Queer Festival fra fa’afafine e palloncini rosa

C’è un Festival, in questi giorni, all’Atir Ringhiera di Milano, che gioca sul concetto di Queer.

Queer è ogni comportamento difforme, ogni trasgressione ad una regola sociale e di costume acquisita e data per assodata”, spiega Serena Sinigaglia, regista e direttrice artistica del teatro, che poi declina: “Queer è una nonna che fa il dj, è una casalinga felicemente sposata e con prole, che il lunedì sera va a ballare il tango sola fino alle 2 di notte. Queer è la contraddizione allegra, è l’irrompere di un’abitudine dionisiaca e improbabile, è un gesto che devia dal percorso prestabilito e lo arricchisce di nuove possibilità…”. Poi, di fatto, scorrendo l’occhio sul programma del festival, nessun episodio, che racconti di “un bacio appassionato tra due vecchi”, di “un prete tatuato” o di “un calciatore laureato in fisica nucleare”, per restare alle parole della Sinigaglia; il focus non si scosta mai da quella declinazione sull’ identità di genere, che è una delle cifre di quell’impegno che la Compagnia Atir rivendica nel suo “teatro che sia semplice, diretto, chiaro, energico, privo di ermetismi o retorica; un teatro che sia dentro la realtà, dentro al tempo, spunto di riflessione dell’oggi: un teatro popolare di qualità”.

Locandina  Festival Queer
Locandina Festival Queer

Degli eventi in programmazione, abbiamo seguito l‘acclamato “FA’ AFAFINE – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro” (Premio Scenario Infanzia 2014 e Premio Infogiovani al Festival Internazionale del Teatro di Lugano 2015), scritto e diretto da Giuliano Scarpinato e in scena Michele Degirolamo e “PALLONCINI – POTEVA ESSERE SCEMO”, scritto da Gianna Coletti, pure in scena con Laura Pozone, e Gabriele Scotti, che ne cura anche la regia. Due spettacoli speculari, infondo; eppure due spettacoli profondamente differenti.

Genere teatro-ragazzi, il primo, poetico e onirico, complice anche un sorprendente fraseggio drammaturgico coi contributi video, gustosa commedia sul filo di un garbato e godibile politically incorrect il secondo, entrambi raccontano del delicato momento della determinazione d’identità di genere in fase pre adolescenziale. Ce lo raccontano da due punti di vista antitetici. Nel primo caso è lo sguardo di Alex, un ragazzino dai boccoli neri e dagli occhioni bambineschi e sognanti, così grandi da far paura a “Elliot”, il compagno per cui ha preso la sua prima cotta e che lo prega di coprirli, quando gli sta vicino; un prototipo fanciullesco, che strizza l’occhio all’ultimo dei miracolati dalla piccola Ea, in “Dio esiste e abita a Bruxelles” di Jaco Van Dormael, ma anche al protagonista de “La mia vita in rosa” di Alain Berliner o alla fantasia surreale e naïve de “Il favoloso mondo di Amélie” di Jean-Pierre Jeunet. Nel secondo caso, invece, il punto di vista è quello schietto e ironico di Germana, una “madre a tutti i costi”, che sceglie di avere un figlio investendo i suoi ultimi risparmi nella fecondazione eterologa per poi trovarsi fra le mani questo bambino sensibile e perfetto, sì, ma che forse tanto perfetto non le pare.

PALERMO 12.05.2014 - STAGIONE PROSA TEATRO BIONDO: FA'AFAFINE DI GIULIANO SCARPINATO AL NUOVO TEATRO MONTEVERGINI. © FRANCO LANNINO/STUDIO CAMERA
“FA’ AFAFINE – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro” © FRANCO LANNINO/STUDIO CAMERA

In “Fa’afafine” Michele Degirolamo interpreta con la sua fisicità instancabile e la voce argentina, un ragazzino brioso e fantasioso, che interagisce la sua ricerca di look e di d’identità coi suoi amichetti di fantasia, forse perché, fuori da quella claustrofobica prigione dorata che è la sua stanzetta, la realtà non gli piace; è un mondo fatto di bullismo e di affetti non ricambiati, che a poco a poco penetrano nella stanza attraverso lo slabrato buco della serratura dai contorni cartoon, da cui giganteggiano genitori irritabili e frettolosi, interpretati dai toni divertenti e caricaturali di Giuliano Scarpinato e Gioia Salvatori, nei contributi video. Non gli resta che la fuga, giù dalla finestra, sorretto da lenzuola annodate; ma la normatività del mondo circostante lo stringe sempre più all’angolo, non lasciandogli altra scappatoia che la fantasia; meglio sognare d’essere un fa’afafine, il terzo genere accettato nella cultura di Samoa, che viene rapito da questa sorta di extra terrestri. Riecheggia il ricordo della nonna, figura positiva tradizionale nelle favole per bambini. “Basta pensare forte forte a una cosa,perché questa si realizzi” ed è così che forse arriveranno a salvarlo. Si apre qui una sequenza video suggestiva, sostenuta da quella musica “martellante”, che tanto attrae gli adolescenti nel loro processo di evoluzione verso l’età adulta, che risulta non solo una scelta azzeccata per il caso specifico, ma che affascina anche il pubblico adulto, sia nelle immagini ardite che mostrano planate velocissime su paesaggi ripresi in volo, sia nella liricità di quella lettera scritta forse solo sulle pareti del suo cuore, ma esplosa nell’amplificazione di quei muri dai quali comunque non sa uscire. E poi frozen, cristallizzato nell’istante estremo che segna il punto di svolta. Quel che segue è il lento avvio verso un prevedibile surreale happy end – tanto più auspicabile, in un teatro-ragazzi -, in cui la contaminazione di recitazione vivo/video, si fa sempre più presente. Se ci dice della volata evolutiva verso uno speculare processo di accettazione reciproca, peccato si concluda con l’irrompere di Alex “ornitorinco, unicorno e dinosauro” nella realtà mondo adulto raccontataci dalla virtualità delle immagini video.

“PALLONCINI - POTEVA ESSERE SCEMO”
“PALLONCINI – POTEVA ESSERE SCEMO”

Tutt’altre corde quelle di “Palloncini”. Si sa, la memoria è tenuta viva dal racconto e il racconto è il modo, in cui gli uomini, da sempre, hanno oggettivato il mondo, decodificandolo a sé per poterlo poi comunicare agli altri. Questo, in fondo, fanno, anche qui, Germana/Gianna Coletti e Mirella/Laura Pozone, mentre allestiscono la festa di compleanno di Carlo, figlio della prima. E’ la sua vocina fuori campo che chiede espliciti “palloncini rosa” a marcare con segno preciso l’incipit della commedia. Un movimento maieutico, in fondo, che, fra ironia e verità, luoghi comuni e altrettanto comuni nevrosi e ancor più diffuse icone, spettri, fantasmi, cyber dipendenze tutte moderne e contemporeneissime ossessioni, ci accompagnano per mano su e giù per le contraddizioni di questa nostra società alla “Carnage”, che non è certo meno ipocrita e perbenista di quanto non sia disposta ad ammettere. E questo fa, la regia di Gabriele Scotti: le fa muovere avanti e indietro, quasi sempre a luci fisse, prestandoci il suo sguardo a tutto tondo, che è quello di chi fissi le strategie sociali di furiosi topolini da laboratorio. Poi stacchi di buio – giusto quel batter di ciglia tanto fisiologico quanto psicologicamente necessario – e poi ancora a scrutare, in quello sciorinare luoghi comuni, i nostri stessi tabù mal dissimulati. Un testo davvero sfaccettato, provocatorio e raramente reticente, pur nella leggerezza della commedia, sostenuta in modo sempre convincente dalla connaturale nota comica della Coletti e non meno dalla sfaccettata e cangiante vèrve della Pozone, disinvolta nel modulare canoni e registri.

Se vi siete incuriositi, Queer Festival prosegue ancora stasera e domani, all’Atir Ringhiera di Milano.

 

Queer Festival

da giovedì 14 a domenica 17 aprile

al Teatro Atir Ringhiera

 

Francesca Romana Lino

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