Debutta domani (repliche fino al 30) al Teatro della Tosse di Genova “Axto – oratorio per corpi e voci dal labirinto” nuova produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse e Balletto Civile, con la regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti, spettacolo che affronta il mito del Minotauro. Per l’occasione ho rivolto alcune domande al regista (che firma anche i testi e l’impianto scenico) Emanuele Conte.
Artisti in Piazza
Simone Pacini: Ho avuto il privilegio di assistere all’anteprima di Axto (qui c’è una gallery) quest’estate al festival Artisti in Piazza di Pennabilli, grande festival di circo e teatro di strada, che ha anche coprodotto lo spettacolo. Come nasce questo connubio fra tre realtà (Teatro della Tosse, Balletto Civile e Artisti in Piazza) apparentemente così diverse fra loro?
Emanuele Conte: Con Enrico Partisani (fondatore e direttore di Artisti in Piazza) ci conosciamo da venticinque anni e da molto tempo c’era una volontà reciproca di fare qualcosa insieme. Avevo fatto una piccolissima esperienza con un mio precedente spettacolo a Pennabilli prima che nascesse il festival e quest’anno finalmente c’è stata la possibilità di fare questa importante coproduzione. I motivi sono molteplici: primo fra tutti la curiosità di portare un nostro spettacolo, che frequenta principalmente i teatri, sotto uno chapiteau. Una curiosità che si estende anche verso tutto il mondo del circo, poiché negli anni abbiamo esportato i nostri spettacoli ovunque tranne che sotto un tendone! Ci sembrava importante cercare nuove possibilità, e anche soprattutto un nuovo pubblico.
Il labirinto del Minotauro
Simone Pacini: Ho letto che in occasione del debutto sarà ricreato il labirinto del Minotauro negli spazi del teatro. Mi vuoi descrivere meglio cosa state realizzando?
Emanuele Conte: In questo momento ci sono in mezzo. Davanti a me c’è una stanza (che abbiamo costruito) con un pianoforte, un servizio da tè, un lampadario caduto su un tavolo rovesciato, un tappeto. È un salottino di una signora anziana che serve un tè a se stessa e a un ospite immaginario e poi si mette a suonare. La stanza è chiusa e si può guardare solo dalle porte. Abbiamo voluto creare un labirinto della solitudine, dove si può entrare nelle case delle persone per vedere come ognuno si isola dal mondo.
C’è la cameretta dell’hikikomori con un ragazzino che vive chiuso nella stanza, tra pacchi di patatine, computer, un lettino e tantissima confusione. Si può vedere attraverso un vetro come se fosse un acquario. C’è una stanza piena di mobili accatastati uno sopra l’altro dall’accumulatore seriale, che si rinchiude nella stanza con oggetti tecnici e tecnologici. Le ali di giunco appese al soffitto lo fanno sembrare una specie di Dedalo o di Icaro.
Tutti questi set vengono “agiti” da danzatori e attori con azioni di pochi istanti. Il pubblico passa per vedere queste suggestioni mentre va verso il palcoscenico principale dove c’è lo spettacolo vero e proprio. Il percorso del labirinto si sviluppa tra la sala piccola e i camerini, dai quali si esce per poi rientrare da quelli della sala grande e infine sbucare in palcoscenico. Siccome la chiave dello spettacolo è la famiglia con i rapporti al suo interno, questo prologo dà l’idea di entrare nelle case spiando dal buco della serratura.
Julio Cortázar
Simone Pacini: Oltre ad essere regista di Axto hai scritto anche il testo. Ci sono dei riferimenti particolari? Ho letto una citazione dantesca: il Minotauro appare nell’Inferno…
Emanuele Conte: In realtà la Divina Commedia c’entra poco, ho avuto più riferimenti leggendo Julio Cortázar che mi ha dato la possibilità di capire come si potesse usare un linguaggio lirico e prosaico al tempo stesso. In Axto non c’è il linguaggio che noi usiamo quotidianamente, perché penso che per parlare del mito non si possa utilizzare un linguaggio eccessivamente contemporaneo. Era comunque necessario cercare delle immagini poetiche con un linguaggio semplice, efficace e diretto ed era fondamentale non perdere l’aspetto poetico della vicenda. C’è molta poesia nella storia del Minotauro e questa deve essere presente nel linguaggio. Poi magicamente le parole, la danza e la musica si fondono e anche se ho scelto di astrarre gli attori dall’azione scenica, alla fine non c’è l’impressione che le cose siano distaccate. Si sente una coralità, o almeno questa è stata la nostra intenzione.
Il fatto che un lavoro così complesso abbia avuto uno straordinario riscontro con il pubblico di Pennabilli, festival nel quale uno spettatore si poteva aspettare qualcosa di tutt’altro tipo, vuol dire che è uno spettacolo che può parlare a tutti anche mantenendo un linguaggio alto sia dal punto di vista “fisico” e coreografico che letterario.
Impianto scenico
Simone Pacini: La scena che tu firmi nell’allestimento che ho visto aveva dei riferimenti circensi: i nastri elastici dove i danzatori si infilavano e si attorcigliavano rimandavano al circo. Anche la terra che fa da pavimento poteva assomigliare a quella presente in tutti i tendoni del circo classico. Alla Tosse tutto questo sarà ripetuto o andrai in un’altra direzione?
Emanuele Conte: Quella di Axto non è una vera scenografia. L’impianto scenico è stato pensato con Michela: ci piaceva l’idea di usare dei mobili semplici, di avere pochi elementi. Siamo partiti con un sacco di roba che in seguito abbiamo tolto per tenere l’indispensabile, in modo che l’interno di una casa si potesse trasformare in qualunque altra cosa. La terra è l’elemento fondamentale: un modo per far tornare il mito alla sua origine fatta di terra, sudore e sangue, come nella vicenda. Mi pare che sia il giusto contenitore per quelle storie e tutto ciò non cambierà facendolo in palcoscenico.
Ormai lo spettacolo è nato e la scena è servita per farlo nascere. La scenografia – come diceva Lele Luzzati – una volta che lo spettacolo è pronto e gli attori hanno assimilato l’ambiente in cui vivono si potrebbe anche eliminare, se si tratta di una buona scenografia. Adesso lo spettacolo è pronto, la scenografia è lo strumento che è servito agli attori e ai registi per crearlo ma lo spettacolo lo fanno gli attori e i danzatori e non una scenografia, per quanto possa essere bella. La più bella scenografia è quella funzionale, che serve. La nostra non è una scenografia pittorica o d’immagini. Il sottotitolo dello spettacolo è “oratorio per corpi e voci”: volevo che gli oggetti scenografici fossero semplici ed essenziali. La parte umana deve venire fuori perché lo spettacolo è denso di umanità. Per questi motivi, si potrebbe anche togliere quella terra dal pavimento, ma forse non ne vale la pena!
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