L’ultima volta che ero stato a vedere il Teatro Povero di Monticchiello era il 2002, in quegli anni, come si evinceva dallo spettacolo Tepopotratos Museum, il timore degli abitanti/attori del borgo toscano era quello di non diventare un “museo vivente”. Per esorcizzare questa paura nacque l’anno dopo il vero museo, che ho visitato poco prima dello spettacolo. Il museo interattivo si trova nel granaio accanto alla chiesa. Il granaio è anche sede della cooperativa del Teatro Povero.
La piazzetta è la stessa di tredici anni fa, siamo alla vigilia del cinquantesimo compleanno e il fermento nel paesino è immutato. Non starò a raccontare nel dettaglio la storia di questa esperienza cominciata nel 1967, mi basta ricordare come nel caso di Monticchiello il teatro abbia salvato un paese con meno di duecento abitanti tra le mura medievali, mantenendo intatta una comunità. La cooperativa infatti sopperisce alle tante mancanze che ha una piccola frazione: provvede ai medicinali, fa da Pro loco e da info point, seppellisce cani morti! Ci troviamo nel Comune di Pienza e raggiungere Monticchiello con i mezzi pubblici – lo so per esperienza! – è pressoché impossibile.
Venendo all’“autodramma” (la definizione è di Giorgio Strehler) di quest’anno, dal titolo emblematico Il paese che manca, lo spunto è il ventesimo compleanno dell’ultimo ragazzo rimasto in paese. Un momento di riflessione per tutta la comunità. Il toscano arcaico della nonna introduce la vicenda nella prima scena, fatico a comprendere alcune parole nonostante la lingua sia vicina alla mia. Penso alla mia, di nonna, e comprendo come i piccoli grandi temi che vengono affrontati non siano sentenze ma spunti di riflessione: nuove generazioni e nuove tecnologie, l’ufficio postale del paese che chiude, emigrazione e immigrazione. Mentre i giovani toscani vanno a Londra o a Berlino molti altri giovani vengono dall’estero in Italia e fare i lavori che gli italiani non vogliono fare più.
La piazzetta è abbastanza piena, il pubblico è composto da gente del luogo, aficionados, radical chic che vengono in vacanza in zona. Il testo si sviluppa coinvolgendo emotivamente ogni spettatore perché la grande capacità del Teatro Povero di Monticchiello è quella di creare ponti fra grandi e piccoli problemi, micro e macro punti di vista, perdite e mancanze in un’ottica quanto mai “glocal”. Un teatro che è un invito al dialogo, una riunione, uno scambio di opinioni, un’assemblea e una festa, sottolineata anche dalla tavola col rinfresco sul proscenio di fronte agli spettatori.
Vivere Monticchiello è anche un’immersione sensoriale (non puoi perderti i “pici”, la pasta fatta a mano nell’adiacente Taverna di Bronzone gestita dal Teatro Povero) in un’esperienza unica sulla quale sono state scritte migliaia di parole e alla quale, per il suo cinquantesimo compleanno, auguro di diventare internazionale. Cercando di attrarre nuovi pubblici, superare lo scoglio della parola intercettando le tantissime persone nordeuropee e nordamericane che ogni anno invadono la Val d’Orcia alla ricerca di un turismo esperienziale che potrebbe avere nel Teatro Povero la sua eccellenza. Lo spettacolo replica tutte le sere fino a Ferragosto compreso.
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