Tournée al Bar andata e ritorno: Shakespeare, oltre alla burla c’è di più

Si arricchisce di un altro capitolo ancora, Tournée da Bar, progetto capitanato dall’attore Davide Lorenzo Palla e dal suo fido polistrumentista Tiziano Cannas Aghedu; dopo “Otello”, “Romeo e Giulietta”, “Amleto” e “Macbeth”, alla saga shakespeariana si aggiunge “Il Mercante di Venezia”, in scena fino a domenica 17 dicembre 2017 al Teatro Carcano di Milano, che ci ha creduto a tal punto da produrlo.

Era iniziata ben prima, la sfida di Palla (classe 1981): dopo il diploma all’Accademia di Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e i primi spettacoli da attore (una particina nel “Misantropo” per la prestigiosa regia di Massimo Castri e poi il confronto diretto coi classici ne “Il ventaglio” di Goldoni e proprio in un altro shakespeariano “Il Mercante di Venezia”, entrambi regia di Alberto Oliva), Davide capisce quello che vuol fare da grande: teatro, sì, ma alla sua maniera. Nasce così “Tritacarne Italia Show” (2012), primo progetto itinerante nei bar, in cui suo compagno di scena era un burattino a sua immagine e somiglianza, ma talmente irriverente, che lui stesso finiva con l’ucciderlo. È un primo tentativo: l’intuizione giusta è che se da un lato la gente preferisce andare al bar, anziché a teatro, e, dall’altro, il teatro pare non avere spazio per lui, la sfida è provare a portare il suo teatro al bar… Veni, vidi, vici. Perché “Otello”, capitolo che inaugura questa riscrittura delle opere del Bardo, fa centro. Così, forte anche delle collaborazioni a seguito degli incontri e delle esperienze maturati frattanto sul campo (nel frammezzo c’era stato il tentativo di fare compagnia in Calibro Notte, dove si è consolidato il sodalizio artistico con Tiziano Cannas Aghedu, oltre che col regista Riccardo Mallus), il giovane mattatore capisce che, almeno nel suo caso, la drammaturgia contemporanea può attendere, finché le storie dei classici hanno ancora tanto da dire. E inaugura un format.


Squadra che vince non si cambia, già; ma poi ci sta anche che un giovane abbia la voglia e la disponibilità di sperimentare in direzioni diverse, specie quando, come il giovane in questione, si reputi che di teatro bisogna anche riuscire a viverci: e si diventi manager di se stessi. Così, a “Otello” (era il 2014) sono seguiti gli altri lavori, in cui si è provato a cavalcare colori differenti, accendendo le tonalità della commedia e sperimentando nuove collaborazioni sia artistiche (Enrico Pittaluga, Graziano Siressi, Irene Timpanaro) che di produzione; fino a quadrare il cerchio con la vittoria del bando Che fare? che ha fornito strumenti di tutoraggio e mentoring oltre che di produzione a questa già di per sé macchina da guerra. 

E arriviamo così a “Il Mercante di Venezia”, che ha debuttato ieri, 14 dicembre al Carcano, teatro che, per primo, li ha accolti (anche nella passata stagione con “Otello”).
La formula è finalmente quella originaria: sul palco solo il mattat(t)ore e il suo musico, convinti che nulla è perduto fino a quando si ha una buona storia e qualcuno a cui raccontarla, come chiosa Palla, citando il protagonista di “Novecento” di Baricco. E se questa storia è certo buona, non meno lo è il modo del tutto loro, con cui ce la raccontano. Estrapolano un punto di vista e gli mettono a servizio personaggi secondari, che trasformano in divertenti macchiette e catartiche cattive coscienze di quanto spontaneamente rimuove e spurga, il civil convivio. Se nell’ “Otello”, infatti, lo sguardo era in qualche modo quello di Iago, qui, la prima immagine è quella del gobbo Lancillotto. Servo dell’usuraio ebreo Shylock e poi di Bassanio – che, per partecipare alla lotteria amorosa e ambire alla bella Porzia, fu causa di quel debito, che stava per costare la vita all’amico Antonio proprio per mano dello stesso ebreo -, ci è presentato come il fool, che, in preda ai fumi dell’alcool e della baldoria, si trova suo malgrado a dire la verità. “Quel mendicante indossa il costume più credibile di tutto il Carnevale: la sua miseria”, lo schernisce, indicando l’ebreo, suo padrone di un tempo ed ora costretto alla conversione e quindi all’esclusione. Ma per miseria non s’intende soltanto quella economica: è la maledizione dell’escluso, del reietto, del paria, con l’aggravante, qui, di essere seppur odioso, ma capro espiatorio – in più, l’accanimento – di atavici odi razziali; e la cosa non può certo non cortocircuitare con la contemporaneità.

Già, perché Palla/Cannas Aghedu ce lo hanno per vizio, quello di raccontare la storia a modo loro, alla ricerca di un senso e creando una partitura precisa: prolessi del finale e analessi dell’intreccio, scansione in atti e alternanza di libera narrazione e fedele recitazione (valorizzati da cambio luci e suoni, sia nella scelta del microfono, che della musiche, tutte originali di Cannas Aghedus). Precisi appuntamenti narrativi (prologo, epilogo, captatio benevolentiae, morale) e coinvolgimento attivo del pubblico (con esiti esilaranti e coinvolgenti, efficacissimi soprattutto nei luoghi non convenzionali) completano un copione, che si ripete, identico, ad ogni nuova messa in scena shakespeariana, educando il pubblico ad una modalità di fruizione, ma anche di attenzione e intenzione, che ha permesso loro di spingersi sempre un gradino più in là. Fino a questo “Il Mercante di Venezia”, in cui, mai dimentichi del gioco ad alternanza fra serio e faceto, riescono a trasformare quella che – lo ricorda lo stesso Palla, a fine spettacolo – nasce come una commedia, in un compendio di storia e sociologia del costume (fatti e luoghi della Serenissima, leggi e prescrizioni sulla convivenza fra cristiani ed ebrei, piuttosto che gigionesca illustrazione delle complicate leggi per l’elezione del Doge), piccolo almanacco di curiosità (dalla liason fra le opere shakespeariane e le novelle italiane del ‘400/’500 all’etimo di ghetto) e, soprattutto, un grande tributo al teatro, che davvero mostra di aver bisogno di poco altro, quando si abbia una buona storia e qualcuno in grado di raccontarla. Già, perché non si tratta soltanto di studiare. Testo, contesto, intrecci, suggestioni, sì, ma poi anche profonda conoscenza dei così detti ferri del mestiere tanto sul versante attorale (Palla mattatore, senza di cui difficilmente questo progetto vivrebbe di vita propria), che su quello autorale (nella trasposizione drammaturgica e in una messa in scena capace di mixare artificio e sostanza, registri, caratteri e linguaggi) e registico. L’occhio di Riccardo Mallus, infatti, qui, modula il già rodato tandem Palla/Cannas Aghedu, confermando gli appuntamenti narrativi e le scelte di senso, che, giocate, nei bar, su due cassette della frutta rovesciate, nelle scenografie di Guido Buganza si trasformano una struttura lineare fatta di passatoie e pedane dal similare color frassino, il cui andamento ricorda i porticcioli di Venezia. Per fondale una cartina di Venezia color sanguigna e dal tratto anticato e, sotto, centrale, il palcoscenico del mattatore; ai due laterali, due palchetti uniti da una passatoia obliqua a ospitare i due momenti di autorialità: le parole di Shakespeare, da un lato, dall’altro la musica di Cannas Aghedu, costruita, come sempre, attraverso l’utilizzo della loopstation e per accumulazione di strumenti scelti in base alla suggestione delle sonorità (new entry una tuba a sottolineare i momenti più surreali e divertenti)

Un testo denso e un lavoro importante, questo, che, nella nota apparentemente lieve di fluida maestria, nasconde un solido lavoro di squadra e attenti messaggi alla precarietà della convivenza sociale.

 

Da giovedì 14 dicembre a domenica 17 dicembre 2017

IL MERCANTE DI VENEZIA
da William Shakespeare
Uno spettacolo di
Davide Lorenzo Palla e Riccardo Mallus

Con Davide Lorenzo Palla

Musiche e accompagnamento dal vivo Tiziano Cannas Aghedu
Regia Riccardo Mallus
Produzione: Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano

Francesca Romana Lino

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