Frequento il Suq festival di Genova da un po’ di anni e mi colpisce sempre come ogni anno la sua offerta riesca ad affrontare in maniera composita temi urgenti e contemporanei. Sabato alla Chiesa dei Banchi ho assistito a una nuova tappa della Compagnia del Suq sul tema della maternità, dopo Madri clandestine e Da madre a madre: con Nel nome una storia. Di adozioni felici, segreti, speranze, ispirato al libro “Ti racconto com’ero” di Emilia Marasco, prosegue l’indagine tra autobiografia, impegno civile e memoria collettiva. Irene Lamponi, che cura la drammaturgia, e Carla Peirolero, grazie alla quale è nato lo spettacolo, mettono in scena due vicende vere, intense, capaci di attraversare il tempo e arrivare fino a noi.
La regia di Marcela Serli dona ritmo, accentua i drammi senza appesantire, costruisce un percorso evocativo in relazione con la Chiesa di San Pietro in Banchi valorizzandone l’aura di sacralità. Il risultato è un’esperienza emozionate, un reportage poetico. Un altare laico su cui vengono deposti il dolore e l’amore di due percorsi di adozione.
Da una parte c’è la storia della mamma di Carla, Maria, abbandonata nel 1925 in un brefotrofio di Savona e cresciuta da una famiglia adottiva anche se a scuola sarà sempre figlia di N.N. perché la legge non prevede assuma il cognome di chi l’ha cresciuta. Dall’altra, Saba, figlia adottiva di Emilia Marasco: arrivata dall’Etiopia in Italia negli anni Novanta, diventa parte di una famiglia aperta e accogliente, ma non per questo immune da domande, dubbi, ferite. A interpretarle, rispettivamente, Carla Peirolero e Irene Lamponi, entrambe misurate, credibili, profondamente in ascolto. Due presenze sceniche che si sostengono e si specchiano, dando vita a un dialogo tra generazioni e culture, tra chi ha dato e chi ha ricevuto una nuova possibilità.
Nel nome una storia è uno spettacolo che con semplicità e rigore affronta temi complessi: la genitorialità non biologica, il riconoscimento sociale, la costruzione dell’identità, il diritto di appartenere. Il teatro diventa luogo di riflessione e testimonianza, una soglia da attraversare per riconsiderare i concetti di famiglia, radici, memoria. Spesso mi giro a vedere il pubblico, questa volta era particolarmente presente durante lo spettacolo ed emozionato agli applausi.
A completare il percorso che fa del Suq un prezioso momento di accrescimento e dibattito, nel pomeriggio al Salone delle Feste del Porto Antico di Genova, fra profumi di spezie e cibi esotici e colori sgargianti di stoffe e vestiti, c’era stato l’incontro pubblico Adozioni e affidi tra passato, presente e futuro, un momento corale di approfondimento e confronto con il pubblico e le associazioni del territorio. Hanno partecipato Francina Foresti dell’ANFAD – Associazione Nazionale Figli Adottati, Ilaria Gibelli, avvocata di Rete Lenford e attivista per i diritti LGBTQIA+, e il CIAI – Centro Italiano Aiuti all’Infanzia. A condurre l’incontro, la scrittrice e docente Emilia Marasco, autrice del libro che ha ispirato la drammaturgia dello spettacolo serlae
Insieme, scena e parola pubblica hanno offerto un’occasione preziosa per accendere luci su una realtà spesso taciuta o raccontata in modo parziale, portando al centro del Suq Festival uno sguardo sensibile, politico e umano. Un esempio concreto di come il teatro possa farsi ponte tra storie private e coscienza collettiva.
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