“Elektra“ di Richard Strauss è andata in scena al Teatro alla Scala di Milano tra la fine di maggio e i primi di giugno del 2014. L’opera era diretta da Esa-Pekka Salonen, considerato uno dei maggiori direttori viventi oltre che un apprezzato compositore di musica contemporanea. La regia era di Patrice Chéreau, deceduto nell’ottobre del 2013, proprio poco dopo aver presentato questo spettacolo al festival di Aix-en-Provence. “Elektra”, rappresentata per la prima volta a Dresda nel 1909, costituisce un punto di svolta, sia nella poetica di Strauss, sia nella storia della musica occidentale. Con quest’opera, il compositore bavarese si allontana dall’espressionismo e dall’esotismo di maniera che aveva ispirato “Salome” e sperimenta nuove formule espressive. Inoltre, inizia la collaborazione con il poeta viennese Hugo von Hofmannsthal, con il quale formerà un sodalizio tra i più creativi della storia del dramma musicale (il libretto di “Elektra” è tratto dalla tragedia omonima composta da Hofmannsthal nel 1904). Dal punto di vista della storia della musica occidentale, “Elektra” è un esempio di rottura delle forme tradizionali del sinfonismo e della cultura musicale del tardo romanticismo in rapporto alla melodia, alla tonalità, al ritmo e alla struttura, su una strada aperta da Gustav Mahler e che approderà alla Scuola di Vienna.
“Elektra” tratta di una faida familiare. La vicenda coinvolge Agamennone e la sua casata, gli Atridi, soprattutto la moglie Clitennestra e i figli Oreste ed Elettra. Il ciclo tragico degli Atridi è quello che ci è giunto più completo e in versioni diverse: ne parlano Eschilo, Sofocle ed Euripide, ne accenna Omero. Ogni trasposizione non è una semplice riproposizione della medesima storia, ma propone un diverso punto di vista, fa emergere emozioni e passioni differenti, complica la prospettiva con cui si guarda agli eventi. Non si sottraggono a questa impostazione neppure Hofmannsthal e Strauss. Il personaggio motore dell’azione tragica e che si impone con il suo radicalismo e la sua forza magnetica è, dal loro punto di vista, Elettra. La sua fedeltà rigida e irreconciliabile all’immagine del padre, alla regalità e al rifiuto dell’adulterio, e per converso la sua negazione dell’elemento femminile e di ogni forma di compassione, ne fanno da un lato una cercatrice dell’assoluto e dall’altro una figura maniacale in cui ogni umanità si è spenta.
Nell’antefatto, Agamennone, l’eroe acheo capo della spedizione contro Troia, al suo ritorno a Micene è ucciso dalla moglie Clitennestra che nel frattempo si è legata a Egisto. Oreste, il legittimo erede, ma ancora bambino, viene allontanato dalla reggia, mentre Elettra, che medita la vendetta, è confinata nel cortile e nelle cantine del palazzo, insieme a cani e ad altri animali. Il dramma di Hofmannsthal e Strauss inizia con Elettra, ormai in uno stato di abbrutimento, che invoca il nome del padre e aspetta il ritorno di Oreste per punire i due amanti fedifraghi. Resiste alle preghiere della sorella Crisotemide che invece vuole che tutto sia dimenticato, affinché la vita a Micene possa riprendere il corso normale e lei possa dare senso alla sua esistenza divenendo sposa e madre. Elettra, che nel frattempo si è fatta la fama di strega, riceve anche la visita di Clitennestra, consumata dall’angoscia, che chiede alla figlia quali animali debbano essere sacrificati per riottenere la pace. Elettra risponde ironicamente indicando proprio nella madre l’animale sacrificale. All’improvvisa notizia della morte di Oreste, Clitennestra ed Egisto esultano ed Elettra decide di agire da sola. Ma in uno dei due stranieri arrivati alla reggia per annunciare la fine di Oreste riconosce il fratello. Finalmente nella notte può consumarsi la vendetta. Clitennestra ed Egidio vengono uccisi da Oreste, mentre nel palazzo i servitori rimasti fedeli ad Agamennone trucidano coloro che si erano schierati con i traditori. Quello che sembra un atto di giustizia non porta però la pace e la serenità nei due fratelli: Oreste abbandona il palazzo in silenzio, non partecipa alle feste per la vittoria contro gli usurpatori, mentre Elettra si lancia in un’ultima danza che la porta alla morte.
La tragedia di Elettra non si presta ad una lettura lineare, non si tratta semplicemente di riparare un torto e far trionfare il bene contro il male. I rapporti tra i personaggi sono complessi e un senso di colpa aleggia su tutti, non solo su Clitennestra ed Egisto, gli assassini usurpatori, ma anche su Oreste e la stessa Elettra, i vendicatori e restauratori del potere legittimo. Non bisogna dimenticare che il proposito di uccidere lo sposo era maturato in Clitennestra come reazione al sacrificio della figlia Ifigenia, imposto ad Agamennone dagli altri capi achei, e dagli dei, come pegno alla sua pretesa di guidare la spedizione contro Troia. Anche quello di Clitennestra poteva essere un delitto giustificato. Allo stesso modo, Oreste, la cui vicenda può essere stata una delle fonti di ispirazione dell’Amleto di Shakespeare, vendica il padre e riafferma il proprio diritto alla successione al trono di Agamennone, ma non può sottrarsi alla furia delle Erinni, divinità personificazioni della vendetta, per essere venuto meno all’amore filiale e aver colpito la madre. L’odio verso Clitennestra è anche per Elettra una violenza contro la propria inclinazione naturale di figlia, e infatti la sua danza di gioia dopo l’uccisione della madre si trasforma nel ballo di una folle. Se nel mito, Oreste si rifugerà presso Atena, la dea della saggezza, che istituirà un tribunale, modello di tutti i tribunali umani, proprio per discutere il suo caso, esemplare dello scontro, tema di buona parte della mitologia greca, tra la legge della natura e l’ordine della società, per Elettra che non cede a compromessi non può esserci che la morte. Tutti i personaggi della storia degli Atridi si devono confrontare con principi e norme contraddittori che impediscono di individuare una precisa linea di condotta senza commettere un qualche torto. Nelle loro scelte insolubili, come scrive il grecista Dario del Corno, «la tragedia esprimeva la sua verità profonda, la frustrazione dell’uomo di fronte all’ambiguità del reale, dove giusto e ingiusto si confondono, e svaniscono le certezze della colpa e dell’innocenza». Nel mondo della tragedia la colpa è una conseguenza diretta dell’azione, di ogni azione. Oreste sembra consapevole di ciò, Elettra no, ed in questo si esprime la sua Hýbris.
Hofmannsthal e Strauss riescono a rispecchiare sia nella musica che nel testo la materia complessa e articolata del mito greco. Dal punto di vista musicale, Strauss non rompe la continuità del discorso sinfonico e ricorre ai leitmotiv alla maniera di Wagner ma in una successione incalzante, concitata, in cui prevale la sintesi e il ritmo sullo sviluppo e la distensione del materiale sonoro. Come scrive il musicologo Giangiorgio Satragni: «tutto ciò porta con sé cromatismo estremo, dissonanza e politonalità, fino alle soglie del rumore come espressione dell’incubo, del ferino e dell’orrido. Dall’altro lato, l’umanità pienamente femminile di Crisotemide, la dolcezza del riaffratellamento di Elettra con Oreste, l’accarezzare un’innocenza che fu stanno invece collocate nel diatonismo puro, nell’armonia dei suoni». Il libretto di Hofmannsthal sembra composto per offrire una pluralità di rimandi a possibili interpretazioni della vicenda che rispecchiano la rilettura della tragedia greca secondo la lezione di Nietzsche e Freud, quindi dal punto di vista della psicologia del profondo, dell’antropologia del primitivo e della simbologia del mito, le principali innovazioni della cultura tedesca della fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.
La regia di Patrice Chéreau è riuscita a restituire tutta l’ambivalenza dell’opera, evitando quelle interpretazioni unilaterali e quei riferimenti sessuali espliciti che, con la pretesa di richiamarsi agli studi sull’isteria e alla psicanalisi, avevano appesantito e reso stucchevoli molti allestimenti recenti del capolavoro straussiano. Chéreau sceglie anche una strada diversa da quella di Luca Ronconi, che nella sua versione presentata alla Scala negli anni Novanta, aveva collocato la vicenda in una macelleria, tra quarti di bue sgocciolanti sangue. “Elektra” di Chéreau è ambientata in una Grecia fuori dal tempo, senza far ricorso alle immagini classiche del mondo ellenico, ma con risonanze di un mondo barbaro e arcaico. Quest’opera di ripulitura, solo un tappeto rosso richiama contemporaneamente la regalità e il destino funesto di Clitennestra, ottiene l’effetto non di impoverire il testo, ma di far risaltare maggiormente, dietro l’opera di Hofmannsthal e Strauss, la potenza del mito. Nello stesso tempo, Oreste che nel finale attraversa la scena silenzioso ed esce da una porta laterale, sembra anche il testamento del regista stesso, che dopo essersi misurato a più riprese nel corso della sua carriera con il mito e la tragedia, ammette che forse la loro più grande attualità sta nel ripercorrere quelle storie nella loro apparente semplicità, e che sono tanto più significative quanto meno si cerca di spiegare e rendere esplicito ciò che per sua natura non può esserlo. Per il resto dello spettacolo, il suono dell’orchestra della Scala diretta da Salonen è preciso, incalzante e giustamente inquietante. È decisamente di buon livello il cast dei cantanti: ottima soprattutto la Elektra di Evelyn Herlitzius, in un ruolo che richiede anche forza e resistenza fisica, mentre Waltraud Meier nella parte di Clitennestra compensa un certo logoramento della voce con una grande capacità interpretativa.
Elektra
Richard Strauss
Tragedia in un atto
Libretto di Hugo von Hofmannsthal
Nuova produzione
In coproduzione con Festival d’Aix en Provence; Metropolitan Opera House, New York; Finnish National Opera, Helsinki; Staatsoper Unter den Linden, Berlino e Gran Teatre del Liceu, Barcellona
Milano, Teatro alla Scala
Dal 18 Maggio al 10 Giugno 2014
Durata spettacolo: 1 ora e 45 minuti
Cantato in tedesco con videolibretti in italiano, inglese, tedesco
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