Teatro delle Albe/Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi

Quando

18/11/14 - 14/12/14    
21.00 - 23.30

Dove

Teatro Rasi
via di Roma, 39, Ravenna

Tipologia evento

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Sono stato in Birmania nel 2006, da allora mi sono sempre interessato alla sua storia e a quella di Aung San Suu Kyi. Nel 2009 la mia unica mostra fotografica (mi divertivo con una piccola digitale) Birmania – volti e colori era proprio dedicata a lei (Su flickr le foto della mostra e del viaggio e anche della prima versione nella mia vecchia casa a Prato). Sarà bellissimo assistere allo spettacolo delle Albe su questa figura eccezionale. E  in occasione della mia trasferta ravennate avremo un incontro con il Teatro delle Albe/Ravenna Teatro dove parleremo di teatro 2.0!


Con VITA AGLI ARRESTI DI AUNG SAN SUU KYI Marco Martinelli aggiunge un altro tassello alle figure-mondo ritratte in questi ultimi anni e torna anche a confrontarsi con la realtà di un passato prossimo costruendo per Ermanna Montanari un personaggio, ancora vivente, ritagliato dentro una storia di vita e spiritualità esemplari. Dopo il successo di PANTANI, con cui un anno fa ha vinto il premio Ubu per la ricerca drammaturgica, Martinelli porta sulla scena la storia di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace 1991, conosciuta in tutto il mondo per la sua lotta per i diritti civili e le rivendicazioni democratiche in Birmania.

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foto: Enrico Fedrigoli

Ermanna Montanari – premio Duse 2013 – è Suu, figlia dell’eroe di guerra Aung San “una limpida figura di combattente per l’indipendenza della Birmania dagli inglesi – leggiamo nelle note di regia – un politico che voleva democrazia e pluralismo”, che portò la Birmania all’indipendenza dal Regno Unito ma fu assassinato nel 1947 quando la figlia aveva appena 2 anni. Lo spettacolo segue la biografia di Suu, secondo una scansione in 18 quadri-capitoli che seguono anche la storia della Birmania dove, dal 1962, regna la dittatura più longeva della storia. Il Teatro delle Albe tesse la trama di questa vita con una drammaturgia in cui le parole, come le pietre, costruiscono la strada da percorrere.

«Reverendi monaci e cittadini! Lo scopo di questo comizio è di informare il mondo. Il mondo intero deve sapere che il nostro popolo desidera la democrazia. Sono stati gli studenti a preparare il terreno, sacrificando le loro vite. Sia reso onore al loro coraggio, alla loro sete di verità e giustizia! Ciò che conduce l’uomo a sfidare la paura è la visione di un mondo in cui verità e giustizia non siano parole vuote: possono sembrarci concetti fuori moda, quando invece sono spesso gli unici baluardi contro la brutalità del potere». Sono le parole pronunciate da Aung San Suu Kyi nel suo primo discorso pubblico nel 1988 in Birmania. Infatti dopo aver vissuto per anni a Oxford e a New York ed essersi sposata con Michael Aris, studioso inglese della cultura tibetana, Suu torna a Rangoon per assistere la madre morente. Giunta in Birmania e profondamente toccata dai drammi che la società sta vivendo in quegli anni, decide di rimanere lì per lottare pacificamente per il suo popolo, contro i generali e per la democrazia. La lotta pacifica di Suu e il seguito che questa donna minuta e vitale ha nel popolo spinge l’esercito ad incarcerarla nella sua abitazione, dove trascorrerà più di venti anni. Oggi Suu è libera, ma la dittatura esiste ancora, anche se molte – e da ogni parte del mondo – sono le istanze che la vorrebbero presidente del suo paese.

Vita agli arresti - foto Enrico Fedrigoli 2
foto: Enrico Fedrigoli

Lungo la fitta trama dello spettacolo che racconta oltre cinquant’anni di storia recente si aprono questioni profonde su cosa sia davvero la democrazia e sul significato della parola giustizia, tenendo ben presente la ricerca tutta spirituale e intima del seme della ‘bontà più scandalosa”, sulle tracce di un profondo insegnamento brechtiano. «C’è qualcosa di scandaloso nella vita di Aung San Suu Kyi: la mitezza d’acciaio, la compassione, la “bontà”, un termine che avrebbe fatto storcere il naso a Bertolt Brecht – leggiamo nelle note al testo di Marco Martinelli – La nostra Vita è anche un dialogo con Brecht, con quella Anima buona del Sezuan che qualche anno fa volevamo mettere in scena. Non lo facemmo allora, e questa Vita ci ha spiegato anni dopo il perché. La “bontà” intesa come la intende Aung San Suu Kyi, e come prima di lei una teoria di combattenti, da Rosa Luxemburg a Simone Weil, da Gandhi a Martin Luther King, da Jean Goss a Aldo Capitini, (più i tanti, innumerevoli “felici molti” di cui ignoriamo il nome), è scandalo in quanto eresia, ovvero, etimologicamente, scelta: si sceglie di non cedere alla violenza che domina il mondo, si sceglie di restare “esseri umani”: nonostante tutto». Un viaggio nella storia, attraverso l’esperienza del teatro, per scoprire che la Birmania non è “distante” ma, è solo “poco lontano da qui, come ogni luogo del pianeta”.

«Interrogarci sulla vita di Aung San Suu Kyi – prosegue Martinelli – ha significato interrogare il nostro presente: cosa significa “bene comune”? Cosa significa “democrazia”? Cosa significano “verità e giustizia”? Ha senso usare queste parole, e come? Non sono ormai usurate, sacrificate sull’altare della chiacchiera dei media? O ha senso proprio partendo dalla volontà di un sereno, paradossale, gioioso “sacrificio di sé”? Di un silenzioso, non esibito eroismo del quotidiano? Di un cercare nel quotidiano “ciò che inferno non è”, e dargli respiro, spazio, durata? ».

In scena accanto ad Ermanna Montanari, Roberto Magnani, Alice Protto e Massimiliano Rassu interpretano un coro-giungla di generali-scimmia, demoni nat, testimoni o giornalisti, con un’incursione scenica di Fagio. L’impasto sonoro creato dal compositore Luigi Ceccarelli, che ha collaborato con le Albe in spettacoli come L’isola di Alcina, La mano e Il sogno di una notte di mezza estate, mescola sinfonie metalliche e gong con melodie orientali, rap birmani-contemporanei e suoni di manifestazioni. Sul palco i colori e gli arredi dell’estremo oriente prendono forma nello spazio scenico e nei costumi a cura di Ermanna Montanari, in un impasto alchemico in cui la regia dello stesso Martinelli intreccia la fonica di Fagio alle luci di Francesco Catacchio e Enrico Isola e i video di Alessandro e Francesco Tedde.

> Dopo Ravenna lo spettacolo sarà in scena a Modena (teatro Storchi, 18 e 19 dicembre) e nel 2015 ancora a Parma (teatro Al Parco, 21 febbraio), Udine (Palamostre, 27 febbraio) e Milano (Elfo Puccini dal 3 al 14 marzo). Qui il calendario.

> Dal 18 novembre, in libreria, la pubblicazione del testo VITA AGLI ARRESTI DI AUNG SAN SUU KYI di Marco Martinelli, per Luca Sossella editore, che già aveva curato l’edizione del Pantani di Marco Martinelli e del cofanetto Rosvita di Ermanna Montanari.

Una delle immagini della mostra
Una delle immagini della mostra – foto: Simone Pacini

L'immagine scelta per la locandina della mostra - foto: Simone Pacini - elaborazione grafica Matteo Schiavo
L’immagine scelta per la locandina della mostra – foto: Simone Pacini – elaborazione grafica: Matteo Schiavo

 

Simone Pacini

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