Mediterranea 18

Mediterranea 18 Young Artists Biennale: in traghetto da Bari all’Albania

Mediterranea 18 da Bari all’Albania

Un progetto folle e affascinante: si è conclusa ieri (con inizio il 4) fra Tirana e Durazzo, in Albania, Mediterranea 18 ovvero l’edizione 2017 della Young Artists Biennale, evento organizzato da BJCEM – Biennale des jeunes créateurs de l’Europe et de la Méditerranée che ogni due anni organizza, in una città dell’Europa o del Mediterraneo, un momento di visibilità e di confronto per centinaia di giovani artisti di tutte le discipline. E fin qui tutto normale. La cosa affascinante (e folle!) è che si è svolta a Bari un’anteprima (promossa da BJCEM, Regione Puglia, Ministero della Cultura del Governo Albanese in collaborazione con il Comune di Bari e realizzata dal Teatro Pubblico Pugliese) il 3 maggio. In questa occasione, al Teatro Kismet, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione alla presenza di Michelangelo Pistoletto che ha presentato una versione per la BJCEM 2017 dell’opera Mar Mediterraneo – Sedie Love Difference concepita insieme a Juan Sandoval. Si tratta di 60 sedie che insieme compongono la sagoma del Mar Mediterraneo, infatti ogni sedia ha un pezzo di mappa disegnata dove il mare incontra la terra. Un’opera realizzata con le sedie, perché sono strumento di condivisione e non di divisione.

Teatro musicale con Koreja

Al termine della conferenza è andato in scena lo spettacolo Katër i Radës. Il Naufragio prodotto da La Biennale Musica di Venezia e da Teatro Koreja con la regia di Salvatore Tramacere, musiche di Admir Shkurtaj e libretto di Alessandro Leogrande. Un’opera ad alto tasso emotivo dove la cifra Koreja viene messa al servizio della musica e delle parole che ricordano la strage del 1997 nello stretto di Otranto quando una barca carica di profughi dall’Albania fu speronata da una corvetta della Marina Militare italiana facendo decine di vittime tra cui molti giovanissimi. Uno spettacolo denso che conferma la duttilità di Teatro Koreja e del suo regista, capace di creare immagini raffinatissime e a prima vista semplici, che compongono un’architettura che mescola i corpi degli attori con quelli dei cantanti, lasciando spazio alla solennità della musica dal vivo.

KATËR I RADËS. IL NAUFRAGIO
KATËR I RADËS. IL NAUFRAGIO

In traghetto

Un momento iniziale davvero potente che spiana la strada a quello che succederà poco dopo: circa duecento tra gli artisti della Biennale (rappresentanti di Albania, Austria, Bosnia, Erzegovina, Croazia, Cipro, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Kosovo, Libano, Malta, Montenegro, Marcocco, San Marino, Palestina, Portogallo, Serbia, Slovenia, Turchia, Tunisia), i media (tra cui io) e le delegazioni degli organizzatori pugliesi e albanesi sono salite sul traghetto compiendo una migrazione al contrario, un viaggio verso l’Albania nel nome dell’arte, un modo simbolico e semplice per sancire l’amicizia fra i due paesi e provare a costruirne una duratura in tutto il Mediterraneo. Di notte in traghetto, insieme alle sedie di Pistoletto/Sandoval che ci hanno accompagnato fino a Tirana, si è svolta una conversazione performativa sul tema della Biennale, HISTORY + CONFLICT + DREAM + FAILURE = HOME moderata dalla giornalista e critica Manuela Gandini e con la partecipazione dell’artista e direttore artistico di Mediterranea 18 Driant Zeneli. E a un certo punto la conversazione è diventata canto e danza, come potete vedere in questi due brevi video:

Sei ore tra gli allestimenti di Mediterranea 18

Arrivati a Durazzo, e poi a Tirana, comincia la seconda parte dell’avventura, stavolta molto più personale! “Chi non parla italiano non è albanese!” mi dicono alla reception dell’Hotel International headquarter della Biennale. Non male come inizio! Dovendo rientrare in Italia in serata ho approfittato delle ore a disposizione per andare a vedere gli spazi (disseminati per tutta la città) dove i giovani artisti e curatori stavano allestendo, cercando di parlare con loro per farmi raccontare i loro progetti. Tirana si visita a piedi ed è bellissima: all’architettura “di regime” si stanno affiancando palazzi moderni e grattacieli che sembrano vigilare sul traffico caotico al quale si cerca di ovviare con aree pedonali e giardini. Subito mi sono infilato al Bunk’Art 2, uno dei bunker antiatomici costruiti negli anni Ottanta dal dittatore Enver Hoxha oggi diventato spazio espositivo dedicato alle vittime dell’orrore comunista. Lì trovo il curatore di uno dei progetti paralleli, Domesticated Generation, una vera Biennale nella Biennale concepita come una serie di installazioni, talk, screening, street food che intende interrogarsi sulle difficoltà delle nuove generazioni di artisti, qui immaginati come parassiti senza vita autonoma, strettamente dipendenti dalle attività della Biennale. Il progetto, che intende presentare “un programma autonomo intermittente”, è curato da Pietro Della Giustina e Jacques Heinrich Toussaint e vede tra gli artisti partecipanti Agreements to Zinedine – ATZ, Lluc Baños, Isabella Benshimol and Mati Jhurry, Tasha Bjelic, Juan Caloca, Olivier Cheval, Bady Dalloul, Dor Zlekha Levy, Nøne Futbol Club, Jasmin Vardi, Zazzaro Otto, Zeytin Foundation.

https://twitter.com/fattiditeatro/status/860208625125658625

L’Ex Ambasciata della Jugoslavia

Esco e mi dirigo alla Galleria Nazionale, non prima di aver incrociato il Sindaco di Tirana intento a presentare l’app My Tirana (segno inequivocabile dei passi da gigante che sta facendo questa nazione). Lì incontro il direttore artistico Driant Zeneli, a cui spiego le mie necessità. Lui mi dice che non devo perdermi come location l’Ex Ambasciata della Jugoslavia, edificio altamente simbolico sia per la sua storia che per quella delle relazioni fra le due nazioni, stravolto negli spazi in occasione della Biennale e invaso dalle opere degli artisti. Tre piani in fermento dove decine di artisti e curatori stanno finendo l’allestimento delle loro opere. Tra tutti mi fermo a parlare con gli artisti e i curatori di La Ville Ouverte residency program – Mediterranean Landscapes, uno dei progetti di collaborazione fra artisti che si è sviluppato attraverso una serie di residenza (due in Italia: nella Tuscia e nel Tigullio e uno a Lubiana).  Il progetto si basa sulla convinzione che il paesaggio cambia significativamente con la migrazione, costantemente ridefinendosi con le mutazioni linguistiche e le modalità di vita. Una molteplicità di riflessioni e domande emergono dalla questione fondante che ha segnato tutta la ricerca: come i paesaggi formano l’immaginazione umana? Mi colpiscono moltissimo le opere: l’installazione sonora dedicata all’Ardesia di Chloé Despax, il rapporto con una rastrelliera per il fieno simbolo e refrain giovanile della slovena Neza Knez. Le immagini deperibili e trasformabili create da Giulio Saverio Rossi interrogando i bunker del Levante ligure. La zampa mozzata di una grossa statua assira realizzato da Ryts Moneta partire da un progetto del Museo Virtuale dell’Iraq, che si interroga sul significato profondo delle devastazioni ai luoghi archeologici da parte di Daesh. E infine l’installazione realizzata con 78 immagini di rive del Mediterraneo da diversi punti di vista, chieste dall’artista libanese Ieva Saudargaité-Douaihi tramite Instagram usando il geotag e impresse su dischi di vetro. I curatori sono Giuditta Nelli, Marco Trulli e Pelagica.

Qualcos’altro ho visto, ma molto altro ci sarebbe stato ancora da vedere. Appuntamento quindi a Mediterranea 19!  

https://twitter.com/fattiditeatro/status/860129943849766912

Una gallery della mia Mediterranea 18

Simone Pacini

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marzo, 2024

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