Può il Teatro guarire il Pianeta? Intervista ad Andrea Brunello

Debutta stasera a Bordeaux Pale Blue Dot, l’ultimo lavoro della Compagnia Arditodesìo che affronta questioni scientifiche attraverso il teatro. Dopo il debutto francese, lo spettacolo comincerà la sua tournée italiana nel 2016 e sarà al Teatro Libero di Milano in maggio. Ho fatto alcune domande al fondatore Andrea Brunello su questo nuovo lavoro e sul suo modo di fare teatro.

Andrea, con il progetto Jet Propulsion Theatre da qualche anno la tua compagnia affronta tematiche scientifiche attraverso il teatro. Come nasce questa idea di raccontare la scienza attraverso l’atto teatrale?
Ho sempre avuto una passione enorme per quella che è la scienza e soprattutto la fisica e la matematica che ho studiato approfonditamente arrivando ad acquisire un Ph.D. in Fisica nel 1997. In parallelo ai miei studi scientifici e anche dopo avere lasciato il mondo accademico ho portato avanti anche un percorso formativo legato al Teatro e poi, in maniera del tutto naturale, ho provato ad unire le due cose. Ed ecco che così, nel 2012, è nato il progetto JPT con il Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, soprattutto con il Professor Stefano Oss che dirige il Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche.

Pale Blue Dot, il tuo terzo spettacolo di teatro e scienza dopo Il Principio dell’Incertezza e Torno indietro e uccido il Nonno, debutta a Bordeaux proprio all’interno di un festival di teatro-scienza, contesto inesistente in Italia. Hai già frequentato situazioni simili? Hai avuto modo di conoscere realtà teatrali che fanno un lavoro analogo al tuo?
Dopo la nostra partecipazione al Fringe di Edimburgo nell’estate 2013 con Il Principio dell’Incertezza siamo stati invitati all’International Science Festival di Edimburgo nel 2014 e all’incontro ECSITE 2014 a L’Aia nel maggio 2014. In Italia abbiamo avuto modo di portare il nostro lavoro in molti contesti teatrali, festival e stagioni ma anche in contesti più accademici. Sono tante le scuole superiori che ci hanno ospitato ma anche molte le università: a Milano la Statale e la Bicocca, a Bergamo, a Trieste, a Trento naturalmente ma anche al Joint Research Center for the European Commission a Ispra/Varese e altri centri di ricerca. Siamo anche stati ospitati al Festival della Scienza di Genova sia nel 2013 che nel 2014. Adesso siamo a Bordeaux al FACTS Festival e questa avventura è estremamente interessante per noi perché l’Università francese ha sposato il progetto JPT in maniera molto convinta.

Lo spettacolo affronta il tema delle trasformazioni ambientali, in particolar modo dell’aumento vertiginoso di utilizzo di combustibili fossili negli ultimi decenni che ha portato alla deforestazione, al surriscaldamento globale e non solo. Perché pensi che sia importante utilizzare il linguaggio del teatro per sensibilizzare e denunciare rispetto a simili problemi?
Il linguaggio del teatro è il linguaggio che conosco meglio. Quindi uso questo. Ma ogni “linguaggio” è quello “giusto” se il messaggio è importante e se se ne sente l’urgenza. Io credo che l’arte abbia il dovere oggi di raccontare la nostra contemporaneità e di leggerla con la massima lucidità. I tempi sono veramente complessi e questa complessità è il risultato di un percorso evolutivo che noi, come homo sapiens, stiamo portando avanti con enorme vigore. Per me, in questo momento, la contemporaneità chiede di raccontare fenomeni complessi come quello dei cambiamenti climatici e della nostra incapacità di reagire ai problemi che noi stessi stiamo creando. Questa è una urgenza che sento perché da una parte la mia formazione come fisico mi fornisce degli strumenti per capire il problema ambientale nella sua essenza scientifica, e dall’altra come persona sono consapevole che si tratta di un problema che è potenzialmente devastante per noi e quindi va raccontato e anche denunciato con tutta l’urgenza possibile. Lo spettacolo però non è una narrazione scientifica, è teatro. E’ l’incontro tra la parte umana, empatica, contraddittoria e quella scientifica che diventa interessante.

Ma Pale Blue Dot, che vedremo in Italia a partire da gennaio, vuole essere anche un messaggio di speranza. Quale rivoluzione è necessario attuare per risolvere il “problema perfetto” da te studiato e affrontato nello spettacolo? Quanto è necessario essere ottimisti?
Come in tutte le cose, se perdiamo la speranza allora siamo morti. La speranza deve restare accesa perché è lo stimolo per continuare a cercare soluzioni. Quindi è fondamentale non perdere mai la speranza! Certo vale la pena essere realisti… il problema ambientale è “perfetto” perché si trova alla congiuntura di tante questioni: quella energetica, quella economica… l’esigenza legittima dei paesi meno sviluppati di crescere, l’aumento della popolazione.. ma anche la diminuzione delle fonti di cibo, l’inquinamento crescente dei mari, dell’aria e della terra, i terreni agricoli sempre più sterili, l’allevamento intensivo e devastante di animali da macello. Il punto è che il nostro Pallido Pallino Blu, il Pale Blue Dot, è diventato piccolo per noi, le sue risorse sono finite, e come sempre quando le risorse sono limitate si arriva alla crisi.
La rivoluzione che invochiamo nello spettacolo è legata alla nostra capacità di tornare in profonda armonia con la Terra, tornare a mettere in primo piano il bene comune e quindi abbandonare l’individualismo. Purtroppo però sembra che tutto vada nella direzione opposta. In Pale Blue Dot noi diamo una sorta di “decalogo” che abbiamo sviluppato e cresciuto assieme a molti ricercatori delle Università di Bordeaux e di Trento. Oltre al buon senso ci sono anche soluzioni capaci di spiazzare, come quella che invoca l’educazione dei bambini come risposta concreta ai problemi ambientali. In un certo senso Pale Blue Dot è uno spettacolo sorprendente e, a modo suo, ottimista.

Pale Blue Dot - foto: Lucia Baldini
Pale Blue Dot – foto: Lucia Baldini
Simone Pacini

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