Cangiante tramonto di un’epoca nella graffiante scrittura di Bernhard/Bucci/Sgrosso

In fondo è solo un pretesto, quello della pensione, in “Prima della pensione”, scritto da Thomas Bernhard nel 1979 e portato in scena dalla compagnia Le Belle Bandiere. Al Teatro Elfo Puccini di Milano, dal 21 al 26 febbraio. Sembra solo un escamotage, perché quel di cui si narra, in filigrana alla vicenda personale dell’ex ufficiale delle SS Rudolf Holler giunto alla fine della sua carriera di giudice, è il tramonto di un’intera epoca. Morta e sepolta, per fortuna; di questo non fa mistero la penna dell’autore. La cosa viene poi amplificata dalla cifra registica e dal modo di portarlo in scena di Elena Bucci e Marco Sgrosso, che l’ambientano in una casa tetra e asfittica. Buia (“è tutto grigio e sporco”, ripetono) come cieche sono le loro intenzioni. E’ l’inabilità di vivere in una società che ha voltato pagina, ma ravvivata da fasci di luce alla Caravaggio, che più che illuminare, impietosamente amplificareno, in questo caso, la loro condizione di prigionia esistenzial-epocale.

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Così è su un viale del tramonto, che si consumano le ultime repliche di quella pantomima, che è, ogni anno, il loro rito segreto di commemorazione del compleanno di Himmler. Eppure non c’è nulla di struggente o nostalgico, in tutto ciò. Al contrario, la scrittura di Bernhard è tagliente e ottimamente restituita in scena da una partitura a tre cromie. La cifra di Vera è surreal-naïve e mostra una sempre impeccabile Elena Bucci, eterea e cinguettante, nel ruolo della sorella-vestale e amante. Capita spesso così nelle religioni pagane, che non si vergognano di riconoscere dignità al sesso, inteso come espressione del ricongiungimento al divino. Aspetto, del resto, qui più alluso che mostrato e ad ogni modo coperto, per il suo portato scandalistico, come si conviene a una rivisitazione del superomismo panteistico mediata da secoli di morale borghese. In ruolo antagonistico, l’altra sorella, Clara, la “storpia”, a fungere con la sua presenza critica, ma pressoché silente, da “principio di realtà” del delirio à deux dei fratelli. La chiamano “socialista”, “assassina”, “cattiva per natura”. Alludeno ad una sua deformità più attinente alle sue idee socialiste, che non a quella menomazione fisica, che, raccontano, non l’ha segnata fin dalla nascita. Poi la chiamano anche “bambina”, impietosamente giocando al ricatto morale del carnefice, che tiene fra gli artigli la sua vittima.
Come spesso capita, a tratti le parti si ribaltano. Dopo averle rinfacciato il peso che è sempre stata per loro (“Gli storpi tormentano gli infermieri fino a distruggerli e farli a pezzi” e “Certi mostri tiran giù gli altri sotto terra…”, alludono, non senza rafforzare con un forse in parte deresponsabilizzante: “Diceva papà…”), non mancano di confessare: “E’ stata la disgrazia, che ti ha salvata dalla rovina”. “Ti saresti sposata… e cosa ne sarebbe stato di noi? Siamo dei cospiratori contro la vita […] un gruppo di congiurati”, sentenziano, facendo allusione a un qualcosa di alto e nobile, ma anche pericoloso e solingo, che sa tanto di Idi di Marzo.

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Perché è di questo che si tratta. Non solo e non tanto il delicato momento del pensionamento con la conseguente perdita di un ruolo sociale e, in fondo, neppure la loro patetica (ma nel senso alto, che le dà Beethoven) sonata solitaria e clandestina del tramonto di un’epoca sono il reale ordito. Quel che vien tratteggiato, qui, con segni dall’incisività graffiante, è lo schizzo della disfunzionalità dei rapporti umani, dell’incomunicabilità inemendabile, di una solitudine così strutturalmente ontologica, da non poter essere protetta neppure all’interno del più primordiale e incontaminato dei rapporti. Perfino la famiglia si rivela un nido di vipere di camussiana memoria. Lo testimonia perfettamente la presenza/negazione di Clara, interpretata da una Elisabetta Vergani dal magnetismo preciso, che non smette mai di pendere, silente eppure costante come una spada di Damocle, sulla prolissità delirante degli altri due, che parlano, ininterrottamente, come nello spasmodico tentativo di colmare l’horror vacui della resa dei conti. Per tutto il tempo tace, persa in una qualche lettura di cui è ghiotta, quanto solo un anziano lo sarebbe di quelle caramelle, che non gli verrebbero concesse se non fosse per la terminalità della sua condizione. E tutto ciò sembra preparare nel migliore dei modi possibili i pezzi di bravura, ma non di quella soltanto, del fratello Rudolf, dalla nota grottesca. E’ interpretato da un Marco Sgrosso poliedrico e camaleontico, che sa toccare tutte le corde del proprio strumento vocale, prossemico ed emotivo, conducendoci per mano su montagne russe, che sanno anche di roulette russa.
Basterebbe lasciarsi andare per un solo istante, per trovarsi mortalmente scoperto un nervo di quelli che fanno male.

In replica fino a domenica e poi dal 17 al 19 marzo al Teatro Era di Pontedera (Pi),  dal 23 al 25 marzo al Teatro Studio Scandicci di Scandicci (Fi), e dal 30 marzo al 1 aprile al Teatro Bonci di Cesena (Fc), fra l’altro.

 

TEATRO ELFO PUCCINI | MILANO
21 – 26 FEBBRAIO 2017
MAR-SAB: 20:30 / DOM: 16:30  
 

PRIMA DELLA PENSIONE
Ovvero Cospiratori
una commedia dell’anima tedesca

di Thomas Bernhard
traduzione Roberto Menin
progetto e regia Elena Bucci e Marco Sgrosso
supervisione ai costumi Ursula Patzak, immagini Alvaro Petricig
drammaturgia e cura del suono Raffaele Bassetti
con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Elisabetta Vergani
luci Loredana Oddone, drammaturgia e suono Raffaele Bassetti
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
in collaborazione con Le belle bandiere
Francesca Romana Lino

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novembre, 2024

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