Poco tempo fa, una mia amica blogger mi spiegava che, secondo lei, i blog funzionano quando al loro interno c’è un approccio personale di chi lo scrive e mi sottolineava come il mio – ovvero quello che state leggendo – abbia un taglio troppo giornalistico: “fattiditeatro consiglia!”.
Questa breve discussione mi ha fatto riflettere, ho ripensato a due blog di enorme successo che conosco (quello di Sigrid Verbert e quello di Chiara Ferragni, che hanno come tema rispettivamente la cucina e la moda) e ho pensato che la mia amica avesse in parte ragione, anche se credo che non bisogna esagerare con il mettere on-line la propria vita. Un approccio personale sì però!
Ho deciso di provare a scrivere in prima persona attraverso questa rubrica del lunedì, che ho chiamato Mackie Messer in omaggio al celebre protagonista dell’Opera da tre soldi di Brecht, un po’ perché mi piace foneticamente il nome, un po’ per simpatia verso un personaggio che simpatico non è (nelle foto la versione di Armando Punzo nel magnifico spettacolo Il Vuoto, ovvero quello che resta di Bertolt Brecht nel quale ho avuto la fortuna di collaborare nel febbraio del 2005 al Teatro Fabbricone di Prato), un po’ per amore verso il testo.
Ogni settimana scriverò un pensiero, un commento, una provocazione attorno al mondo del teatro, nelle sue infinite declinazioni, dal mio punto di vista. Questo numero zero vuole porre una riflessione molto semplice: partendo dall’etimologia della parola blog (contrazione di web-log ovvero “diario in rete”) mi sento di poter affermare che non esistono blog di teatro. O almeno io non ne conosco. Esistono ottimi siti dove si intervista, si recensisce, si approfondisce, ma anche i siti che si definiscono blog (cito quelli autorevoli di Anna Bandettini e di Massimo Marino) hanno sempre un approccio giornalistico (sono scritti da giornalisti!) che mi fanno ripensare alle parole della mia amica. Nascono, credo, per una progressiva mancanza di spazio sulle pagine dei quotidiani e non per una reale necessità di usufruire dell’elemento blog. Infatti, quasi sempre sono scritti in terza persona e quasi sempre si preferisce il “noi” all’“io”. Non c’è mai un seppur piccolo riferimento all’esperienza privata, non si crea un rapporto intimo col lettore.
Questa è la mia impressione e mi piacerebbe esser smentito su queste pagine, proseguo cercando di individuare i motivi per cui uno spettatore, Simone Pacini oppure il direttore del Piccolo Teatro non sentano la necessità di parlare di teatro con una forma personale e informale. Mi vengono in mente due possibili cause: la prima è che in questo settore ci si prende troppo sul serio, anche i giovani web-critici iscritti all’albo sbandierano frasi incomprensibili e fanno a gara a chi è più contorto, col risultato di allontanare il pubblico per avvicinare le compagnie osannate sulle loro pagine. Sul blog invece si scherza, si usa un gergo, si improvvisa anche. La seconda, collegata alla prima, è che nel piccolo mondo del teatro (e in quello minuscolo del teatro contemporaneo) ci conosciamo tutti, siamo tutti collegati da rapporti e relazioni e quindi diventa difficile (anche se molti dicono di farlo) essere sinceri, raccontare ciò che accade, fare i gossip (intendiamoci, nel senso più alto possibile!).
Ci proverò io, non sono certo di riuscirci. Vediamo che accade. Vi lascio con una frase dal libro che sto leggendo (e questo sì che fa molto blog!):
“Rinunciando al teatro, quasi certamente per sempre, Frances aveva avuto la sensazione di sbattere la porta in faccia a qualsiasi passione, a qualsiasi possibilità di amore serio.” (da Il sogno più dolce di Doris Lessing)
sp