Settantacinque minuti di assoluto – e divertito – relax, più o meno, è il tempo della vacatio mentis che TAP Ensemble sa regalare in “Don Giovanni in carne e legno” ed in cui il pur celeberrimo e celebrato Casanova sembra diventare quasi solo un pretesto per raccontare come Commedia dell’Arte e ‘guarratelle’ – i tipici burattini della tradizione partenopea – non siano poi così lontani e come – forse – sia ancora possibile per un pubblico iper informatizzato e – spesso – iper sollecitato da un teatro di ricerca, provocazione o a sfondo sociale, tornare a fruire della candida meraviglia del teatro di figura.
Ovviamente, perché l’operazione possa andare a buon fine, occorre che, dietro a quei meccanismi così splendidamente rodati da fluire senza sforzo apparente, sia ben coesa – e questo è senz’altro il caso – una macchina teatrale dall’abilità consolidata e in grado di far pervenire il suo magico risultato, portandoci quasi a scordare che si tratta di finzione scenica. In nessun’altra maniera, infatti, si riuscirebbe a giustificare la coesistenza di figure dalle dimensioni e dalle consistenze così eterogenee come si trovano, a volte, solo in certi presepi, in cui le figure più grandi vengono esibite a bella posta in primo piano, per relegare le più piccole dietro, in un improbabile gioco naif di prospettiva spicciola; la dice lunga, in tal senso, tutto il battibecco fra i ‘tipi’ Spaccamontagna e Scendicollina nel loro gigionico cercar di tenere a mente le dimensioni del ricercato: assassino eppure non più alto di una spanna… Già perché ‘il ricercato’ – Don Giovanni – come pure ‘il gendarme’, ‘Pulcinella’, ‘Isabella’ ed ‘il commendatore’ di lei padre appartengono alla schiatta delle ‘guarratelle’: e si affacciano dall’essenziale e poliedrica struttura in legno – di Brina Babini, come pure marionette e testa di Casanova -, entro cui le anima il burattinaio Luca Ronga; e fa fare loro acrobazie godibilissime: una per tutte, il sorprendente pezzo dell’inseguimento di Pulcinella, con le argute e sottili variabili delle scale, scale a chiocciola, scale mobili, ascensore, in un gioco di spostamenti e coordinazioni, che sorprendono e divertono il pubblico, fino ad ammaliarlo nell’enfatico rallenty. E se, ad un certo punto, il minuscolo gendarme irrompe nella realtà gigantesca degli esseri umani, altrove sono questi – a loro volta – a comparire strizzati nella torre/scatola magica – un po’ casa di Don Giovanni ed un po’ luogo dei tormenti amorosi di Elvira -, quasi a rendere omaggio ad una reciproca contaminazione. E poi c’è lui: Don Giovanni appunto, replicato – anche – dalla marionetta a dimensioni reali portata in giro a sedurre fanciulle, donne – ma anche i loro mariti… – in una bramosia inappagabile. “Cambia, Don Giovanni. Se non ti convincono neppure le lacrime di chi ti ha amato tanto, fallo per te…”, le dice lei; ma lui se la ride, nella sua scarlatta fulgidezza – un’inconsistente tunica di morbida seta rossa -, sormontata da una testa dai tratti di un feroce Saladino dalla risata sardonica, che strizza l’occhio alle fattezze di un immaginario conte Vlad. E’, quest’inconsistenza, forse, l’accorgimento scenico, usato dal regista Ted Keijser per dirci che siamo in un flash-back: la pièce si era aperta con l’ entrata solenne dei personaggi da fondo sala, al rintocco di una campana d’inizio rito; e poi i quattro – burattinaio e attori – si erano disposti al di là della bara, svenendo, a turno, per risorgere a nuova vita: l’uno di animatore di figure in legno, gli altri ad incarnare le maschere della Commedia – uscite dalle mirabili dita di Andrea Cavanna -, coi loro frizzi, lazzi, equivoci, battibecchi e virtuosismi. Come non citare, qui, il mozzafiato riassunto dei fatti – tutto d’un fiato – di Pantalone o il sempre arguto fingersi ingenuo di Pulcinella – ‘pro dono sua’ – al punto da far impiccare, al proprio posto, il suo stesso padrone: a quel cappio che era stato invece annodato proprio per lui.
E così, in questa scenografia essenziale – pochi gli elementi e le tonalità cromatiche: accese dal rosso del mantello del protagonista, ma, soprattutto, dal ritmo incalzante delle boutades dell’intreccio – tutto è rimesso alle mani dei tre attori – Nicola Cavallari/ Pantalone/ Spaccamontagna, Eleonora Giovanardi/ Elvira/ Scendicollina e Gianluca Soren/ Pulcinella –: intrattenere il pubblico con la loro indubbia bravura e guadagnarsene il consenso con sketch dalla stupefacente agilità: quello del: “Se gli dai un dito…”, ad esempio, giocato nella sorprendente sincronia di rimpalli di un ipotetica protuberanza comune, o, ancora, quello, in cui la pulzella, sempre ad un passo dall’esalar l’estremo sospiro d’amore, improvvisa una sorta di musical, con gli altri due a fargli da ironica coreografia. Esatta, la misura di tempi e teniture.
“R-existir. Atti per una cultura comunitaria” – non solo rassegna di Teatro di Figura – prosegue al Teatro Verdi fino a sabato con “Il complice” di Dürrenmatt – produzione Mitmacher – e con una serie d’incontri che vede Terzo Paesaggio, Odemà ed Eco di Fondo impegnati ad incontrar la popolazione in giro per i luoghi del quartiere ed in alcuni momenti a teatro: Tavolo di Crowdfuding, domani, Tavolo Microcredito e Monete Locali, venerdì pomeriggio.
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