Ha lo stesso suono sdrucciolo di: “Apriti sesamo!” o “Alzati e cammina…”, “Talita kum” – e ci riporta alle medesime atmosfere un po’ favola e un po’ suggestione dal retrogusto scritturale. “Talita kum”, infatti, è un’espressione, che troviamo nel Vangelo secondo Marco – ripreso poi in un paio di passaggi da Dostoevskij. E’ ciò che Gesù intima alla giovinetta nell’atto di resuscitarla: “Alzati, fanciulla!”. Ed è davvero interessante vedere come diventi paradigma programmatico qui: qui dove un gioco di marionette – teatro originariamente pensato per intrattenere i ragazzi – si fa metafora splendidamente danzata di una serie di riflessioni.
Se parliamo di ‘resurrezione’, infatti, non è fuori luogo chiedersi cosa sia la vita. Ed ecco che un suggestivo gioco di teatro d’ombre ce ne ricorda i primordi…
All’interno di una gigantesca struttura – un po’ l’encefalo molle di un futuristico octopus proveniente da un’altra dimensione, un po’ stilizzata silhouette di un utero capovolto, che pare disegnata da Giacometti – assistiamo alla partogenesi. Una figura… poi due… una è una marionetta, forse. Poi il profilo del feto – con l’iconica manina avvicinata alla bocca – e tutt’attorno il rimbombo di un cuore che batte e di un vento – respiro/soffio di vita -, che non smette d’impazzare. Ma la sagoma sembra dirci che non solo questo è la vita. Ogni viaggio ha un suo bagaglio, si sa. E se, dietro al telo, la valigia sembra così minuscola da doverla pizzicare in punta di pollice ed indice, l’uomo incappucciato che irrompere sulla scena, trascina con sé un collo talmente ingombrante da stramazzare a terra, appena allo scoperto. “Quando sei nato, non puoi più nasconderti”, vien da pensare. Così non fa specie vedere questo sorta di ninja – il volto coperto da un sudario in raso nero e similmente il corpo, vestito con una tuta di medesimi stoffa e colore -, che arrischia i primi passi malfermi sulla scena. Come un bambino appena venuto al mondo, sembra dover apprendere tutto. In primis a camminare – bello quel bisticcio dei piedi nel gioco a rincorrersi, mentre il resto del corpo, sbilanciato, pare restarne attonito. E cosa c’è nella valigia? Lo scopre poco a poco. Una vecchia radio, un boa rosso e dei fiori: quanto basta per crescere una donna. Ancora giusto un salto dietro al telo – che si ombra di venature ramificate a suggerire l’albero della vita, ma anche le sinapsi della menta di un Creatore – e inizia così questa lirica, sognante e stralunata educazione (non solo) sentimentale della fanciulla.
Sembra di rivivere la poetica di “Wall-e”, dell’omonimo cartone animato della Walt Disney, nell’approccio con Eve. Anche lì una piantina – e, lì pure, questa sorta di maldestro tenero mentorato, per arrivare a concludere che, come sempre, il discepolo supererà il maestro.
Ma è più sottile di così e i due si approcciano fra loro, approcciandosi alla vita. Come ad una nuova creatura, lui deve insegnarle addirittura a tenere la testa dritta, a bere e a mangiare, prima ancora che a provare a sorreggersi sulle gambe. E a danzare – imperversa per quasi tutto il tempo, la melodia del non casuale ‘valzer sentimentale’ di Tchaikovsky nelle mille varianti, che altro non sono, in fondo, le tappe di ogni esistenza.
Ma ci è rimasto appiccicato addosso, frattanto, il dubbio acceso fin dall’inizio: perché lui è incappucciato? Si fosse comportato da ‘cattivo’, ce ne saremmo dimenticati; ma è tutt’una danza di gesti delicati e premurosi, questa, in cui gli occhi di lei, la schiena a toccare il petto di lui, continuamente si rivolgono in dietro a cercare un contatto visivo. E lui sembra guardarla, da dietro l’impenetrabile khimar, reclinando il capo quasi in ascolto adorante. E così mentre lui la sorregge – l’iconografia è quella di certe presentazioni del Bambinello: e come non pensare al simbolismo di creatore/creatura? -, lei acquista consapevolezza fino al gesto – greco! –, di una Pandora femmina curiosa. I greci la chiamavano ‘ubris’ – ‘tracotanza’, l’arroganza della creature di fronte al creatore. Gli solleva il velo per un attimo. Cosa vede? Impossibile dirlo: dura solo il lampo di un istante, eppure segna la svolta drammaturgica. E’ infatti da lì che lei inizierà ad acquisire una sempre maggior consapevolezza – fino a lasciarsi finalmente trascinare in quel valzer: divertita e consapevole come chi sa di essere lei, la reale padrona del gioco. E se vero è che: “Each man kills the thing he loves”, come scriveva Oscar Wilde, è da quella rivelazione che inizierà il processo di affrancamento dalla dipendenza discepolare. Fino al disfacimento: fino alle estreme conseguenze.
https://vimeo.com/48432071
C’è del pensiero, in questo apparente gioco per ragazzi. C’è il racconto del viaggio iniziatico nel vincolo relazionale affettivo e c’è tutta la riflessione sulla polarità dell’atto creativo. E soprattutto c’è una grazia e una maestria nel raccontarcelo, che fa di quella creaturina fragile che è Valeria Sacco, nelle ‘grinfie’ dell’ ‘uomo nero’, la protagonista assoluta nel ruolo di burattino e burattinaio e drammaturga – insieme a Marco Ferro -, di questa preziosa chicca di Riserva Canini, che non è solo un gioco da ragazzi.
Al Teatro i – all’interno della rassegna “Città Balena” – ancora stasera e domani.
dal 14 al 17 luglio
ore 21
RISERVA CANINI /
Talita Kum
immaginato e creato da Marco Ferro e Valeria Sacco
con Valeria Sacco
...blogger per voyeristica necessità!
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