Meno di venti ore al Festival dei 2 Mondi di Spoleto. Tra un progetto e l’altro non posso fare a meno di rispondere alla “chiamata alle armi” di #e20umbria che ha selezionato 6 blogger per raccontare il festival e il territorio. Un altro segnale positivo dopo l’esperienza di #teatrosu2piedi: finalmente anche il mondo del teatro si sta accorgendo delle innumerevoli possibilità della blogosfera! Sono insieme ai miei colleghi del mondo del teatro (diciamolo: non proprio blogger!) di Krapp’s Last Post e Il Tamburo di Kattrin e a 3 “veri” blogger di viaggio e di turismo: Fraintesa, Viaggio AnimaMente e Nonsoloturisti. A questo iniziale gruppo di 6 si sono aggiunti i 4 vincitori dello Spoleto56 Blogger Contest, sono in ottima compagnia!
Subito al mio arrivo mi reco a vedere la mostra Sconfinamenti a cura di Achille Bonito Oliva. La sede della mostra è la Rocca Albornoziana, costruita come roccaforte per la riconquista dei territori pontifici dal cardinale Albornoz nel XIV secolo. La Rocca era così inespugnabile da diventare nell’Ottocento carcere di massima sicurezza. Adesso è sede del Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, luogo per esposizioni e da sempre domina dall’alto la città. Insomma una location affascinante e prestigiosa.
Delle sei opere presenti nelle sale affrescate che danno sul Cortile d’Onore mi hanno colpito – guarda caso – quelle più legate alla dimensione performativa. Entrambe ad opera di artiste iraniane che sconfinano dai generi, come suggerisce il titolo della mostra. La prima è “Il teatro è vita. La vita è teatro” un ritratto fotografico di nove attori e attrici del teatro underground napoletano immortalati da Shirin Neshat. Nelle 9 immagini in bianco e nero a grandezza d’uomo esposte in fila emerge il dramma di un’interpretazione che diventa paura, ansia per la vita e il futuro. Con la fotografia il teatro svela tutta la sua intensa contemporaneità. L’altra opera degna di nota è il video di Shoya Azari “The King of Black”, un mélange di arte digitale, cinema muto, miniature persiane e azione teatrale con il quale l’artista riscrive un poema epico persiano del XIII secolo, omaggiando la sua cultura ma allo stesso tempo criticandone la rigidità politica e sociale.
Alle 19 è già ora del primo spettacolo. In residenza alla Chiesa di San Simone, interessante edificio smembrato dalle sue funzioni religiose e adesso spazio performativo e espositivo, la regista Irina Brook allestisce la sua Trilogie des Iles invadendo tutti gli spazi della chiesa. Assisto al debutto del primo tassello: “L’isola degli schiavi” di Marivaux. Per la regista l’isola è una spiaggia che da villaggio turistico diventerà incubo e alla fine riappacificazione. La sabbia in chiesa dà leggerezza all’azione, così come la musica che suona dal giradischi in console ne accentua i momenti allegri e comici. Ma il grande valore dello spettacolo sono l’interpretazione e l’affiatamento dei cinque attori, diversi nell’estrazione e nello stile. In ciascuno di loro regna il tragicomico, a partire dalla quasi clownerie acrobatica e arlecchinesca del tedesco Jeremias Nussbaum o dalla funambolica rigidità e dal camaleontismo felliniano dell’armeno Hovnatan Avedikian. Passando per la dolcezza, la passione e l’intensa presenza scenica del ruandese Augustin Ruhabura, senza dimenticare la buffa malinconia e la straziante carica erotica di Isabelle Townsend. Infine, arriva addirittura in platea la delicatezza e l’affascinante determinazione della franco-marocchina Ysmahane Yaqini.
Appena usciti abbiamo giusto il tempo di prendere al volo le scale mobili che portano a Spoleto bassa e raggiungere la straordinaria Chiesa di San Salvatore, capolavoro longobardo e patrimonio dell’UNESCO. Mi attende un’altra prima assoluta: il primo tassello di Decalogo Parte I, Comandamenti da I a V ispirato a Kieslowski per la regia di Stefano Francesco Alleva. Una coppia sulla quarantina, entrambi ginecologi, affrontano una gestazione complicata e si trovano a prendere insieme la difficile decisione di interrompere la gravidanza o meno. Nello sfondo sei musicisti nascosti eseguono il progetto musicale del M° Angelo Bruzzese. È interessante l’allestimento scenico di Stefania Sbarbati: l’azione invade sia il presbiterio che l’abside della chiesa, arredato con strutture fisse parzialmente trasparenti che esaltano fasci di luce. Bolle di sapone, palloncini e proiezioni a volte creano tensioni, altre volte le smorzano. Protagonista assoluta resta l’architettura di questo “luogo della Spiritualità nel senso più Alto e Universale”, ben esaltata dal disegno luci ad opera di Alleva stesso con Giulia Ausili.
La serata termina con un’ottima cena al ristorante Apollinare, guidati dallo chef Michele Pitone: caramella soffiata alla caciottina locale con fonduta di parmigiano e tartufo / strengozzi alla spoletina con salsa di pomodoro, peperoncino e prezzemolo / lombello di maialino in rete di lardo con salsa delicata al pecorino e pere al rosso di Montefalco / crema catalana al caffè. Il tutto innaffiato dall’immancabile Rosso di Montefalco. L’indomani è già tempo di ripartire. [sp]
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5 commenti su “Spoleto 56: finalmente blogger ospiti a un festival di teatro!”
Viva i blogger che ci permettono di assaporare i festival irraggiungibili!
e bravo Pacini!!
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