“A’ NDO STA, O PRESEPE?”

Sarebbe stato un autentico peccato, perderselo, questo “Natale in casa Cupiello”, scritto da Eduardo nel lontano 1931 e qui adattato, interpretato e diretto da un Fausto Russo Alesi, che sembra non accusar il colpo della distanza nel tempo. Sarebbe stato un peccato: per il genio mimico ed evocatore dell’attore Alesi, per l’assoluta liricità di certe sequenze e per la raffinata tenitura del ritmo – nonostante che la performance sfiori le due ore di spettacolo -, che riesce ad appassionare – fra ironia e dramma – pure in un dialetto napoletano spiccato e a tratti forse più intuito che compreso.

http://www.piccoloteatro.org/events/2013-2014/2013-2014-natale-in-casa-cupiello-1
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Certamente interessante il lavoro di drammaturg dell’anche regista Alesi, che colloca il ‘luogo’ dei fatti su di una piattaforma sospesa a poco più di un metro dal suolo, ottenendo – già con questo – l’effetto estraniante ed onirico di una pièce alla Beckett; ed il non-sense è lì, ad un tiro di schioppo: perché mentre attorno a Don Luca – lo sgangherato padre di famiglia – si consuma la tragicommedia dei taciti scandali familiari, lui non se ne accorge neppure, intento, com’è, alla sola realizzazione del suo presepe, che diventa il simbolo – ossessivo – di quel mondo a sua immagine e somiglianza, che non è riuscito a realizzare nell’ambito familiare. E lo dice pure, ad un certo punto: “Tu sei la mia nemica”, rivolto alla moglie Concettina, a cui imputa la responsabilità della cattiva educazione dei figli: Tommaso – ‘femminiello’ e ‘nullafaciente’: eccetto che opporre il suo cantilenate: “Nun me piace…”, alla rinnovata domanda paterna: “Te piac’o presepe?” – e la figlia Ninuccia, che, al contrario, ha un temperamento sanguigno e ribelle, che poco si addice al prototipo di ‘femmina’ dell’epoca e che, in uno scatto di nervi – anche ‘Masiello’, del resto, ne soffre… -, distrugge il frutto del suo paziente e prezioso lavoro. Né lui non si scompone: – come potrebbe rinunciare alla sua sola consolazione? – e, pacato, si rimette all’opera: “N’ata vota…”, restituendoci la complessità di un personaggio, che Alesi sa caratterizzare anche con piccoli gesti impercettibili – “Vogliamo stare leggeri…”, ripete, a proposito del pranzo: e, nel dirlo, sfrega pollice ed indice con gesto lieve e ripetuto, che ben fa intuire che la leggerezza a cui allude è quella del costo -.

Ma non è soltanto sospeso, quel non-luogo: è anche anonimo – potrebbe essere una lastra di asfalto stracciato da un qualsiasi contesto urbano: se non ché poi le didascalie ci dicono che si tratta dell’interno di una casa -, instabile – una goccia che cade ininterrotta dal soffitto, prima ancora che la rappresentazione inizi già ci aiuta ad annusarne l’atmorfera – , ‘work in pregress‘, in qualche modo: tant’è vero che l’attore – entrando da fondo sala – indossa il tipico caschetto da cantiere prima di recitare il suo antefatto: “Stavo meno inguaiato, quando non stavo sistemato” – e torna a calcarselo in testa, ogni qual volta esce dal ruolo per trasformarsi nell’ideale ‘coro’ monovoce, a cui affida la lettura delle didascalie o le scene esplicative e di commento -. Poi si tuffa sotto la struttura per riaffiorarne personaggio, passando attraverso una fenditura a forma di oblò a livello strada: si sfila il casco e comincia a rappresentare quella pletora di personaggi, che immediatamente si rivelano bonariamente “piccoli, meschini e ridicoli”, come gli appena citati personaggi del presepe.

http://www.piccoloteatro.org/events/2013-2014/2013-2014-natale-in-casa-cupiello-1
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Ed in questo è strabiliante, Fausto Russo Alesi: gli basta incurvar poco di più la schiena o piegare le ginocchia, accennare un’andatura un po’ più ancheggiante o una mano svolazzante a significar una sessualità non ben definita e, complice certo un sorprendente lavoro vocale, questo solo gli basta per dar vita ad una moltitudine di ‘tipi’, prima ancora che di personaggi. Così come ragguardevole è la sua fedeltà al testo di De Filippo – al punto da non ometterne neppure le didascalie -, nonostante la capacità di volgerlo in sussunzione lirica: di grande effetto non solo le sequenze volutamente oniriche – quella in cui il padrone di casa mima i personaggi del presepe, sottofondo di musica da carillon… -, ma anche quelle più descrittivamente prosaiche, che sa trasfigurare in una traslazione di maschere: fin dalla scena iniziale, quando interpreta non solo Lucariello, ma Lucariello-che-finge-Cuncettina, in un caleidoscopico giochi di rimandi e proiezioni di quel che ciascuno vede e ripropone dell’altro.

E, così, per i tre atti di questo Natale: la pre-vigilia con l’allestimento del presepe, il Natale, con l’accadimento della sfida fra il cognato e l’amante della figlia messi involontariamente a confronto dall’ignaro Luca; la malattia del protagonista, colpito da qualcosa di simile ad un ictus, a seguito del trambusto natalizio. Il tutto si conclude a centro scena: in un suggestivo e ben orchestrato gioco di movimenti, che portano i singoli personaggi ad accomiatarsi lì, all’ideale capezzale di Don Luca, ciascuno deponendo uno degli icastici oggetti scenici, che per tutto il tempo si sono passati di mano in mano. Quasi un ideale tributo all’eroe morente: un tumulo a ricoprir non tanto quello che è un parossismo di solitudini – come pure è intento dichiarato dal Russo Alesi -, quanto – a percezione di chi scrive – una replicazione di dinamiche fuorviate e fuorvianti, ma senza le quali rischieremmo di perdere la nostra identità di status. E’ la leggerezza che pervade il melodramma a ben predispone all’ascolto: lasciando che il materiale d’eco pirandelliana penetri e svolga la sua funzione maieutica.

A ‘ndo sta, o presepe?” Al Piccolo Studio Melato, fino al 22 dicembre.

Francesca Romana Lino

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