Questo secondo contest su Antigone dei Motus – “Too late! (Antigone) too la Contest#2”, il secondo di una serie di tre – si consuma tutto in uno spazio destrutturato – le poltroncine del teatro rimosse e, al loro posto, una fumosa arena esplicitamente pronta al match. A ridosso dell’entrata la cabina di regia ci spiazza fin da subito, dandoci le spalle – e la percezione è che, fra quelle due ali di pubblico, si verrà a singolar tenzone.
Ed ecco che inizia. Ai due lati estremi – rivisitata declinazione degli ‘angoli’ del ring – i due sfidanti, accovacciati su rotoli di passatoie in plastica color verde acido. Non c’impieghiamo molto a capire chi siano: quello in tenuta da soccer – scheletrico ma tonico: vitale sotto i suoi baffetti neri – se lo scrive direttamente sulla maglia – “Emone” -; e, l’altro, in elegante sportivo con tanto di giacca sul dolcevita di lana, va da sé che sia Creonte. Si fissano, si studiano. Silenzio. Sono attimi lunghissimi ma non pesano: servono a mettere a fuoco la situazione dopo quello stravolgimento iniziale. Di qui l’uomo di potere con tanto di maschera di gomma ai suoi piedi; di là la provocazione del nuovo che avanza – il pantone e la bottiglia: i ferri del mestiere dell’hip hopper, che dà l’avvio alla sfida.
Si abbracciano – un po’ rituale agonistico, un po’ sublimazione sociale di quella rabbia che li divora. Rantola, Emone/Antigone – quasi soffocato dalla stretta di quel non-padre – e poi crolla a terra trasformandosi in un cane, che sembra non comprenderle, le ‘motivazioni’ del buon padre di famiglia. Gli ruba la maschera – svelando la medesima anima ferina anche nell’altro -; e poi se la contendono coi denti – perché il potere è un grasso boccone, a cui nessuno è disposto a rinunciare.
Silenzio è quel che rimane nella testa – mentre a poco a poco si svela il gioco del meta teatro. Dopo quella cagnara scenica, ora i due s’intrattengono amichevolmente. Parlano della tecnica dell’abbaiare, si divertono a invertirsi le parti, si scambiano ricordi d’infanzia – fanno capolino gli scenari di guerra da Sarajevo… – e intanto trasformano il ring in un ideale spazio ‘par condicio’ , srotolando i due tappeti fino a farli incontrare sulla linea di metà campo. Calcio e politica: metafora dei nuovi giochi di potere e sublimazione di quegli scontri epici, un tempo consumati nella pugna – oggi scongiurati in un ringhio dissimulato sotto una toccata, che sa di battuta di spirito.
Ecco è un po’ questo l’esoscheletro del contest: quasi che l’ “Antigone” classica, in fondo, pur con la sua dirompente denuncia dei rapporti di potere – e col potere – sia qui usata a pretesto per riscriverle, quelle dinamiche – descrivendone le differenti declinazioni nella contemporaneità. Quando parla del modo in cui si sente interpretando il cane, Silvia Calderoni – qui interprete di se stessa – dice: “Perché io dentro mi sento un cane grosso, poi vado ad abbaiare ed esce fuori questo cagnino… alto così”. Sorride, Vladimir Aleksic – anche lui, qui, guest star di se stesso – nel risponderle: “Guarda che anche un cane piccolo può fare paura”. “Io non voglio fare paura, voglio essere ascoltata”, scandisce pacata – la vanità dei social…
Ecco una delle illuminazioni con cui procede questa drammaturgia, che, alle partiture quasi solo fisiche, abbina i passaggi nodali del testo tragico, ma poi anche dialoghi sul filo della quotidianità, che vanno a stigmatizzare la realtà trasversale dei rapporti generazionali – tanto quelli padre/figli, quanto quelli sociali e politici, in cui i padri sono la vecchia classe dirigente e i figli le nuove tendenze aggregative giovanili. Così Antigone – quasi ad incarnarne l’etimo – ha sembianze androgine – è passato il tempo della ‘donna con la gonna’ -: indossa calzoncini e scarpini da calciatore – idolo indiscussi delle giovani generazioni -, ma poi anche il gilet dell’hipster; sfoga il proprio bisogno di espressione formulando slogan – come migliaia di generazioni di adolescenti prima di lei -, ma poi se li scrive addosso, in omaggio alla body art contemporanea. Creonte, da parte sua, cerca un abito buono per tutte le occasioni, in quel gioco di maschere, fra cui non sa scegliere.“Calmo, che non perde mai il controllo… che non uccide, ma qualcuno uccide per lui” o “Prepotente… col culto del corpo”? Fa nomi e cognomi di statisti – italiani e non – Aleksic in una delle tante incursioni nel meta teatro: e poi sciorina ipotesi a loop – e raccomandazioni a loop, quasi che improvvisamente si trasformasse nel prototipo del replicante noioso e pedante, probabilmente come lo vedono gli occhi della giovane.
Lentezza – che non significa assenza di ritmo -, ripetitività – che non è ridondanza, ma ipnotico stigma di un pensiero che non sa evolvere – ed un florilegio di simbolismi, che si sovrascrivono gli uni agli altri, restituendoci in molte immagini la meraviglia di letture sincroniche, sono le caratteristiche della messa in scena di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, storici fondatori dei Motus. Qui scelgono di dirigere due attori, Vladimir Aleksic e Silvia Calderoni, non solo dalla notevole performatività fisica, ma capaci di modulare nella maniera più credibile anche gli stralci della tragedia di Sofocle – senza dramatizzare: recitando. E lo fanno in un contesto destrutturato e reinventato, in cui – sotto le luci aranciate, che fanno subito bisca o equivoci ring di incontri di box clandestini – vengono messi a nudo gli spettri di ieri e di oggi. Collidono, quando parlano di relazioni umane; e finiscono col rovinare contro ai ‘giochi di forza del potere’ – e quando dicono ‘potere’ mettono il dito nell’inconsolabile solitudine dell’individuo moderno. Non sa, Mr. Lonely, abdicare dal sé – e, se lo fa, è solo per la vana parvenza di una collettività, in cui non s’identifica più. Ecco perché è sulle note di “Mr Lonely” di Bobby Vinton – ripetuto a loop per un lungo tratto dello spettacolo -, che si muovono, fuori e dentro al gioco meta teatrale, i personaggi: un impossibile tentativo di conciliazione.
Eppure possiamo fingere e fingere di fingere – con quell’ironia, che per quanto ci voglia, “nella vita e nel teatro” dice Vladimir Aleksic/Creonte, pure “fa male”, avverte Silvia Calderoni/Antigone -; possiamo professare: “Per amare, io vivo, e non per l’odiare!” – e sentirci sbeffeggiare: “E allora va’ sotto terra: non vive a lungo, la gente come te!” -, ma la verità è che se davvero è nel gioco (meta)teatrale che “mi ascolto, più che nella vita”, questo spiega perché sia ancora possibile, oggi, prelevare particelle da un classico, inocularle in un’azione performativa e ottenere comunque qualcosa che funzioni – e che ancora possa esser guardato come quel teatro, che faceva parte dei riti di sedimentazione e solidificazione dei rapporti sociali.
Teatro Elfo Puccini – Milano
8 – 12 giugno
“TOO LATE! (ANTIGONE) CONTEST#2”
drammaturgia Daniela Nicolò
produzione Motus
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