La Verità di Finzi Pasca: dura, dolce e surreale come una mentina del signor Dalì

“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”: è questa frase, che Antoine de Saint-Exupéry mette in bocca al suo “Piccolo Principe”, il pensiero che ci folgora, a fine replica, uscendo da teatro. Lo spettacolo appena visto è “La Verità” della Compagnia Finzi Pasca – in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano fino all’11 gennaio – e, nonostante che non c’entri nulla con quanto appena agitatosi sotto i nostri occhi, come poche altre riesce a sintetizzare il senso di meraviglia, ma anche la precisa consapevolezza di tutto il tenace lavoro fisico, documentale, registico, coreografico, performativo e simbolico dietro a quell’apparente leggerezza, che ci ha tenuto compagnia per due ore buone – stupendo, divertendo, meravigliando ed emozionandoci.

La Verità_imbonitore

Già perché quello che vedono bene gli occhi di tutti, in questo spettacolo, sono il garbo, la poesia, il gioco onirico, ironico, intelligente e surreale con cui ci viene porto questo moderno circo. Perché la scarna drammaturgia questo ci racconta, in fondo: un raffinato e prezioso esercizio circense, che, complice il pretesto del fondale di Dalì da vendere all’asta – il ricavato servirà per costruire una casa di riposo per “artisti circensi decrepiti”, recita l’imbonitore in scena -, di fatto si rivela la ghiotta occasione non solo per raccontarci qualche brevissimo aneddoto sull’autentico telo stesso o su alcune stramberie biografiche del suo reale fautore, ma anche per spalancarci lo sguardo su numeri di abilità ispirati alla poetica del pittore surrealista. Così riecheggiano il suo ipercubo – arrotondato in un’abnorme basculante macchina scenica -, le sue ipnotiche spirali di dna – adattate, anch’esse, a volteggianti scalette sospese su cui abilissimi performer s’involvono in giochi spiroidali – e gli altri simboli del suo estro poetico – dal cavallo imbizzarrito con gli occhi senza fondo, agli allusivi soffioni; dal rinoceronte, il cui corno testimonia la geometria divina, fino all’indeterminatezza di genere o all’ antirealismo iperbolico, di cui si fregiò il surrealismo. E ritroviamo i simboli della sua terra ispanica: dalla classicissima corrida con un toro/carretto, che curiosamente richiama quello conficcato nelle spalle del Tristano protagonista della tela – così come alla tela rimandano quelle stampelle rosse, su cui piroetta e volteggia il matador, presago, forse, già della sua sorte – ai giochi dei fanciulli di quegli anni – spesso vestiti alla marinara ed intenti in hula hoop, pattini o altri trastulli simili, che qui, invece, diventano occasioni per mostrare numeri di bravura. Una cavalcata surreale e sconclusionata, che proprio come nel circo di un immenso luna park, ci trascina dallo stupefacente numero di contorsionismo, alle eccessive e volutamente bisbetiche ballerine in candide piume di struzzo o in rutilanti abiti da can can. E ci porta dalle ipnotiche acrobazie di trapezisti raffinati e dalla leggerezza angelica agli stupefacenti virtuosismi di giocolerie, che – come sovente capita nel circo – poi finiscono col mescolarsi con la loro parodia, fatta da clown esagerati. Un susseguirsi quasi senza senso, se non quello dello stupire e meravigliare, nella fascinazione di un tempo fuori da ogni dimensione. Forse solo un fantastico Dalì-word, in cui anche le androgine ballerine si mascherano da tanti piccoli Salvador Dalì: spaventosi e grotteschi. E che dire della grazia dell’esile ma tecnicamente perfetta marionnette à figure? Una verosimiglianza dalla credibilità assoluta e struggente, una silhouette dalla verità meravigliosa e disarmante al punto che saranno poi le delicate ballerine reali a trasformarsi in lei. E tutto trascolora: realtà e fantasia, ruoli, generi, identità, luoghi comuni, pregiudizi ed edulcorate romanticherie. Resta solo la verità: dura, dolce e struggente come quelle caramelle alla menta nascoste sotto agli alberi, da un padre amorevole, per invogliare la figlioletta a camminar nel bosco; e poi sputata via – come un rospo – perchè “La Verità è tutto ciò che abbiamo sognato, ciò che abbiamo vissuto, ciò che abbiamo inventato, tutto quello che fa parte della nostra memoria”.

La Verità_dna

E ancora: se gli occhi lo vedono bene lo stupore di istantanei cambi abito – giusto il tempo di un frullo d’ali d’angelo… – o il gioco di ombre cinesi, dietro a teli cangianti di luce colorata; e se le orecchie rimangono attonite alle incredibili note estratte da un complesso di bicchieri colmi d’acqua(vite) o dal nostalgico riaffiorare del pungente incubo: “Ho sognato di sputare dalla bocca un animale…”, quel che il cuore tenacemente intuisce è quanto sia studiato e sudato, tutto questo. A buttarci l’occhio, la si tocca con mano, la generosa e leggiadra dedizione, senza cui non è neppure lontanamente pensabile un’orchestrazione di questo tipo. Tutto è calibrato, rodato e senza sbavature: dai falsi bisticci alle volutamente ostentate smorfie di sorriso fino alla sincronizzazione di evoluzioni acrobatiche, che in tanto possono arrivare leggere come un tocco – non a caso è il ‘Teatro della carezza’, il loro… -, in quanto sono state rese fluide da una pratica costante e crudele – torna in mente Antonin Artaud. I tagli luce, poi, ed i costumi – così come le scenografie pur scarne, ma dominate da gigantografie – le musiche discrete, ma dall’acutezza spesso nostalgica e struggente: tutto contribuisce a fare di questo spettacolo una terra di frontiera, in cui teatro e circo, magia e clownerie, disciplina e leggiadria si fondono nella meraviglia di chi guarda dall’abisso siderale di quel passato bambino, che possiamo solo ricordare con nostalgia.
La Verità_ipercubo1

Piccolo Teatro Strehler
dal 27 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015

La Verità
autore, regista, co-design luci e coreografie Daniele Finzi Pasca
direttrice di creazione, produttrice e partecipazione alla scrittura Julie Hamelin Finzi
musiche sound design e co-design coreografie Maria Bonzanigo
scenografia, accessori e ideazione Hugojo e L’hugo Hugo Gargiulo
produttore esecutivo e consulente artistico Antonio Vergamini
costumi Giovanna Buzzi
co-design luci Alexis Bowles
video designer Roberto Vitalini – bashiba.com
assistente alla regia Geneviève Dupéré
make-up designer e hairstyle designer Chiqui Barbé
direttore di produzione Marc Laliberté
consulente artistico Fabrizio Arigoni
ricercatore Facundo Ponce de León
creatore di sculture coreografiche Toni Vighetto
ideatrice Carré Mariève Hémond
ideatore ruota Cyr Daniel Cyr
con Moira Albertalli, Jean-Philippe Cuerrier, Annie-Kim Déry, Stéphane Gentilini, Andrée-Anne Gingras-Roy, Catherine Girard, James Kingsford-Smith, Evelyne Laforest, Francesco Lanciotti, David Menes, Marco Paoletti, Felix Salas, Beatriz Sayad, Rolando Tarquini
produzione Compagnia Finzi Pasca
con il supporto di Cornercard; Grand Hotel Villa Castagnola; OSI; RSI; La Place des Arts; Maison de la Culture de Nevers et de la Nièvre; Scène Nationale de Bayonne – Sud Aquitain; Citta di Lugano; Cantone Ticino; Pro Helvetia; Caffè Chicco d’Oro; Fidinam; Ernst Göhner Stiftung
in collaborazione con ATER – Associazione Teatrale Emilia Romagna
© Salvador Dalí, Fundación Gala-Salvador Dalí

Francesca Romana Lino

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