Forse più noti per il loro ultimo “Thanks for Vaselina”, testo pluripremiato e passato anche all’Out Off ad inizio stagione, questo “Nuvole Barocche” è l’opera prima di Carrozzeria Orfeo, che la compagnia fondata nel 2007 è tornata a riproporre dall’8 al 18 maggio ai Filodrammatici – dove dal 13 al 16 maggio terrà anche un laboratorio dal titolo “Il sogno”. Ambientato nel 1979, il testo ci parla del progetto di tre amici, che, forse complice la suggestione del sequestro di Fabrizio De André e Dori Ghezzi, in quegli stessi giorni progettano il rapimento di un bambino, per poter chiudere i conti con i debiti accumulati da tenori di vita comunque sbagliati e socialmente bordline. Sono stati amici, da ragazzini, anche se poi la vita li ha spinti in direzioni differenti: ed ora si sono ritrovati per questo colpo, della cui opportunità, però, sembrano ancora ragionare e che, di fatto, non non vedremo che nella sua fase preparatoria. Quel che ci vien raccontato è il disagio, da cui coagulano queste tre esistenze: Nico/Massimiliano Setti, l’anarchico – suggerisce il foglio di sala – vittima delle scommesse ai cavalli, Beppe/Luca Stano, vinto dall’alcool e dalla figura di una madre ‘pazza e depressa’ – come la definiscono gli altri due – e Pier/Gabriele Di Luca, in qualche modo il ‘capetto’, che guarda al sequestro di De André con la scusa di carpirne le modalità e dinamiche: anche se poi la caratterizzazione dei personaggi è spesso poco più che un cliché appiccicato sopra, che traspare per autodefinizione, piuttosto che per reale stratificazione.
Quel che presto succederà, però, è l’implosione di questo progetto sgangherato, destinato a non resistere ai colpi di una realtà impietosa e di cui non sono evidentemente all’altezza – tanto da non aver remore ad ammetterlo, di non essere capaci di cotanta impresa e cercare, in alleanze, trasversali, di svincolarsene… L’epilogo sarà inaspettato: e regala un finale a più riprese, ricco di colpi di scena, ma che resta comunque in qualche modo ‘aperto’ ed ‘irrisolto’.
Una drammaturgia dell’attesa, in fondo: un testo alla “Il calapranzi” di Pinter, negli intenti, di cui ripropongono un iperrealismo, restituitoci da dettagli quali il far effettivamente il caffè direttamente sul palco, ad esempio; anche se poi la già citata poco stringente connotazione dei personaggi ce li fanno risultare quasi surreali protagonisti di un ambiente troppo accademico per calcare quelle sacche sociali. Certo: è probabilmente quello stesso spirito di scuola, però, che fornisce loro un’attenzione e cura per ai movimenti scenici dalla sincronizzazione quasi coreografica. Suggestive, in tal senso, le scene dei passare dei giorni – rese dal quasi compulsivo affrettarsi degli stessi movimenti di ogni giorno, nel vortice rotatorio sedia-letto-salottino – e quella della notte prima del colpo, dominata dall’insonnia e dagli incubi dei tre, che vanamente tentano di dormire, ma che finiscono poi col ricordare coralmente le esperienze di loro ragazzini, oramai tanto lontane sia nel ricordo che dalla realtà, in un gioco di luci blu livore e livido pallore, che colpiscono. Esteticamente coinvolgente è anche la rievocazione della notte di San Lorenzo, e quello stringersi, anulare, dell’occhio di bue sulla rosa rossa, rimasta la sola cosa ad essere illuminata: quasi un’ideale bandiera bianca, sventolata dalla goffaggine amatoria di Nico adolescente. E però tutto questo è passato, sembrano dirci; perché fra i tre, pur sotto un cercato cameratismo – in tal senso, il regalo di compleanno per Nico o la promessa, fatta tra Pier e Beppe, di rincontrarsi a distanza di un anno: comunque… -, domina una sostanziale diffidenza, che li porterà a dilaniarsi in una triste e miserrima guerra fra poveri, che poco ha a che fare con quell’umanità sì piccola e dolente, ma ad alto tasso poetico, cantata dal Faber.
Questo, di fatto. Dopo di ché il richiamo a De André sembra essere poco più che il tributo ad un mito adolescenziale – ad un certo punto Pier lo ammette anche di volerlo conoscere e fargli leggere le proprie poesie… – ed una sorta di leitmotiv, sullo sfondo, semplicemente a restituire una collocazione temporale ed una temperie, che questo solo cenno non riesce, però, a restituire nella sua complessità. Certo, aiuta anche a caratterizzare i personaggi. Ciascuno dei tre scommette sugli esiti del sequestro: ed il fatto che Pier propenda per la risoluzione col pagamento del riscatto, ad esempio, Beppe sia convinto dell’intervento della polizia, mentre Nico profetizzi un bagno di sangue finale, la dice lunga su chi siano ciascuno di loro e su come si pongano anche all’interno della loro sinergia relazionale. Sì, ma poi, il richiamo al cantautore genovese sembra essere solo una delle miriadi di concretizzazioni possibili, per parlarci di quei giorni e di quelle dinamiche.
Quando inizia lo spettacolo, la voce maschile fuori scena, che, al buio, recita “Nuvole” – con la perfetta introflessione sarda del servo pastore cantato in tante ballate di De André – forse fa presagire un link un po’ più stringente, mentre il tutto si esaurisce ai pochi cenni fatti sopra e ad un altro paio delle pur sempre godibili canzoni del maestro genovese.
Sicuramente d’impatto, la performance dei tre autori/attori/registi – coadiuvati, in questo, anche da Alessandro Tedeschi – e dall’unica presenza femminile, che è Fabrizia Boffelli; ma forse il testo – di cui i tre sono pure autori – sembra richiamarsi con una qual sorta di gratuità a De André, di cui, di fatto, neppure ci vien fatta sentire “Nuvole Barocche”.
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