Dov’è finito l’Occidente?
breve corso di orientamento per chi ha perso la bussola
nell’ambito di SHORT THEATRE 7 West End
5 > 8 settembre Teatro India
11 > 15 settembre La Pelanda
esterno bar | tutti i giorni ore 21.00 circa
Una domanda a cui risponderanno artisti, filosofi, scrittori, giornalisti, spettatori, in una conversazione in pillole quotidiane, tra spettacolo e spettacolo.
Una serie di brevi incontri di orientamento per chi non sa più ritrovare le coordinate. Piccole indicazioni, racconti, riflessioni, a metà tra grande storia e vicende personali, per ritrovarsi o per continuare a perdersi.
Il ciclo di incontri è coordinato da Graziano Graziani.
Il programma:
Teatro India (lungotevere Vittorio Gassman)
5 settembre: Daniele Archibugi (CNR)
6 settembre: Azzurra D’Agostino (poetessa) e Pietro Del Soldà (ricercatore filosofia e giornalista di Radio 3)
7 settembre: Fausto Paravidino (drammaturgo, attore e regista) e un occupante del Teatro Valle Occupato
8 settembre: Viviana Gravano (docente di arte contemporanea e curatrice)
La Pelanda (piazza O. Giustiniani)
11 settembre: Antonio Pascale (scrittore)
12 settembre: Giuliano Battiston (afghanista, rivista Lo Straniero)
13 settembre: Marco Baravalle (curatore d’arte SALE Docks di Venezia)
14 settembre: Vincenzo Sparagna (fumettista e direttore Frigidaire)
15 settembre: Mario Perniola (filosofo) e Giuliano Compagno (saggista e scrittore)
Unisciti al coro. Rispondi anche tu alla domanda “Dov’è finito l’Occidente?” utilizzando i commenti sotto questo post. Le risposte saranno spunto di riflessione negli incontri durante il festival.
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8 commenti su ““Dov’è finito l’Occidente?” Scrivi la tua risposta alla domanda dell’anno di SHORT THEATRE 7”
a me è successo l’altro giorno che camminavo per strada e mi sono fermato a guardare la gente che avanzava e non capivo verso dove e allora mi sono detto: ecco forse non c’abbiamo molti motivi per andare verso qualcosa. magari è il caso di fermarsi un pò. ecco l’occidente finisce qui per me. dove il destino si riposa e l’orizzonte si svuota.
Figa questa edizione…la fine dell’occidente, la fine del pensiero contemporaneo…che la fine possa portare alla rinascita civile?
Nelle interminabili riprese dei film on the road. L’occidente si rifugia nella celebrazione del proprio mito.
L’Occidente non s’è mai mosso, non si muove dai tempi delle fondamenta greche. In realtà ho cominciato a pensare che queste fondamenta siano molto più simili ai pali di una palafitta: l’Occidente se ne è stato lì, per secoli, nella sicurezza della distanza dalle acque, al riparo dai movimenti peristaltici del mondo, costruendo ponti se bisognava procurarsi qualcosa oltre i perimetri noti, senza mai bagnarsi neppure le caviglie. Soltanto che ora il livello del mare comincia a salire, ben oltre le maree di un tempo: l’Occidente sonnecchia, qualche volta si agita e spera nell’altezza dei pali, al massimo prova a rinforzare il pavimento con qualche colla impermeabile comprata al discount. La verità è che non c’è speranza di non essere sommersi, finché si resta nelle palafitte. Ci sarebbe, per salvarsi, da smontare assi e pareti di legno, rinunciare alla chiusura e alla verticalità per costruirsi una chiglia, un albero, una barca; e galleggiare, accettando il rischio di prendersi qualche schizzo d’acqua addosso, ma senza rinunciare a dirigere le vele e decidere la direzione. C’è solo da capire se in tutto questo tempo passato sui pali, l’Occidente non si sia dimenticato come si fa una nave, come si sta in nave. Da est e da sud spuntano popoli più abituati al mare, al rischio e alla possibilità di affogare: sono preparati alle tecniche nautiche. L’Occidente rimugina: repubbliche, porti e colonie; passati secoli a navigare, si chiede se l’abbia mai fatto davvero. Se saprà imparare, o se preferirà aspettare lì, seduto, che l’acqua arrivi al mento. In fondo, non ci sarebbe nulla di così tragico: «un altro tempo ha altre vite da vivere».
MO
Zio Paperone e il tuffo nel black hole
Zio Paperone e il tuffo nel black hole è una storia disney sceneggiata da Giorgio Pezzin, disegnata da Guido Scala e pubblicata su Topolino n 1327-1328 nel 1981. La realizzazione coincise con l’uscita in Italia di un film di fantascienza Disney intitolato The Black Hole – Il buco nero che aveva tra i suoi interpreti Anthony Perkins ed Ernest Borgnine e aveva alcuni punti in comune con il fumetto (l’esplorazione dello spazio oltre il buco nero).
Trama
La terra si sta avvicinando ad un buco nero. Paperone vuole usarlo come discarica per buttarci i rifiuti però combina un pasticcio: infatti accumula miliardi di tonnellate di rifiuti in un unico punto e il peso di tutti questi rifiuti tutti insieme fa uscire la Terra fuori dalla propria orbita. La Terra esce dal sistema solare e viene inghiottita per metà proprio dal buco nero che Paperone voleva utilizzare come discarica.
Archimede Pitagorico inventa un razzo per tirare fuori la Terra dal buco nero. Il problema è che questo razzo ha come combustibile l’oro. Il sindaco costringe Paperone e Rockerduck a dare tutto il loro oro per utilizzarlo come combustibile. Tuttavia quando il razzo viene azionato la Terra non si muove.
Archimede, Paperone, Paperino e Qui, Quo e Qua decidono di attraversare il buco nero per vedere perché non ha funzionato il razzo. Si ritrovano nella Paperopoli del futuro dove incontrano il Paperone del futuro, il Paperino del futuro e i Qui, Quo e Qua del futuro. Scoprono che anche loro hanno inventato un razzo per uscire dal buco nero. Questa era la causa del mancato funzionamento del razzo. Qui, Quo, Qua e i loro corrispondenti del futuro scoprono che il Paperone del futuro aveva conservato di nascosto del denaro e lo convincono a utilizzarlo come combustibile per il razzo.
Qui, Quo, Qua, ritornati nel presente, intuiscono che anche il Paperone del presente aveva nascosto dell’oro e lo convincono utilizzarlo come combustibile. I due razzi nella Terra del presente e nella Terra del futuro vengono azionati e entrambe le Terre escono dal buco nero. La storia finisce con la Terra che ritorna nella propria orbita.
Negli occhi smarriti degli adolescenti che implorano uno sgurdo di benevolenza…
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Dov’è finito l’occidente?
E da quanto tempo sta finendo? Poco più di un secolo, forse, e quindi giusto un minuto, a prendere la distanza che ci vuole.
È finito nel momento in cui diventava tutto, attorno al 1905. Dopo la catena di montaggio arrivava la seconda epoca della trasmissione, quella immateriale, quella nel medium e a quel punto ogni cosa si riattaccava. Elettricità, fiori liberty di ferro, radio telegrafo ferrovie, fotografie cinema e chimica. Il mondo finiva quel giorno e l’Occidente era tutto il mondo.
1905 è ovviamente anche un conflitto di cui nulla sappiamo se non che fu l’inaugurazione vera della nuova epoca: la guerra cino-giapponese dove si trovò il modo tecnologico di sterminio e guerra.
Si inventava il campo come nuova figura della gestione della massa umana, detto poi lager o gulag ma sempre uguale è la figura, replicata poi senza conìscienza in ogni dettaglio della vita industriale di massa: allevamenti, maceri di vedura, discariche, supermercati. Ma l’esercizio si fece prima sull’umano, si cambiò quello. Dalle campagne a milioni e milioni e milioni trasportati nella trincea tritacarne. E poi nelle coreografie nazi fasciste. E poi nelle carestie staliniste. E poi basta, era finita finita! Si gridò a un certo punto: quaranta anni dopo nel medium viaggiarono le immagini dei sommersi dei campi e il sangue era tale che si credette davvero che una volta finito il mondo ci sarebbe stato il Nuovo. 45-65: vent’anni di slancio e di buone intenzioni. Le giovani i giovani occidentali erano totalmente nuovi, si correva il rischio di mandare tutto all’aria. 68-777: terza guerra mondiale e definitiva fine dell’occidente. Ecco fu allora a quanto pare che si tolse ogni vita alle idee e alle possibilità di essere Nuovo Mondo dopo essere stati il mondo.