LA RIVOLUZIONE È FACILE SE SAI CON CHI FARLA
Incontro/Tavola rotonda a cura del critico Andrea Porcheddu
Festival Dominio Pubblico_La Città agli Under 25
Intervengono: Luca Ricci [ideatore del progetto Dominio Pubblico/Kilowatt Festival/Italia dei Visionari/BeSpectactive] – Antonio Calbi [direttore del Teatro Nazionale di Roma] – La direzione artistica Under 25 del Festival Dominio Pubblico – La Konsulta [progetto di formazione del pubblico Under 25/Teatro dei Venti/Trasparenze Festival] – Giulio Sonno [critico e caporedattore della rivista PaperStreetView] – Simone Pacini [fattiditeatro] – Alessandra Stanghini [Spettatori Erranti/Progetto Gite Contemporanee/Rete Teatrale Aretina] – Nicola Borghesi [Kepler–452/Festival 20 30] – Giulia Anghinoni [MaMiMo/Giovani Direzioni] – Grazia Sgueglia [Associazione Spring per MigrartiI]
Chiediamo in prestito il titolo per questo incontro a Nicola Borghesi dell’associazione bolognese Kepler–452 che, in complicità con Lodo Guenzi dello Stato Sociale, ha creato questo progetto che si fonda proprio sulla partecipazione e che aprirà la quarta edizione di questo Festival dedicato alla creatività Under 25.
Come la nostra stanno emergendo negli ultimi anni molte realtà nel panorama nazionale che hanno deciso di dedicare la loro energia e la loro attenzione a ricostruire con perizia e pazienza un tessuto sociale e culturale lì dove era rimasto uno strappo. Dovuto alla crisi… dovuto alla mancanza di ricambio generazionale… sono molte le cause a cui si attribuiscono i sintomi di un malessere di cui il teatro riflette, attraverso il suo ruolo di specchio sociale, un malessere comune. Grazie alle domande di Andrea Porcheddu cercheremo di interrogare molte realtà contemporanee che stanno lavorando nel presente e guardando al futuro, per chiederci quale teatro lasceremo tra 5 anni?
A me basta quel che ho trovato nel perdere ogni cosa
Ghiannis Ritsos
Quale teatro lasceremo tra 5 anni?
Vale la pena riflettere su alcuni temi all’ordine del giorno.
Sono spunti per una conversazione e speriamo per una azione possibile, da mettere in atto oggi pensando al futuro.
In questo momento sembra che l’annosa crisi del teatro sia superabile anche grazie all’apertura e l’investimento di processi di partecipazione e cittadinanza, che permettano a un pubblico formato e consapevole di rendersi attivo e partecipe nella programmazione di festival, stagioni teatrali, incontri, residenze etc.
È vero? È così?
Lo spettatore deve partecipare a tutti i livelli? Perché?
In questa prospettiva, citando il prof. Gerardo Guccini, gli stessi processi creativi sembrano oggi essere molto più necessari dell’esito finale, dello spettacolo compiuto. Il processo supera il prodotto.
Ci sono esempi importanti in Italia.
La Biennale di Venezia, proseguendo e rilanciando la decennale prospettiva formativa di Alex Rigola, sotto la direzione artistica di Antonio Latella decide di investire risorse e attenzione su un percorso dedicato principalmente a giovanissimi artisti e registi italiani. Ruggero Cappuccio al Festival di Napoli 2017 dedica ampio spazio alla formazione con grandi maestri.
Oppure ancora, si può analizzare quanto accaduto quest’anno al Premio Nazionale InBox, che tende a favorire l’emersione di compagnie che altrimenti sarebbero rimaste in una zona “invisibile” e che invece, attraverso un’osservazione plurale e partecipata, guadagnano la possibilità di circuitare a livello nazionale.
Quali sono, dunque, i benefici di questo tipo d’investimenti e quali i limiti?
Allo stesso tempo, nonostante la concentrazione di enormi sforzi da parte degli operatori e di tutta la popolazione teatrale, il piatto della bilancia sembra sempre pendere dalla parte dei grandi eventi e degli spettacoli mainstream che dovrebbero avere un peso sull’economia culturale (vedi il prossimo musical “Nerone” al Palatino, già alquanto discusso).
Da qui la terza domanda: è in atto un vero e proprio cambiamento o ci stiamo semplicemente sforzando di sollevare l’acqua con il forcone?
Infine vi è un ultimo spunto di riflessione per la discussione e il confronto. Si tratta di capire quali sono i benefici degli investimenti per l’integrazione e la formazione degli spettatori.
A un primo livello sembra evidente che a simili attività possano accedere solamente giovani che abbiano alle spalle il sostegno economico e la tutela della famiglia.
Pensando, per fare un esempio, a un progetto come Migrarti, viene da chiedersi quale sia la reale ricaduta sociale di quegli interventi.
A chi si rivolge la formazione e con quali esiti? Che risultati hanno ottenuto, oggi, simili esperienze attive già in passato?
Questo tipo di azioni, insomma, sono reali ed hanno una reale ricaduta sociale? Quanto dureranno? Per quanto tempo?
Quale teatro avremo tra cinque anni?