Danae Festival chiude con ‘Atlas’ rivisitazione vivente de “Il Quarto Stato”

Si è tenuta a Milano – dall’1 al 6 aprile – la sedicesima edizione del Danae Festival, nella sua tranche primaverile – anche quest’anno ci sarà una réprise autunnale, a novembre.

Come anticipato in conferenza stampa: internalizzazione del festival – con le performance di Pere Faura e Iñaki Alvarez, Sofia Dias e Vìtor Roris e Ana Borraho e João Galante, accanto agli italiani Francesca Proia e Fabrizio Favale Le Supplici –, interdisciplinarità dei progetti – nella vasta gamma dei codici: teatro, danza, arti visive, video, arti curative presentate sulla scena e sperimentazioni sonore – e collaborazione con alcuni spazi della città nella direzione di un radicamento/distribuzione sul territorio – Teatro Out Off, Lachesilab e Teatrolacucina Olinda ex O.P. Paolo Pini.

Progetti variegati, ma con alcune idee comuni: la questione del linguaggio, ad esempio, sia nei “Diari d’accions” di Pere Faura – giocati, appunto, sul rapporto significato/significante a partire dai sottolineature dei quotidiani -, che nella trascolorazione delle acrobazie performative di “A gesture that is nothing but a threat”, dove, al gioco sulla ripetizione della parola – che lentamente cambia, al variar di un suono, di significato, ritmo, respiro, intensità, intonazione, evocando suggestioni fulminee e fulminanti – fa da contrappunto un’analoga scomposizione del gesto: anch’esso investigato nella ripetitività e seguito nelle sue evoluzioni eseguite con una precisione, lucidità e fluida padronanza corporea davvero impressionanti. E la questione linguistica torna, per altro rispetto, anche nella “Voce lattea – una lettura terapeutica” di Francesca Proia, dove il rapporto significato/significante viene indagato e proposto alla luce di quella tecnica monastica per cui il parlare si fa letteralmente balsamo, che disfa i nodi del cuore, come leggiamo direttamente dalla presentazione. Anche nei due lavori di Favale – “Isolario” e “Alberi” – ritorna quel senso magico che attinge, in questo caso, al folklore e a quanto di più atavico ed ancestrale c’è nelle tradizioni dei popoli per restituircelo, questa volta, attraverso la partitura fisica della danza e della coreografia.

E di coreografia, in certo qual senso – di certo di performance e spostamento di corpi – si racconta in “Atlas” di Ana Borraho e João Galante, l’evento di chiusura del Festival, tenutosi, in due repliche, ieri, 6 aprile, al Teatrolacucina di Olinda.

ATLAS_by_Ana_Borralho_Joao_Galante

Non soltanto una performance, ma un progetto site specificcom’è stato definito -, dal momento che, coinvolgendo le persone comuni di un dato territorio, si confronta e ne restituisce le specificità politiche. Già, perché è proprio questa, la natura dell’operazione: far sì che il teatro possa riappropriarsi della sua valenza politica – in senso apartitico -, risvegliando in ciascuno la coscienza della propria posizione nella società: un atlante/mappatura – torna, il tema delle mappe con altre suggestioni visto in “Isolario” – capace di restituire uno spaccato, ma – soprattutto – di favorire una più complessa coesione sociale, quasi una sorta di rivoluzione silenziosa.

Quel che succede in scena, di fatto, è che, ad una ad una, delle persone comuni – Federico Perrone, che si è occupato di reclutarle, ci racconta il come: mappando, appunto, l’area territoriale milanese e contattando, in questa, le principali associazioni, senza pregiudizio alcuno di status, genere o orientamento – entrano, microfono alla mano, con una dichiarazione d’intenti. Sulla falsariga di una filastrocca per bambini“Se un elefante disturba molta gente, due elefanti ne disturbano molte di più… se due elefanti disturbano molta gente, tre elefanti ne disturbano molte di più… ecc” – ciascuno dichiara la propria professione o collocazione nel mondo: studente, impiegato, ingegnere… ma anche segrataria-tutto-tranne-che-sexy-con-piercing-e-tatuaggi, casalinghe-che-non-piangono-e-si-danno-alla-danza-del-ventre, impiegate-multitasking-confuse-e-un-po’-clown, liberi-professionisti-senza-partita-perché-non-c-è-partita-contro-il-Brasile, fino a persone-ch-non-si-accontentano-e-vogliono-continuare-a-non-accontentarsi, passando attraverso ai ruoli di denuncia della precarietà, dell’inoccupazione, della difficoltà dell’integrazione non solo culturale e sociale, ma anche interpersonale, in un modo asettico, performativo e burocratizzato, eppure che spesso non cedono – impiegati-ribelli-e-mooolto-incazzati, mediatori-linguistici-culturali-che-parlano-per-le-donne-del-Bangladesh, mamme-leonesse-di-ragazzine-moolto-speciali-come-Costanza.

All’inizio il movimento è basico: l’aspirante attrice, giustamente non a caso la prima ad inaugurare la serie dei 100 – ne sono stati ‘abbonati’ 21, è stato detto, per una questione di sicurezza; ma l’impatto, specie alla fine, era davvero impressionante -, che procede verso il pubblico col suo microfono, si presenta – “Se un’aspirante attrice disturba molta gente, due aspiranti attrici ne disturbano molte di più” – e poi torna a fondo palco, dove la raggiunge una seconda persona e, come in un gioco all’alligalli, ricomincia il mantra con la voce in assolo che dichiara ed il coro – sempre più numeroso – a restituirne, amplificata, la portata. Ad un certo punto, però, diventa impensabile continuare a proporre quest’andirivieni; e, così, a mano a mano, i primi si staccano, stanziandosi in punti costellati, a significare/costruire il tessuto sociale: e sono quelli che fluiscono – avanti e in dietro, come la montata e la risacca di una marea senza fine -, che devono destreggiarsi . Quel che se ne ottiene è forse un movimento meno fluido, ma più vero e significativo della complessità delle cose. Poi il gruppo si ricompatta – a bordo platea – entrano alla spicciolata un sedicenne-che-vorrebbe-fare-il-comico-ma-che-non-fa-ridere e poi il paesaggista-sognatore-papà-di-lui ed il gruppo si ridispone ed il gioco va avanti ancora un po’, fino al momento – forte -, in cui ciascuno inizia a raccontare la propria storia: le voci si mescolano, i raccnti si aggrovigliano, le passioni acquisiscono toni più forti nel voluto intento di farsi sentire ed i performer si spostano, da una parte all’altra, accalcandosi, per guadagnarsi un pertugio di ascolto. Davvero un mare – mugghiante, come La zattera della Medusa di Delacroix. Questo ed il lungo silenzio finale dell’intero muro di indignados anche qui una suggestione pittorica classica: Il Quarto Stato di Pelizza da Volpedoun instante prima che i più vicini iniziassero a sconfinare fra il pubblico risalendo – ma la sensazione è stata proprio quella di una pacifica, ma inesorabile invasione – a contagiare il pubblico. Ed i lunghi scrosci di applausi – liberatori – vicendevolmente scambiatisi da quei due muri umani disposti a specchio hanno reso il senso: non due ‘spaccati di società’, ma due ‘quarti stati’ – sulle gradinate, ad Olinda solo solo un pubblico attento a fenomeni teatrali poco convenzionali e, qua e là, qualche altrettanto engagé critico e giornalista militante.

DANAE FESTIVAL

@DanaeFestival (https://twitter.com/DanaeFestival)
#danaefestival
Milano, luoghi vari
dall’ 1 al 6 aprila

Francesca Romana Lino

Articoli correlati

Condividi?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Fatti di teatro - il podcast (ultimo episodio)

https://open.spotify.com/episode/3iEsEma028bxodCUzaMJJH?si=8f0a1e92dd924097

Vuoi ricevere "fattidinews" la newsletter mensile di fattiditeatro?

Lascia il tuo indirizzo email:

ottobre, 2024

X