Conferenza Stampa di Presentazione del Danae Festival, ieri, 27 marzo, a Palazzo Marino. che si terrà a Milano dall’1 al 6 aprile.
Ha esordito l’assessore Filippo Dal Corno, soffermandosi sulle parole-chiave di questa sedicesima edizione del Festival. Ha parlato di afflato internazionale, citando il far circuito, da parte del Teatro delle Moire – ossia: la direzione artistica di questo Festival, ndr -, inserendosi all’interno del progetto europeo Open Latitudes – rete di strutture e festival europei a sostegno delle forme ibride della scena -, ma anche di “…reinventare un rapporto con gli spazi”, nell’intento di “ricercare nuove modalità di relazione fra spettatori e spettacolo”: in tal senso, la scelta di ambientare l’ultimo evento, “Atlas” al Teatro La Cucina, situato nell’ex polo psichiatrico Paolo Pini. Ha ricordato la valenza della fertilità – “termine a me caro…”, ha spiegato –, insito nel mito stesso di Danae e la tenacia – di questo festival, ma in senso più generale, del teatro milanese – nel prodigarsi in impegno ed iniziative, nonostante l’epoca di crisi e recessione che stiamo vivendo. A conclusione del suo intervento, dopo aver ricordato la natura bipartitica assunta da Danae in questi ultimi anni – una fase primaverile, quella attuale attuale, e poi una ripresa in autunno -, riconoscendo l’impegno di “provocazione e sperimentazione contro il rischio morale dell’arte.”
E’ stata poi Alessandra De Santis – Teatro delle Moire, a prendere il testimone. Dopo aver letto il messaggio inviato da Cristina Cappellini, Assessore alle Culture, Identità ed Autonomie, è entrata nel vivo: tornando sia sul tema della programmazione dilazionata nei due periodi dell’anno, che degli spazi coinvolti – Teatro Out Off, Lachesilab ed in già menzionato Teatro La Cucina, per questa sessione del 1/6 aprile, e poi Zona K, di certo, per l’autunno. Anche la De Santis, oltre a ricordare l’inserimento all’interno di Open Latitudes – con tutti gli oneri e onori di impegno e programmazione, nel collocarsi in un modus operandi impostato sulla capacità di pianificare su tempi lunghi e che già inizia a ragionare sull’edizione 17.ma, nonostante questa debba ancora svolgersi – ha voluto soffermarsi su alcuni termini programmatici quali interdisciplinarità ed internazionalizzazione oltre che radice/radicale e, per altro aspetto, nomadismo: “termini complementari”, come pure ha chiosato. Così l’idea espressa è stata quella di voler passare da “l’artista che mette al centro il corpo…”, ha spiegato, ad una verticalità per la quale quanto più il corpo sarà capace di scendere in profondità, tanto più saprà trarne materiale e spunto per librarsi verso l’alto. Questa una prima accezione di radicamento, che, per altro rispetto, lungi dal significare ‘campanilismo’, significa invece “la capacità di radicarsi in un territorio per poter intrecciare nuove e più profonde relazioni”. Ecco in che senso non c’è contraddittorietà col nomadismo (culturale, sessuale, di genere, architettonico…): che è un “vagare ed un aprirsi al fuori”, ma a partire dell’hic et nunc, come la dicitura programmatica di Open Attitude ben suggerisce. Ha poi illustrato il programma primaverile – ed anticipato qualcosa di quello autunnale -, sottolineando anche l’opportunità insita in questa collaborazione internazionale: non solo “acquisire un maggior numero di artisti stranieri”, ha evidenziato, “ma avvicinando gli artisti italiani da noi sostenuti alla dimensione internazionale per la diffusione e coproduzione”.
L’ultimo intervento è stato di Antonio Calbi, Direttore del Settore Spettacolo del Comune di Milano, plaudente alla costanza dell’impegno di questo Festival e sottolineando: “E’ una benedizione, l’internazionalità”. Si è poi soffermato su alcune ipotesi a proposito del simbolo scelto a testimonial: una pecora – “Avrebbe dovuto essere una capra – è intervenuta la De Santis -, che anticipa il segno del prossimo anno cinese”. Si è mostrato divertito, l’assessore, nel cogliere l’ambivalenza del suo essere nera: sia nella comune accezione di pecora nera, sia come curioso e speculare doppio di quella nuvola altrettanto plumbea che incombe; “Ma dice qualcosa di ottimista”, ha rilevato: “un po’ come Milano, in attesa che questo festival irrompa con tutto il suo innato gusto per il paradosso”.
Ha poi ironizzato sul fatto che sempre più spesso il teatro sembra richiamarsi a modelli zoomorfici – anche Martinelli, con la sua ‘asinità’, solo un paio di giorni prima al Festival Internazionale della Regia -: quasi che le persone non fossero più viste come un grande esempio.
Da ultimo è intervenuto Federico Perrone ad illustrare il progetto “Atlas”: 100 persone – reclutate sia tramite i social che le principali associazioni operanti sul territorio -, coinvolte in una performance collettiva, in cui ciascuno si presenterà non soltanto per il proprio ruolo sociale, ma proprio in forza alla valenza sociale con cui si percepisce.
A seguire il programma:
* Martedì 1 aprile ore 21 – TEATRO OUT OFF PERE FAURA e IÑAKI ALVAREZ [Spagna] Diari d’accions
* Mercoledì 2 aprile ore 20 e ore 21 – LachesiLAB FRANCESCA PROIA [Ravenna] Voce lattea una lettura terapeutica
* Giovedì 3 aprile ore 21 – TEATRO OUT OFF SOFIA DIAS E VÍTOR RORIZ [Portogallo] A gesture that is nothing but a threatPRIMA NAZIONALE
* Venerdì 4 aprile ore 21 – TEATRO OUT OFF FABRIZIO FAVALE LE SUPPLICI [Bologna] Isolario poema d’un frastaglio, spiumato, minuto e senza fine
* Sabato 5 aprile ore 21 – TEATRO OUT OFF FABRIZIO FAVALE LE SUPPLICI [Bologna] Alberi PRIMA ASSOLUTA DEL NUOVO ALLESTIMENTO
* Domenica 6 aprile ore 16.30 e ore 21 – TEATROLACUCINA ANA BORRALHO E JOÃO GALANTE Atlas Milano [Portogallo]
Performers: 100 persone della comunità locale
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