Milòn Mela – la ricerca delle sorgenti a VolterraTeatro 2008 [photo: Simone Pacini]

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