Da poco tornato da Milano per l’annuale consegna dei Premi Ubu. Il primo anno senza FQ. La serata, stracolma all’inverosimile (a me sembra che ogni anno ci sia più gente, schiere di teatranti come ultras da varie parti d’Italia, faziosissimi a fare il tifo) ha avuto un inizio decisamente commovente: le immagini di Quadri da giovane (quello che non ho conosciuto) erano mescolate con le sue parole in una recente intervista dove veniva fuori tutta la sua sottile ironia e autoironia. Il video del figlio Jacopo (montatore cinematografico che ha al suo attivo film con Martone, Delbono, Bechis e altri) ha un tratto decisamente molto dolce e commovente. Prima dei premi ufficiali, i Magi di Rete critica hanno assegnato i loro doni ai Menoventi e il sottoscritto ha avuto la fortuna di calcare il palco di via Rovello insieme ai colleghi e così di ammirare la folla numerosa assiepata in platea e in galleria.
I Premi speciali, come spesso accade, sono stati i più interessanti: sopratutto quelli a Prospettiva, Radio3, Teatro Povero di Monticchiello e Teatro Valle Occupato. Per il resto, pochi sussulti sia nei nomi dei premiati che nelle dichiarazioni, a parte un aneddoto delizioso di Pippo Delbono che ricordava quando una sera con Quadri era a un raduno del Living Theatre e avevano mangiato dei dolcetti che molto probabilmente – conoscendo quelli del Living – erano “truccati” alla marijuana o all’hashish!
Mai come quest’anno sono stati dei Premi Ubu nordici, sopratutto sull’asse Milano – Torino. Questa della “milanesizzazione” degli Ubu è in parte vera e non certamente da questa prima edizione post Quadri. Secondo me – oltre alla pigrizia dei critici, anche perché molti sono ultra sessantenni – è anche colpa di una scena romana che fa fatica a realizzare un sistema teatrale virtuoso: anche realtà affermate sono in debito e attori e organizzatori non vengono pagati. Non conosco bene la realtà torinese e quindi non ne parlo. A Milano ci sono numerosi piccoli e agguerriti teatri – cito su tutti il Teatro i che ho visto nascere con una stagione quasi “clandestina” nel 2005 e che in 6 anni è diventato un punto di riferimento – che non vedo a Roma, dove se esci dai circuiti ufficiali e istituzionali, puoi augurarti di vedere del buon teatro solo nei centri sociali. Tutta la fascia intermedia è assente. Conoscendo un po’ le due realtà mi sento di dire che a Milano c’è un tipo di organizzazione e gestione nei teatri che a Roma manca del tutto. Un esempio? Il Piccolo Teatro ha aperto un ufficio marketing negli anni Ottanta (primo fra i teatri stabili italiani), il Teatro di Roma ancora non ce l’ha. A Roma non esiste una stagione completa e di ricerca che proponga produzioni e ospitalità al livello del Teatro i (o dell’Out Off o del PIM fino all’anno scorso). Andando su questioni organizzative e promozionali: a Milano ci sono due situazioni che funzionano benissimo: mi riferisco alla Festa del Teatro e all’Invito a Teatro ovvero il carnet per vedere spettacoli in diversi spazi teatrali. A Roma hanno provato a fare cose simili che non funzionano. A Milano ci sono addirittura privati e fondazioni che investono in teatro. Perché a Roma non accade? A Roma ci sono 100 teatri di cui 95 praticamente sempre vuoti oppure riempiti dagli amici attori degli attori in scena reclutati a suon di newsletter invasive e sms e eventi su facebook. Anche questo vorrà dire qualcosa? Insomma a Milano si fa un miglior teatro e forse è anche per questo che poi vengono distribuiti più premi. Il sistema-Milano prova a essere virtuoso (anche se non mancano certo i giochi di potere e i clientelismi), il baraccone-Roma fa acqua da tutte le parti. Vorrei essere smentito ma è la dura verità.
Per non parlare di arte contemporanea: a Roma si continuano a ristrutturare spazi (Pelanda, ex GIL) o aprirne nuovi (Macro, MAXXI) quando poi non ci sono i soldi per le mostre. A Roma l’arte contemporanea non esiste quasi, l’ultima grande mostra è stata quella di Bill Viola a fine 2008. Poi niente eccetto qualche coraggiosa galleria privata. A Milano ogni volta che vado trovo qualcosa di nuovo (Tony Ousler al PAC, Pipilotti Rist al cinema Manzoni grazie alla Fondazione Trussardi, solo per fare 2 esempi recenti).
Scrivo questo anche perché sollecitato da un articolo di Simone Nebbia apparso oggi su Teatro e Critica. Simone su alcune cose ha ragione ma non credo sia una questione di razzismo o di leghismo. E poi l’avevo letto con curiosità dato che l’autore non c’era (o almeno io non l’ho visto) e si è basato su un freddo comunicato. Forse avrebbe fatto bene a venire perché, oltre a sparare a zero sui premi, avrebbe così potuto documentare alcuni piccoli momenti significativi e che hanno regalato un’umanità che troppo spesso ci manca, e mi riferisco ai giovanissimi scalmanati di History Boys, alla leggerezza e simpatia del novantaduenne Gianrico Tedeschi, all’emozione di Federica Fracassi di fronte al mostro sacro Mariangela Melato. Insomma mi sembra che iniziare uno scontro gratuito “da stadio” Milano – Roma anche sul teatro non faccia bene a nessuno, e mi sembra una polemica sterile che evidenzia solo un certo provincialismo romano. E poi piangersi addosso non serve, lo dico da toscano che ha vissuto in tutte e due le città quindi super partes.
Tornando alla serata di ieri, l’atmosfera non era per niente allegra, almeno secondo me. A parte che non c’era il buffet post premi ;-), ho respirato aria di smantellamento, di fine ciclo, con una casa editrice praticamente ferma (l’ultimo libro se non sbaglio è uscito nel gennaio 2011) e a serio rischio sia il futuro della casa editrice stessa, che non naviga certo in acque sicure, che i Premi Ubu XXXV. Premi secondo me fondamentali per il teatro italiano ma che forse necessitano di una ristrutturazione sopratutto se e quando la Ubulibri non esisterà più. [sp]
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