La Borto, portato in scena da Saverio La Ruina [photo: teatrodiroma.net] in prima nazionale al Teatro India di Roma, è il simbolo della violenza fisica e psicologica perpetrata sul corpo delle donne. Il contesto è la Calabria povera e arretrata di qualche decennio fa dove gli uomini stanno al bar a giocare a carte e a squadrare le “femmine” e le donne devono arrangiarsi con l’unico aiuto dei santi che poi spesso non funziona poi tanto.
Vittoria/La Ruina ci racconta, anzi racconta a Gesù, con estremo candore e semplicità, la storia sua e delle altre donne del paese, storia di privazioni e di disperazione, storia di un sud retrogrado e maschilista dove l’unico destino delle donne è subire: il matrimonio, i figli, la propria femminilità, la menomazione del proprio corpo, tutto. Ma lo fa con un’impensabile ironia e consapevolezza, con il suo intercalare da tipica donnina meridionale con le ciabattine che continuamente vanno su e giù lasciando intravedere il calzino azzurro. L’unica risorsa è la solidarietà tra queste donne che combattono “una guerra senza armi dove non ci sono vincitori e vinti ma solo morti e feriti” dove l’aborto fatto in casa, dalle mammane o medichesse, con il ferro da calza e il prezzemolo non è una scelta, ma un male inevitabile per evitare mali peggiori.
La Ruina ci lascia sentire con estrema efficacia e umanità l’atmosfera opprimente e il dolore fisico e morale vissuti da queste donne vittime degli uomini e dell’ignoranza. La scena è scarna, essenziale, il monologo inizia in punta di piedi per poi coinvolgere il pubblico con la sua drammatica leggerezza nonostante non sia facile da seguire per chi non conosca almeno i rudimenti del calabrese.
Ma quando Vittoria racconta della nipote, che anche lei vuole abortire, “ma questa volta in un ospedale pulito e sterilizzato”, viene da riflettere che le due vicende non sono paragonabili e che oggi una ragazza di quindici anni può scegliere, può informarsi, non è costretta a sposarsi adolescente, può prendere precauzioni, può evitare il destino della nonna. Ma forse non in un paesino del remoto sud?
Vittoria/La Ruina ci racconta, anzi racconta a Gesù, con estremo candore e semplicità, la storia sua e delle altre donne del paese, storia di privazioni e di disperazione, storia di un sud retrogrado e maschilista dove l’unico destino delle donne è subire: il matrimonio, i figli, la propria femminilità, la menomazione del proprio corpo, tutto. Ma lo fa con un’impensabile ironia e consapevolezza, con il suo intercalare da tipica donnina meridionale con le ciabattine che continuamente vanno su e giù lasciando intravedere il calzino azzurro. L’unica risorsa è la solidarietà tra queste donne che combattono “una guerra senza armi dove non ci sono vincitori e vinti ma solo morti e feriti” dove l’aborto fatto in casa, dalle mammane o medichesse, con il ferro da calza e il prezzemolo non è una scelta, ma un male inevitabile per evitare mali peggiori.
La Ruina ci lascia sentire con estrema efficacia e umanità l’atmosfera opprimente e il dolore fisico e morale vissuti da queste donne vittime degli uomini e dell’ignoranza. La scena è scarna, essenziale, il monologo inizia in punta di piedi per poi coinvolgere il pubblico con la sua drammatica leggerezza nonostante non sia facile da seguire per chi non conosca almeno i rudimenti del calabrese.
Ma quando Vittoria racconta della nipote, che anche lei vuole abortire, “ma questa volta in un ospedale pulito e sterilizzato”, viene da riflettere che le due vicende non sono paragonabili e che oggi una ragazza di quindici anni può scegliere, può informarsi, non è costretta a sposarsi adolescente, può prendere precauzioni, può evitare il destino della nonna. Ma forse non in un paesino del remoto sud?
Dafne Mauro
Simone Pacini si occupa come consulente free lance di comunicazione, formazione e organizzazione in ambito culturale. Nel 2008 concepisce il brand “fattiditeatro” che si sviluppa trasversalmente imponendosi come forma di comunicazione 2.0. I suoi laboratori e le sue partnership che mettono in relazione performing arts e nuovi media sono stati realizzati in 18 regioni. Dal 2015 crea progetti e tiene lezioni e workshop di “social media storytelling” per la cultura, in collaborazione con università e imprese culturali. Nel 2018 è uscito il suo primo libro “Il teatro sulla Francigena”.
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1 commento su “La Borto: storie di ordinaria disperazione”
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