Ormai non c’è inizio d’estate milanese senza Tournée da Bar. Tornano, come le rondini, coi primi caldi e, come uccelli migratori, irrompono nell’affollato cielo della programmazione cittadina coi loro garriti festosi per coinvolgerci nei propri mirabolanti voli. Sono Davide Lorenzo Palla e Tiziano Cannas Aghedu, nella formazione originaria, capaci di una sferzata di aria fresca, nonostante portino in scena tutte e sole opere del Bardo (fra i più tradizionali ed acclamati maestri di sempre).
È già passato più di un lustro, dacché, scacciati dai patron dei teatri ufficiali meneghini al beffardo monito del: “Ma andate al bar…”, al bar hanno avuto il guizzo di andarci davvero! Così si sono inventati una formula tanto snella – quanto a riscrittura, scene, luci e costumi –, quanto efficace e ben riconoscibile, in grado di adattare Shakespeare agli spazi e modi dei luoghi meno convenzionali. Ne hanno fatto una cifra contraddistintiva, perfettamente identificabile anche quando hanno voluto coinvolgere altri colleghi nel loro progetto.
Ma quali sono questi segni, declinati, ogni volta, in modo tale da adattarli ai differenti luoghi e drammaturgie? Lo spazio scenico è diviso idealmente in due – spazio dell’attore e spazio del musico-, ma poi ciascuno dei linguaggi si scandisce ulteriormente. Reso libero grazie all’utilizzo del microfono senza fili, l’attore può scatenarsi nella narrazione affabulatrice e imbonitoria – da cantastorie o one-man show –, in cui, con fare istrionico e accattivante, declina la trama shakespeariana senza rinunciare a guizzi ironici e boutades – in omaggio all’italianissima tradizione della Commedia dell’Arte – digressioni ed evocazioni – eh, il potere immaginifico, eredità della lezione di Massimo Castri -, assecondando una gestualità solo apparentemente prosaica, ma in realtà mirabilmente amplificata in accordo alle esigenze della teatralità mattatoria; la recitazione fedele dei versi shakespeariani, invece, viene baciata in un microfono anni ’60 che fa subito vintage e in qualche modo storia e tradizione. Eccola, la duplice modalità dell’attore (Davide Palla, nel duo originario, ma anche Irene Timpanaro, co-mattatrice delle ultime due opere, e, prima, Enrico Pittaluga e Graziano Siressi), che anche fisicamente si sposta su cassette rovesciate, buone, all’occorrenza, per raccogliere le offerte a cappello. Il polistrumentista Tiziano Cannas Aghedu, dal canto suo, se la gioca fra atmosfere di accompagnamento e prepotenti assoli: quando il pathos è giunto al massimo e non resterebbe che il silenzio – secondo il monito di Jago, consumata la tragedia di “Otello”, che inaugurava questa saga da bar –, è proprio allora che irrompono il sax o la tromba a colmare il cordoglio. Le luci – quelle della ribalta – sono faretti colorati, che fanno tanto fiera di paese, perché la scelta è proprio quella di calare niente di meno che Mr William Shakespeare – scandisce, facendolo roboare, il matta(t)tore – nelle atmosfere pop dei wine bar e locali contemporanei spesso individuati nell’underground di spazi riconvertiti. Ed è proprio questa, l’idea vincente – la risposta del pubblico, le acclamate tournée in giro per tutt’Italia e i premi e bandi vinti, ne sono la più efficace riconferma -: “Se i giovani preferiscono andare al bar, piuttosto che a teatro: perché non portare il Teatro nei bar?” Sembrava una sfida bislacca, eppure il fatto che un teatro come il Carcano si sia fatto co produttore (dell’ “Otello”, ad esempio, e poi ancora de “Il Mercante di Venezia” e, nella prossima stagione, dell’ “Riccardo III”) e che il debutto nazionale di quest’ultimo “Antonio e Cleopatra” sia fissato in una terra tanto lontana dalla pianura padana, in un festival dalla confermata storicità come Todi Festival, ne sono pleonastiche conferme.
Premesso tutto ciò, che dire di quest’ultimo “Antonio e Cleopatra”? Come sempre, c’è un pensiero preciso: a fine serata, il gioco è quello di evocare una giocosa liberatoria dello stesso Autore, che autorizza a riscrivere il finale della tragedia, esplicitandone la chiave di lettura. Così, in questo, lo stigma costantemente sottolineato è quell’ amore malato, che avvinse in modo patologico i due, stringendoli nella morsa di un funesto doppio legame. Eppure della tragedia non resta che la trama; al contrario l’intreccio, ma soprattutto il modo di raccontarlo, è, come sempre, frizzante, ironico e divertente; capace di pescare a piene mani nel pop – da Piero Angela al brand merchandising, dal Big Bang ai dinosauri -, riesce a offrire uno sguardo scanzonato (e, chissà, forse proprio per questo efficace) non solo sui classici, ma anche sulla storia – e, ancora una volta, sul presente, se vero è che Historia magistra vitae (est). Per i più sentimentali, non mancano nemmeno momenti intensi ed emozionanti: affidata all’interpretazione magistrale di Davide Palla, anche in duetto con Irene Timpanaro, la parola si fa intensa e vibrante ed è pressoché impossibile resistere all’onda emozionale sapientemente gonfiata dalle melodie di Tiziano Cannas Aghedu, costruite per moduli e ripetizioni e mixate in un crescendo il più delle volte emozionalmente senza scampo. Ne è emblematico esempio la rievocazione della battaglia navale delle truppe di Antonio, che virano in sanguinosa ritirata a seguire quelle di Cleopatra: la melodia ci culla con un dondolio che pure cresce, come l’inquietudine dello spaesato triumviro, fino a esplodere nell’assolo di una tromba, che è più pathos amoroso, presago di lutto, che squillo di guerra.
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Altissime professionalità, non c’è che dire, se non, forse, che – raro caso – qui si trovano per di più unite ad una non inferiore capacità imprenditoriale: il business planning, una delle poche opzioni rimaste per fare arte – produzione e coproduzione – in un mondo orbo di mecenati e dalle economie troppo rosicate per potersi permettere di gettar monetine in qualsiasi cappello. Così, di stagione in stagione, questa “macchina da bar”, fissa attorno all’asse portante Palla/Cannas Aghedu/Mallus (regista, quest’ultimo, di tutti gli spettacoli), non smette di studiare trovate capaci d’incuriosire ancora e di fungere da sostegno economico dell’ormai consolidata formula, inventandosi collaborazioni, serate con cene a tema, gadget, spin-off (in quest’ultima edizione) per fare rete e creare sinergie, non solo col pubblico, pur senza perdere la cura e la dedizione all’atto artistico. Certo, resta la questione dell’identità: pur generosa e brava nel darsi in un gioco quanto mai esigente, Irene Timpanaro rischia di arrivare più come una Eva/costola dell’originale Palla, piuttosto che come un autentico alter ego a tutto tondo – e, mutatis mutandis, lo stesso dicasi di Letizia Bravi e Marco De Francesca, che hanno proposto monologhi di classici greci negli ultimi due spin-off d’apertura serata, caratterizzanti questa stagione. Forse più interessante sarebbe vedere un altro modo di stare accanto al mattatore Palla: più che un tentativo/copia (ergo per sua stessa natura “inautentico”, specie in attori dall’evidente peso scenico differente), intrigherebbe di più la possibilità di interpretarsi con la propria cifra.
In attesa del debutto nazionale di “Antonio e Cleopatra” al Festival di Todi, il 31 agosto, il 6 luglio sarà possibile rivedere Tiziano Cannas Aghedu e Davide Lorenzo Palla ne “Il Mercante di Venezia” all’interno di Estate Sforzesca al Castello Sforzesco di Milano.
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