Turri/Meola sono “Neighbors” al Tertulliano di Milano

Sembra un virus. In questi ultimi anni non c’è giovane o meno giovane, che non venga ammaliato dalla sirena del: “Quasi quasi me ne vado all’estero…”. E poco conta se la meta poi sia Londra, Berlino o New York. L’importante sembra essere andare. Come se l’altrove avesse necessariamente una valenza risolutiva differente dall’ hic-et-nunc; quasi che il non-qui dovesse per forza avere quelle potenzialità insperate, che forse sono comunque insite nella progettualità di qualsiasi non-ora.

E’ quello che accade anche ai protagonisti di “Neighbors” – Irene Turri e Francesco Meola -, sbarcati niente di meno che nella Grande Mela e – ciononostante – sorpresi a fare i conti con le difficoltà di chi abbia tanta voglia di sfondare, quanta oggettiva e prosaica imperizia nel gestire un diversamente qui, che certo non dispensa così generosamente le attese del non-ora. Una partitura drammaturgica, fatta dalle piccole magagne del quotidiano – amplificate, forse, dalla osticità della lingua e dalla burocrazia del visto di soggiorno all’estero -, che Turri/Meola ricalcano dalla propria recente esperienza oltre oceano.

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Così ci parlano di quella relazione amicale di mutuo soccorso, che va costruendosi fra il timido e perfettino Leo e la sua esuberante vicina del piano di sotto, costantemente alla ricerca di una storia d’amore – in perenne biblico fra l’americanissimo mood alla Woody Allen: “Non mi sento pronta per uscire con qualcuno” ed il romanticamente mediterraneo: “E’ quello giusto!”. Una sorta di trasposizione teatrale delle sit-com fra vicini di casa/coinquilini – in alcuni casi il limite svapora, come l’onnipresenza di Petra sul divano rosso di Leo ben restituisce -, che, fin dagli anni “70 ci ha mostrato cosa capiti in questi generi di dinamiche, attraverso le vicende quotidiane dei vari “Mork e Mindy”, “Tre cuori in affitto” fino ai più recenti “Friends” et similia.

Già, ma è proprio questo, il punto: quel che funziona, in quelle serie, è giusto il fatto di essere dei prodotti seriali, appunto, concepiti, cioè, ad intrattenere un pubblico affezionato per il maggior numero di puntate possibili. Ci sta, quindi, che non succeda nulla. Nulla non in senso ‘assoluto’, ovviamente – anzi: i ragazzi di “Neighborns” c’intrattengono con gustosi e disarmanti aneddoti, con una recitazione brillante e con delle trovate registiche che contribuiscono a vivacizzare il racconto -; bensì ‘nulla’ in senso ‘forte e risolutivo’: in senso ‘teatrale’. Il teatro, infatti, esige tempi e ritmi, lontani dallo sciorinare una quotidianità, che sembra non doversi mai confrontare con dei limiti temporali; il teatro si struttura su una situazione iniziale, che, inevitabilmente, dev’esserci restituita modificata, a fine percorso, e, per farlo, deve passare attraverso uno o più conflitti. Il teatro è sintesi e, in qualche modo, folgorazione; e, se inevitabilmente passa attraverso il racconto della quotidianità, lo fa non tanto per indugiare su quanto splendidi siano gli occhi blu di Adriano o l’amore platonico e non corrisposto per Cecille, ma sa usarli come pretesto per arpionare brandelli di verità, pur nella leggerezza di un genere commedy – chi non ricorda le puntate comunque commoventi e vere, pur all’interno di una narrazione che, il più delle volte, sembrava diluirsi negli stessi racconti, che ci si scambia nella vita, fra amici? Ecco: forse un po’ questa, la pecca; oltre al fatto che il ritmo, sempre troppo tirato, solo in chiosa cede ad un rallentamento – oramai infruttuoso ai fini dell’alternanza – e che i conflitti, che pur si verificano fra i due, sono più che tutto battibecchi fra amici, il cui tasso di complicità non ne viene in alcun modo inverato.

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Per il resto: aneddoti sicuramente spassosi, come si diceva, che sia l’incontenibile Irene Turri, che il più manierato Francesco Meola, sanno restituire in modo efficace e godibile – penso alla scena sul divano, atterriti dal ratto, ed al racconto della serata a casa di Cecille, terrorizzata dalla blatta; o, ancora, alla scena del tango, al sarcasmo delle chiacchierate sul divano-spugna e a quel raccontarsi ostentatamente graffiante, ma sostanzialmente confidente. Belle alcune soluzioni della regista Ilaria Ambrogi dall’intuitività semplice, ma quanto mai efficace – la soluzione trovata per simulare la bicicletta, ad esempio, con l’attrice sulle spalle dell’attore e lui a muoverle i piedi, simulandone la pedalata, piuttosto che le scene in sincrono, ai lati estremi della ribalta, illuminati da occhi di bue dissociati, a restituirci gli spaccati di due quotidianità comunque reali e fattive, al di là delle loro reciproche confidenze sul divano… -, nonché la scenografia – un campale divano rosso a troneggiare al centro ed una miriade degli oggetti più disparati a pendere dal soffitto: a restituirci quel senso di giocoso disordine tardo adolescenziale, ben icastizzato anche dalla cassettiera dagli elementi sospesi, sulla sinistra, piuttosto che dai calzini sempiternamente stesi e da quel mondo che si dipana sempre e solo sul pavimento: in senso orizzontale.

Per gli incuriositi: allo Spazio Tertulliano ancora fino a domenica 4 maggio.

Teatro Spazio Tertulliano
dal 30 Aprile al 4 Maggio

” N E I G H B O R N S “

di e con Irene Turri e Francesco Meola
Regia di Ilaria Ambrogi
scene e costumi di Luana Bagli

Francesca Romana Lino

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marzo, 2024

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