Ci sono spettacoli che si vanno a vedere con gli occhi e col cuore: teatro di parola, di figura o anche di regia, di fronte ai quali basta la propria esperienza di ‘homo viator’ per avere gli strumenti idonei. Poi ci sono gli spettacoli più intellettualizzati, simbolici, destrutturati – e, spesso, destrutturanti -, di fronte ai quali, se non ne hai masticato un po’, non è così semplice non perdere il filo. E, da ultimo, quelli del teatro di ricerca, sperimentale o comunque lo si voglia definire: un pur encomiabile tentativo di fare, della settima arte, un grimaldello per forzare quel velo di Maia, che millenni di concettualizzazioni e sovrastrutture hanno trasformato in una (quarta) parete più che di cemento armato. Ed anche questo ha un suo perché – perché ti obbliga a deporre l’approccio comodo dello spettatore coccolato ed inforcare le lenti polifocali di altri punti di vista.
Ecco: Note per un collasso mentale di Phoebe ZeitGeist appartiene senza dubbio a quest’ultima casistica. Già l’autore scelto – Ballard, fin dagli anni Sessanta epigono del post modernismo – è una scelta che la dice lunga. Così come significativo è decidere di metter in scena proprio “La mostra delle atrocità”: un non romanzo, un libro costituito da capitoli – precedentemente editi come racconti autonomi -, dove, se un fil rouge c’è, è quello di persone – o forse solo le differenti personalità schizofreniche di un medesimo individuo -, gravitanti attorno ad un reparto psichiatrico. Qui si tiene una mostra – delle atrocità, appunto -, a cui i pazienti non sono invitati. Eppure vengono esibite le (loro) ossessioni. Ma poi poco conta la trama – di questo testo è stato sottolineato come non abbia né un inizio, né una fine e che non rispetti le regole canoniche della narrazione. Un florilegio di suggestioni, in fondo: dove, squadernate nelle tre dimensioni dell’ospedale psichiatrico – ovvero: il presunto piano realistico -, i luoghi esterni – le spiagge, il poligono di tiro, le camere d’albergo, gli svincoli autostradali… – e le immagini proiezione-diretta-dello-psichico, quel che conta è solo l’evocazione estraniata ed alienante di fantasmi nevrotici. Sono le ossessioni di questo protagonista collettivo e meta individuale: perché, in fondo, la tesi è che, risanata la lacerazione della seconda guerra mondiale, la modernità stia evolvendo in quell’essere magmatico e meta individuale, che sarà dominato da quel che oggi viviamo tutti in prima persona: “il lavoro precario, l’immaginario come forza produttiva, il rifiuto della politica, la tecnologia sotto la pelle, la nuova religione della comunicazione, le categorie filosofico-scientifiche della ‘informazione’…”, ha scritto Antonio Caronia, nella sua Guida a “Note per un collasso mentale”, e che compare, sorta di nume tutelare, nel filmato super 8 con cui si apre lo spettacolo. Ed è strumento esegetico davvero prezioso, questo compendio, messo a disposizione del pubblico, insieme al foglio di sala. E’ qui che riacquisiscono un sia pur vago senso cartesiano quei brandelli di narrazione volutamente scomposti, alienati, desogettivizzanti – e che urticano! -: la guerra in Vietnam, l’assassinio di J.F.Kennedy, le icone Elisabeth Taylor e Marilyn Monroe quali eventi cult dell’immaginario anche pop di quegli anni. Attraverso i due attori/performer – Andrea Barettoni e Francesca Frigoli –, se ne tenta una riappropriazione/attribuzione di senso, pur entro la cifra stilistica volutamente improntata al surreale, farsesco, onirico, alienato, dissimulativo. In scena anche Alessandra Novaga, a fornire con le sue chitarre – ora suonate, ora graffiate da un impietoso archetto, – quella ‘partitura’, di cui dice il sottotilo. Al punto che lo stesso Caronia suggerisce che sia la sua funzione di raccordo a trasformarla in una sorta di presenza/fantasma di Ballard sulla scena. Le luci dalle tinte accese – spesso sanguigne: in contrasto coi bui ed i filmati domestici pornografici: in bianco e nero -; l’affidare interi brani cantati, quasi, a due voci, a maschere di lunghi crini – dall’evocatività dubbia, ma dalla funzione schiettamente coreutica -; un’insistenza che sfiora la maniacalità nel soffermarsi/ostentare le dinamiche di sesso, accoppiamento e pornografia: questi gli altri elementi a corollario di quella tesi d’esordio: “Nelle menti più forti i contenuti concettuali si collegano alla profondità del sesso”, al punto da concepirlo quale strumento ‘politico’, che regola le relazioni – di dominio – interpersonali.
Uno spettacolo urticante; di certo: volutamente destabilizzante, scomodo e che scomodo fa stare lo spettatore: una proposta quasi da sconsigliare a chi si attendesse una restituzione iconografica e pedagogica di questa “Mostra delle atrocità”. Perché invece il regista, Giuseppe Isgrò, punta in tutt’altra direzione: è la parola ballardiana a muovere i corpi cosificati di questi due non personaggi; è l’osmosi fra ‘dentro’ e ‘fuori’, fra ‘pubblico’ e ‘privato’, fra ‘dominio’ e ‘passivizzazione’, fra palcoscenico e platea – alla fine: nonostante la solida quarta parete – a refluire per tutto il tempo, inibendo perfino l’emotività, in questa bagna di alienazione. Eppure è un tipo di spettacolo con cui misurarsi: volendo provare a superare le mollezze del già sperimentato, mettendosi alla prova con poetiche e forme d’espressione inconsuete e sfidanti. All’Out Off fino a domenica 8 giugno.
uno spettacolo di Phoebe Zeitgeist
NOTE PER UN COLLASSO MENTALE
partitura per voci, corpi, chitarra, live electronics e altro
liberamente ispirata all’opera di James G. Ballard
regia, drammaturgia, luci, scena Giuseppe Isgrò
con Andrea Barettoni voce, corpo, organetto, Francesca Frigoli voce, corpo, flauto traverso, Alessandra Novaga chitarra
Milano, Teatro Out Off
dal 3 all’8 giugno 2014 – ore 20.45
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