Giusto un paio di date, 16 e 17 gennaio 2018, al Teatro Fontana di Milano, per portare in scena “Supermarket – a modern tragedy”; questo il tempo presosi dalla compagnia Tiktalik Teatro per mostrarne al pubblico il primo studio. La consistenza è già quella di uno spettacolo compiuto, eccezion fatta per quel finale evidentemente ancora tutto da inventare.
Così Gipo Gurrado, librettista, compositore e regista – numerose le sue collaborazioni sul versante del teatro indipendente e non solo, fra cui la celeberrima “Modì”, musical alla sua maniera, sulla vita dell’omonimo pittore -, decide di affrontare il tema della contemporaneità. Insieme a Livia Castiglioni, sceglie di acchiapparlo da una situazione quanto mai quotidiana: il supermarket, che, da luogo fisico della grande distribuzione, si trasfigura in non luogo dello straniamento e della solitudine, questo sì, ma, soprattutto, dell‘ipocrisia sociale, in un divertito affresco giocato fra intelligenza e comicità. Una fenomenale lente d’ingrandimento di quello shakespeariano scontento, che fa subito tragedia.
Non è la riproduzione realistica, ciò che interessa qui: non ci sono bambini vocianti, né massaie alle prese col quotidiano rito, non adolescenti a bighellonare per ingannare il tempo, né muratori o artigiani, che, alle dodici in punto, già si affrettano a comprare qualcosa da mettere sotto i denti per sostenere la lunga mattinata di lavoro; non ci sono persone anziane a consumare quell’incombenza sospesa fra necessità, desiderio e ultimo rigurgito di vita sociale.
Piuttosto pare che a incuriosire siano quei personaggi, in cui la modern tragedy consente ancora di mantenere la leggerezza del riso, pur nell’arguzia della stilettata ironica. Così gli stereotipi della commedia – Commedia dell’Arte, intendo – ci sono tutti: dagli innamorati (Isabella Perego e Roberto Marinelli), ovvio, in versione newage, all’innamorato timido e impacciato (Giuseppe Scoditti), che, da Pierrot, torna indietro fino a quel Pedrolino, qui presente pure nella versione originaria del tombeur de femmes (Andrea Lietti), che ironicamente strizza l’occhio al celeberrimo fenomeno del supermarket per single, dove, complice anche un pakaging mono-dose, si va non solo per fare la spesa… Non di meno gli altri personaggi – “La follia, in tempi di costi di produzione altissimi, com’è ai nostri giorni, è di portare comunque in scena ben nove attori”, mi confidava Gipo, in un fugace momento del dietro le quinte -, sembrano reinventarsi altre maschere, slabbrandole e adattandole a un mondo e a una comunicazione oramai più che trepuntozero. La cassiera (Cecilia Vecchio) sembra essere la grottesca riproduzione di una Colombina esplosa nel più tagliente clichet della disperate (hausewife) – interessante anche la scelta di una fisicità importante, che, se poco sembra adattarsi alla civetteria della servetta goldoniana, brandisce tutto il suo physique du rôle in un’assertività prepotente, a tratti, e, a tratti, melodrammatica, ma dall’innegabile effetto esilarante. Rivisitazione del tutto contemporanea sono l’amante, in questa società in cui pochi sembrano volersi assumere l’onere di rapporti affettivi stabili, ma, in compenso, tantissimi amano intrecciare relazioni parallele e non convenzionali, (Federica Bognetti), gelosa, irascibile e chiacchierona come una Rosaura e il salutista (Carlo Zerulo), saputello quanto un Balanzone. L’insofferente alla cassa (Andrea Tibaldi) e l'(auto) citazione dell’attrice, che sta provando esattamente questo spettacolo (Elena Scalet) – omaggio anche a quel teatro nel teatro, che fu di un Pirandello profondo conoscitore di altre maschere, eppure non diverse forme di dissimulazione sociale – , spingono ancor più in direzione di un hic-et-nunc con cui pure innescano un cortocircuito.
Ma, al di là di tutto ciò, interessante è la forma: il musical, cifra di Gurrado, ma alla sua maniera, come si diceva. Capace di mixare coreografie accattivanti (i movimenti scenici sono affidati a Maja Delak, capaci e generosi sono gli attori nell’abbandonarsi a una performatività totale) e una vivace alternanza di assoli, pas-à-deus, duetti contemporanei, ma dalla classica impalcatura tragica, fra eroe e coro e scene narrative d’ensamble (ma che non per questo rinunciano a sparigliare, riuscendo anche a stupirci, con movimenti diacronici e studiatamente scomposti), il suo concept di musical risulta essere un modo di raccontare cantando – in questo “Supermarket”, poi, praticamente non esiste altra modalità narrativa -, che, lungi dal mondo e dal modo patinato, riesce ad accompagnarci nel territorio dell’ironia e della satira, della risata liberatoria, che esplode di fronte a un politically finalmente scorrect. Nessuna ferocia in questa vis giocosamente dissacratoria, ma un prezioso equilibrio di intelligenza e leggerezza, che, senza abdicare alla stoccata pungente, non accusa e non recrimina, ma tratteggia un mondo di figurini quasi felliniani entro cui non si può che sprofondare in un cullante mirroring. È la musica, poi, che – dolente, spesso, e quasi amara, in contrasto alla leggerezza di un detto ostentatamente formale e garbato, nonostante l’esplicito sotto testo irriverente -, con la sua densità quasi straziante, trascina nel mood emozionale, esplicitando la consistenza tragica, in filigrana a quello che, nonostante tutto, avrebbe ancora potuto sembrare un moderno e consumistico paese dei balocchi. Invece si fa luogo di (auto)disvelamento e termometro dell’insofferenza, fretta, superficialità, ipocrisia e ferocia di questa nostra società di eterni irrisolti.
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Elemento non degno di menzione, infine, è come in questo progetto si coagulino e si consolidino relazioni professionali certo sedimentate nel tempo, ma anche capaci di innescare ulteriori sinergie, in quella rete virtuosa oltre che spesso virtuale (nel senso di: “amplificata dalla rete), che è una delle poche possibilità di sopravvivenza del cosiddetto teatro indipendente. Così Federica Bognetti, ad esempio, compariva nel cast di “Modì”, ma era anche in quel “Variegato all’Amore”, scritto e interpretato, fra gli altri, da Andrea Tibaldi, autore anche del sequel “Affogato all’odio”, in cui compariva Cecilia Vecchio; e Isabella Perego e Luca Lietti – con Francesco Errico Compagnia Puntoteatrostudio – si sono formati alla scuola di Quelli di Grock, alle cui produzioni per il Teatro Leonardo Gipo Gurrado ha spesso collaborato.
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