PARADISO – VOI NON SAPETE LA SOFFERENZA DEI SANTI
ideazione, drammaturgia e regia di ARMANDO PUNZO
scene di Armando Punzo, Alessandro Marzetti, Emanuela Dall’Aglio
costumi a cura di Emanuela Dall’Aglio
musiche originali di Andrea Salvadori
“Il nostro occidente, quello che i fanatici di una cultura che sembra essere altra attaccano, ha già la morte al suo interno. Basterebbe lasciarlo alla sua vita per vederlo morire mentre si affanna a vivere, a imporsi. Si attaccano feticci, come se uno fosse migliore dell’altro. Le bandiere sono tutte false, tutte uguali, i loro colori chimere al vento”.
Nel grande vuoto a cielo aperto di una piazza, con la consueta magnificenza di linguaggio che mescola arti visive, musica e parola, il regista ricostruisce allora con i cittadini di Taranto il ciclo di una vita, sotto forma di festa, di paradiso artificiale e sgargiante in cui una umanità vestita a festa abita una collina di croci, una orchestra filarmonica si aggira sulle macerie invisibili della nostra cultura, e tra banchetti di scuola, sotto spoglie di una necessaria educazione, si riperpetra nei bambini la memoria di un errore e l’inganno di una promessa tradita. Per culminare in una processione che allontana lentamente tutti verso il loro destino di uomini, mentre portano sulle proprie spalle, santificandoli, i feticci della loro esistenza.
“Ci è stato promesso qualcosa che non è stato mantenuto.
Il paradiso devo averlo sicuramente sentito promettere bambino. Si è dovuto scoprire essere una menzogna. È arrivato come suono in una caverna buia, come possibile luce che appare nella mente pronta a credere nelle meraviglie che l’attendono.
L’arte come dono, unico, per scongiurare la disperazione del fanciullo e vivere su quella porzione di mondo lo sconcerto di questa mancata promessa.
Un giorno di festa.
Ci hanno promesso un paradiso, il sogno di un paradiso in terra.
Sotto quelle croci tutto il ciclo della vita.
Dalla nascita fino alla morte.
La nascita del bambino a cui viene promesso il paradiso.
Quel bambino sono io e non sono io. È mio figlio ed è tutti i figli che non sopportano la vita. O la
subiscono per com’è accettandola, integrandosi. Ed è tragicamente, forse, la stessa cosa”
(Armando Punzo)
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