Play Festival 2014: giochiamo al teatro?

E’ risaputo che, in inglese, ‘play’ significa giocare. Del resto anche francese, tedesco ed altre lingue scelgano questo verbo per indicare l’azione teatrale – e non solo e non tanto per alleggerire la valenza di quest’arte antichissima; ma, probabilmente, perché di questo si tratta: di un gioco, con tutta la serietà e la potenza immaginifico-creatrice, che l’evocazione drammaturgica sa scatenare. Come il gioco dei bambini: “Facciamo che io ero il principe e tu il drago?” Ed immediatamente il mondo trascolora e davvero una stanzetta può trasformarsi nel più fantastico dei regni di Narnia…

giuria - conduce i lavori serena sinigaglia | direttore artistico atir
giuria – conduce i lavori serena sinigaglia | direttore artistico atir

Così è successo all’ Atir Ringhiera, in questa settimana, dove si è svolta l’ultima fase del ‘Play Festival 2014’, quest’anno alla seconda edizione. Sul flyer si legge: 135 proposte, 12 spettacoli, 12 compagnie – uno dei criteri del bando era: “no monologhi” -,  2 giurie – quella popolare e poi una ‘tecnica’, ma meravigliosamente mescolate in democratico anonimato -, 6 serate – dall’1 al 7 dicembre – per visione le 12 proposte ammesse, più di 60 artisti under 40, 7 città – Milano, ma poi anche Livorno, Roma, Viareggio, Valle San Bartolomeo, Venezia e Messina. Oltre a ciò, 1 punto ristoro, 1 spazio dopo festival e – soprattutto – 1 premio: Piccolo Teatro Studio Melato, si legge, ma poi pare che il passaggio sarà direttamente al Piccolo Grassi.
Ed è stato proprio così: una settimana di proposte, confronti, chiacchierate, incontri informali – fra giurati, compagnie e pubblico -, a soffermarsi sui pro e contro di quanto visto insieme, spesso nella convivialità di un boccone condiviso nelle lunghe tavolate messe a disposizione dall’organizzazione pure presente. Anche questo un gioco, in fondo: l’antica pratica del simposio, ovvero l’arte della condivisione – di cibo, vino, impressioni, suggestioni, punti di vista… poco conta.

serena sinigaglia premia gli odemà
serena sinigaglia premia gli odemà

Così, alla fine, eccoci al risultato: vincitori gli Odemà con “A tua immagine”– la motivazione recita: “Arguto e divertente. Grottesco ben giocato senza scivolare nel comico gratuito e senza sbavature, godibile. Ottima mescolanza e alternanza di registri espressivi. Oltre a un poderoso lavoro drammaturgico e a una regia mai scontata né banale. Un’encomiabile prova degli attori su voce, mimica e corpo. Un po’ bottega, un po’ avanspettacolo teologico per una caleidoscopica lanterna magica che convince e avvince”. A seguire il delizioso teatro di figura di Manimotò, che con le loro due marionettes portés, hanno saputo giocare nel dentro e fuori di narrazione e metateatro, servendoci una “Tomato soap”, capace di minestrare niente di meno che il tema della violenza di genere, ma con una poeticità onirica e garbata – e al tempo stesso un’intensità e credibilità inaspettata, forse, da un tal genere teatrale. E poi Carullo-Minasi: “Due passi sono…” , reduci, non ultimo, da un passaggio nella scorsa stagione, dal Teatro Franco Parenti di Milano, la cui buffa diatriba di piccoli e gustosi bisticci quotidiani, intrappolati nella claustrofobica convivenza di limiti fisici e mentali troppo angusti, cresce verso una poeticità inattesa, che sorprendentemente squarcia valichi di senso in direzione assolutamente verticale. A seguire “In ogni caso nessun rimorso…” – l’opera per ora incompiuta dei Borgobonò – e poi IF Prana con “R…esistere. 13 buoni motivi per non suicidarsi” – che probabilmente ha fatto presa con la sua vena ironica e con la scelta di cavalcare l’onda del malcontento generazionale -, Maledirezioni con  “Falene. Omaggio a Virginia Wolf” – messa in scena dalla regia ortogonale e precisa; gioco luci suggestivo, alcuni attori anche bravi, come Vincenzo Giordano, e che senz’altro si fregia di un testo di tutto rispetto, ma che personalmente reputo penalizzato da un ritmo troppo lento e discontinuo, a tratti. E poi Teatro MA | Compagnia delle Furie con “Harvest. Quanto costa un uomo al chilo”, visto lo scorso anno al Tertulliano, La Ballata dei Lenna con “Cantare all’amore” – anch’esso a tratti poetico e visionario, pur nella feroce denuncia di una realtà abbietta e senza via di fuga -, gli Artimanti con “L’Amante” – raffinato, pulito, ma non aiutato a causa di un forse eccessivo rigorismo formale accademico; a pari merito con loro i Collectif Faim de Loup con “Migrazioni” – deliziosamente giocato fra mimo e gramelot, ma forse incapace di sostenerne il registro per un’intera e
ultimamente carente drammaturgia – Pianoinbilico con “Rimini ailoveioù” – troppo dicotomico nell’alternanza fra teatro e filmati sì dalla qualità cinematografica, ma spesso preponderanti sulla componente teatrale – e, da ultimo, DoveComeQuando con un “Italia libre”, sicuramente da chiarire, fin dagli intenti di scrittura scenica.

manimotò - tomato soap ph luca paolucci
manimotò – tomato soap ph luca paolucci

Ed ora il gioco continua: per i vincitori al Piccolo e, per chi lo desiderasse, a Roma, dove a marzo si terrà un’edizione gemellata all’interno del circuito Casa dei Teatri e della Drammaturgia Contemporanea – bando disponibile sul sito da settimana prossima.
Ancora un paio di considerazioni: intanto la necessità – e la virtuosità – del fare rete per poter far circuitare il teatro – nella giuria ‘tecnica’ si sono mescolati anche le direzioni artistiche di altri due teatri milanesi quali Teatro della Cooperativa e Pim Off , oltre all’interessamento di realtà come Genova e altri teatri italiani; dalla prossima edizione si riferisce di un’apertura internazionale. In più, criticamente, non si può non rilevare che quel che vince è la poesia: quella giocata nelle tinte forti del grottesco, nell’apparente leggerezza della poesia o, ancora, in quella dimensione di onirico incanto, che comunque non vuole distogliere lo sguardo dall’hinc et nunc. Bonificarlo, forse: ma, più probabilmente, filtrarlo attraverso la scatola magica della messa in scena, prendendone la giusta e prospettica distanza, focalizzandone dinamiche e criticità e – chissà -, tuffandosi in una catartica presa di coscienza, che possa consentirci, se non di uscirne risolti, quanto meno di “R…esistere”.

Francesca Romana Lino

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