di Carla Capodimonti e Richard Pettifer
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Mladen Alexiev è un creatore teatrale dalla Bulgaria. Ha partecipato al Festival di Terni 2014 con due diverse opere dal titolo Standing Body e A Poem, che dà il nome “The rain will not erase it” all’intero Festival.
Carla Capodimonti: Ho trovato il tuo lavoro sul “camminare” molto interessante. Nella storia dell’arte possiamo trovare molteplici esempi e ispirazioni su questo tipo di pratica: nel 1921, Dada organizzava una serie di visite guidate e escursioni in vari luoghi banali della città, nei primi anni ‘50 l’Internazionale Lettrista iniziava a elaborare la “teoria della deriva” che si orientò poi verso la produzione di situazioni sperimentando comportamenti creativi e ludici e il concetto di urbanismo unitario. Constant rivisitava la teoria Situazionista per sviluppare l’idea della città nomade (“Nuova Babilonia”) introducendo il tema del nomadismo in architettura. Dalla metà del secolo gli artisti iniziavano a utilizzare il “camminare” come forma d’arte per operare nella natura. Nel 1966 la rivista Artforum parlava del viaggio di Tony Smith in un’autostrada in costruzione. Nel 1967, Richard Long realizzava “A Line Made by Walking”, una linea disegnata calpestando l’erba di un prato. Dal 1955 il gruppo Stalker conduceva alcune letture di città in varie parti d’Europa dal punto di vista dello stupore, per investigare le aree urbane e le trasformazioni contemporanee in una società in cambiamento.[1]
Hai trovato qualche tipo di ispirazione nella storia dell’arte per il tuo lavoro “A poem”?
Qual è la tua definizione di “walking poem”?
Mladen Alexiev: In realtà, il punto di partenza per l’intervento “The rain will not erase it” è ciò che ho realizzato ad Amsterdam nell’autunno del 2013 e il suo seguito – il progetto fotografico “A poem”, sviluppato in collaborazione con la fotografa italiana Eleonora Anzini e presentato nella cornice della scorsa edizione del Festival di Terni – provengono da miei personali interessi del tutto opposti. Per molto tempo non sono stato attratto dall’atto di camminare, ma, al contrario, dall’atto di non muoversi. A un certo punto nella mia pratica ho voluto mettere a nudo tutto quello che so sul fare teatro. Ho pensato – qual è l’espressione fisica minima che un individuo può fare senza una particolare preparazione, qual è la minima dichiarazione (politica) che un unico corpo può esprimere? E ho scelto un semplice punto d’ingresso: un corpo entra in uno spazio e il suo aspetto è già una dichiarazione, inevitabilmente. Non si tratta di camminare, ma piuttosto di assumere una posizione. Letteralmente. Per tenere indietro il proprio “io”. Per rendere il proprio corpo visibile attraverso la disciplina imposta. Per lasciarlo da qualche parte. Negare al corpo il diritto di circolare, tentando di porlo in battuta d’arresto. Sono commosso dallo stato di emergenza che questo semplice atto suggerisce.
Perciò, non sono interessato alla storia dell’arte, in primo luogo. A un certo punto del processo, collegamenti e riferimenti appaiono inevitabili. Ma trovo piuttosto soffocante averli come punto di partenza. In conclusione, la storia dell’arte è un cimitero in cui ci ritroviamo aspiranti, oppure viene attribuita a certi lignaggi, a tentativi e illusioni. Il nostro amore dunque la rende viva.
Richard Pettifer: A proposito del fenomeno dell’arte urbana (urban art). C’è una specie di ossessione in questo momento sulla fusione tra arte e architettura e la pianificazione urbana, al fine di rendere tutto ciò di nuovo arte-funzionale. Nelle parole e le immagini di “A Poem” percepiamo forse qualcosa di diverso, qualcosa di più inutile e futile, in contrasto con il progresso inteso come movimento attraverso diversi spazi di Terni. In quest’opera è raffigurata solo gente locale che tiene in mano i segni della protesta – ovvero non esiste un vero e proprio attivismo (e nessuna azione reale) in ciò. C’è?
MA: Certo che no! Nel progetto fotografico “A Poem” stiamo usando i cartelli della protesta, ma con loro ci dirigiamo verso qualcos’altro. Sono stato impegnato con l’attivismo culturale nel mio paese per un bel po’ di tempo e sono assolutamente stufo di esso. Perché dovremmo giustificare l’arte per compiacere alcuni banchieri psicopatici e politici miopi? E’ davvero affascinante come l’intero settore culturale è pronto a proporsi immediatamente, letteralmente, a presentarsi di fronte ai suoi padroni finanziari, rinunciando alla dignità stessa del fare arte.
Quindi – no, non mi interessa ridisegnare la città, al fine di rendere l’ambiente di tutti i giorni più divertente per le persone che lo vivono, e per dimostrare che le questioni d’arte sono importanti. Perché è importante comunque. Tutto il mio risentimento verso le cosiddette “industrie creative” riguarda il fatto che stanno offrendo della “torta” alla popolazione quando quest’ultima non ha neanche pane da mangiare. Non vedo nessuna concentrazione su “soluzioni creative” in determinati casi di miseria, quando la reale domanda dovrebbe essere – com’è stata prodotta questa sofferenza, in che modo è stata prodotta dall’attuale modo di governare, e come mai si continua a generare?
La nostra riflessione è molto molto semplice: prendiamo una posizione per ciò che è fuori dalla vista comune, e forse per le cose che ancora non esistono. Non per protestare contro qualcosa, ma piuttosto per sottolineare il nostro bisogno di affermare delle idee fuori dalla realtà del contesto personale, sociale o politico.
CC: Per quanto riguarda “A poem”, hai scritto una sorta di “status” per le persone che hanno voluto prendere parte al progetto. C’erano alcune domande a cui rispondere, come ad esempio “Per cosa ti piacerebbe che la tua vita sia da esempio?”, “Per cosa moriresti?” e “Qual è la cosa più importante nella vita per te?”
Com’è stata la tua esperienza a Terni, e, hai trovato alcune differenze tra Italia e altri paesi in termini di aspettative di vita?
MA: E’ vero che le nostre aspettative di vita sono differenti? Non credo. Certe domande sono solo inneschi. La differenza o la similarità nelle risposte è qualcosa che non riguarda l’azione del gruppo del poema. Infine, le risposte servono alle persone per aprire se stessi allo spazio e (eventualmente) per connettere a tale azione di attesa un segno nello spazio pubblico. Dal lato dei partecipanti, l’importanza sta nel trovare un motivo personale per svolgere l’azione, non tanto nelle parole stesse. Alle persone che hanno preso parte è stato chiesto di trovare una ragione, ma di non rivelarcela. È importante che la parte dell’azione rimanga solo per colui che agiscee che non venga utilizzata direttamente come materiale.
RP: Hai ideato questo lavoro come parte di un corso di studi per Das Arts nei Paesi Bassi. Gli organizzatori di Terni lo hanno rintracciato, facendoti presente che si adattava perfettamente al tema del Festival. Ora è su manifesti e magliette ovunque, dandoti uno status di eroe di culto a livello locale. Eri preoccupato, durante tutto il processo, del fatto che il tuo lavoro fosse appropriato in questo nuovo modo? Ti senti in contraddizione tra la filosofia del lavoro e come esso è stato impiegato qui a Terni?
MA: Ho realizzato l’intervento “The rain will not erase it” e sì, improvvisamente siamo stati scelti dal team di Terni Festival come slogan e immagine dell’edizione di quest’anno. In generale mi muovo con molta attenzione nei confronti delle istituzioni da quando conosco per esperienza quanto queste possano essere creature cieche e pericolose. Nel caso di Terni Festival l’ho presa molto di più come un esperimento – come potrebbe essere presa una singola azione da un’organizzazione e moltiplicata, come quest’altro tipo di contesto può influenzare il progetto per un ulteriore sviluppo, come posso rivisitare la mia spinta iniziale per l’azione e aprirla ancora di più? Molte domande. Non mi dispiace che loro lo facciano, perché trovo significativo lo sforzo di portare le arti performative contemporanee all’interno di certe comunità che altrimenti molto probabilmente non ne saprebbero dell’esistenza.
CC: Durante il workshop con la Mobile Academy a Terni abbiamo discusso molto sul ruolo del pubblico, sulla sua posizione all’interno del processo creativo, se è coinvolto nella performance o meno. Abbiamo visto il tuo progetto “Standing body” (conferenza spettacolo frutto di un lavoro specifico proprio per Terni Festival) per il quale il pubblico era coinvolto nella preparazione e nell’esecuzione della non-protesta passeggiata per la città. Qual è la tua relazione con l’audience?
MA: Bella domanda. Al momento posso dire che è complicata. Sono in un processo di rivisitazione delle mie “unità” – proprio per il fare arte e comunicazione. Quello che posso dire è che mi sono occupato di fornire e favorire per l’audience un particolare punto di vista o un’atmosfera. Questo è dove il mio interesse attuale si concentra.
RP: E qual è la tua relazione con te stesso?
MA: Beh, combattiamo molto, almeno credo. 🙂
Un ringraziamento speciale a: CAOS – Centro Arti Opificio Siri – Terni, Mladen Alexiev, Eleonora Anzini, Mobile Academy.
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[1] Vedi Francesco Careri (2009), Walkscapes. Camminare come pratica estetica
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