“Divine parole” di Ramón María del Valle Inclán – traduzione, qui, di Maria Luisa Aguirre d’Amico – è la regia con cui Damiano Michieletto si trova a dover rompere il ghiaccio, subito dopo l’ultima fatica di Ronconi – produzione, anch’essa, del Piccolo Teatro di Milano.
Un ossimoro. E’ questo quel che vien da pensare uscendo di sala, perché questo spettacolo riesce a tenere insieme elementi discordanti, fondendoli in una restituzione, che non è sintesi – non accomodante coincidentia oppositorum; ma fermo giogo di cavalli furibondi e recalcitranti, a cui sia stato imposto, infine, il fiat dell’autorevolezza.
Non è agli attori, che mi riferisco, evidentemente; quanto piuttosto a quegli elementi discordanti, che sono la meschinità e la brutalità dell’umanità rappresentata, ma raccontate attraverso una pulizia formale quasi raffinata; la miseria di uno spaccato da corte dei miracoli, ma una straordinaria grandiosità di mezzi per restituircela; una verità impietosa e quasi trash – ancestrale, grottesca, pruriginosa -, ma che passa attraverso una recitazione, che risuona d’accademia. L’effetto è volutamente surreale. E’ l’esperpento: deformazione grottesca – e non realista – con esplicito intento di critica sociale; genere letterario inaugurato a inizio “900 proprio dall’autore.
Lo vediamo fin da subito. Il riecheggiare solenne e grandioso di un“Kyrie eleison” così denso da saturare l’alta volta del teatro, accompagna l’ingresso di Pedro Gailo, il sagrestano – un Fausto Russo Alesi, capace di modularsi nei più svariati e repentini sbalzi d’umore e di affettività, che il suo poliedrico personaggio gli richiederanno. E’ già uno sconfitto: ce lo dicono la sua postura cascante, il ritmo affaticato del suo incedere e quell’intento fobico di gettare mattoni e passatoie, davanti a sé, per non sporcarsi col fango che riempie l’ampio spazio/ideale ring, che lo separa dalla luce a fondo sala. E’ la sua Chiesa – il suo rifugio di salvezza, per ora. Ma a quale prezzo!
Frattanto le didascalie, scandite da una voce fuori campo, suggeriscono l’ambientazione.
Una chiesetta di paese vicino a un cimitero e l’azione scenica introduce l’antagonista: Sétpimo Miau – interpretato da un Marco Foschi, folle, scolpito nella sua maschera di cattiveria dimentica di qualsiasi umanità e supponente fino al delirio. Chi è, lui? Forse il Diavolo – come suggerirà il bestiale duello contro Pedro – o forse un ‘pazzo’ – bella, l’immagine dell’ “Appeso” dei Tarocchi e della sua risata sardonica, mentre oscilla, a testa in giù, a mezz’aria. Ma questa è solo una delle linee del conflitto. Accanto a questa – i due si contenderanno Mari-Gaila/Federica Di Martino, moglie del primo e ammaliata dall’altro -, la trama racconta l’azzuffarsi per il ‘carrozzino’ – dentro, il nano idrocefalo, figlio di Juana/Sara Zoia, la cui custodia gli è contestata dall’altra sorella Marica/Cinzia Spanò. Ma lo scontro è fa donne: l’una, Mari-Gaila moglie di Pedro, biecamente acciecata dalla fonte di rendita che l’infelice rappresenta, l’altra, Marica, a rivendicare il diritto di sangue – ma poi di fatto neppure lei così riottosa dall’approfittarne del pietoso guadagno. Si delineano subito, i personaggi – in realtà più tratteggiati attraverso l’esteriorità degli agiti, che non scandagliati nella complessità psicologica -: dalla salomonica Rosa La Tatula/Bruna Rossi – è lei a suggerire l’affido condiviso: “Tre giorni a testa e le domeniche alternate” – a Simoniña/Petra Valentini – la candida figlia di Pedro e Mari-Gaila -, da Miguelin/Gabriele Falsetta – il subdolo trans geloso di Miau – al Cieco di Gondar/Nicola Stravalaci – morboso e voglioso.
Siamo all’acme del tutto contro tutti: ciascuno biecamente intento a guardare al proprio tornaconto, senza il minimo afflato a sollevarsi dal pantano in cui tutti sgrufolano – e non solo in senso figurato. Un’umanità terribile, orrenda, primordiale e resa brutta, anche dai costumi ben disegnati, ma che presto cedono il loro candore agli assalti del fango – qui, sì, anche in senso figurato. Solo Pedro e Simoniña – l’uno col suo preciso gilet di lana a rombi e l’altra, veste candida e scarpette rosse – sembrerebbero perseverare in quell’ipocondria da contaminazione; ma poi quell’acqua pazza – si dice sia stato un sorso d’acqua contaminata ad rendere orfano l’infelice – non sembra risparmiare neppure loro, trascinati, entrambi, loro malgrado nel fango.
Solo tre giorni – questo, il tempo scandito dalle didascalie -, per il deflagrare della catastrofe.
Ma nessuna Resurrezione ad epilogo di questo triduo di passione. Assistiamo, invece, ad un imbestialimento sempre più diffuso ed accentuato – la scena dello sbranamento dei maiali ne è lampo eidetico – e, per contraltare, ad un gioco di movimenti scenici, gruppi quasi scultorei e luci sofisticate e sempre più partecipi della funzione narrativa. Certo: di grande effetto. Eppure: vien da chiedersi cosa resterebbe – al di là di un’idea registica senz’altro lucida e al contempo visionaria – e di interpretazioni attoriali generose ed eccellenti – come quella di Russo Alesi, ma anche precise e coerenti come quelle di Foschi e degli altri -, non si fosse disposto anche di quei potenti mezzi di produzione, che pochi registi oggi giorno hanno a loro disposizione.
Frattanto in replica al Piccolo Teatro Studio di Milano per tutto aprile, per lasciarsi sgomentare come da ogni verità forte e per questo capace di schiaffeggiare il perbenismo farisaico, ma anche di sollevare – come ogni epilogo, che, condannando, finisca per auto assolversi.
“DIVINE PAROLE”
Piccolo Teatro Studio Melato
dal 25 marzo al 30 aprile 2015
Divine parole
di Ramón María del Valle-Inclán
traduzione Maria Luisa Aguirre d’Amico
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
luci Alessandro Carletti
Personaggi ed interpreti (in ordine di apparizione):
Pedro Gailo Fausto Russo Alesi
Séptimo Miau Marco Foschi
Poca Pena / Benita Lucia Marinsalta
Juana la Reina Sara Zoia
Rosa la Tatula Bruna Rossi
Miguelín el Padronés Gabriele Falsetta
Donne Federica Gelosa, Francesca Puglisi
Mari-Gaila Federica Di Martino
Marica del Reino Cinzia Spanò
Il Cieco di Gondar / Milon Nicola Stravalaci
Simoniña Petra Valentini
e con gli allievi del Corso “Luchino Visconti” della Scuola di Teatro Luca Ronconi
Alfonso De Vreese, Benedetto Patruno, Marco Risiglione
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
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1 commento su “Divine parole e un’umanità scellerata per la prima regia di Michieletto al Piccolo”
Ho visto lo spettacolo la settimana scorsa e mi ha colpito molto per la sua originalità. Ho trovato davvero un linguaggio personale e nuovo nel panorama della prosa nostrana.
Grazie al Piccolo per questa bella produzione.
Bravissimi Foschi, Di Martino, Alesi.
Alcuni momenti della regia direi geniali.