Dopo il workshop di 5 giorni che si è concluso con la presentazione pubblica a Incheon entriamo nel vivo del nostro progetto con un gruppo ristretto di attori. Il 13 dicembre riprendiamo il lavoro con il fine di approfondire alcuni elementi emersi nei giorni precedenti e fissarli all’interno di una struttura per custodire in una forma compiuta i risultati raggiunti e proseguire il lavoro fatto nelle precedenti sessioni.
L’idea di aprire il progetto ad altri partecipanti attraverso la modalità delle sessioni internazionali di lavoro è nata nel 2008, quando il direttore del Grotowski Institute di Wroclaw ci ha chiesto di condividere parte del lavoro con alcuni suoi studenti. In quell’occasione abbiamo creato una struttura di riferimento le cui maglie possono allargarsi per contenere nuovi spunti di lavoro, materiali, azioni, canti. Questa particolare metodologia ci ha permesso di costruire di volta in volta performance differenti capaci di racchiudere il percorso compiuto nei giorni di lavoro che avevamo a disposizione e di includere performer e artisti di differenti nazionalità.
Questa sessione è stata dedicata ai soli attori coreani, in modo da creare un punto di partenza qui in Corea, per poi sviluppare il progetto in maniera più articolata nei prossimi anni. In questo paese non è così semplice organizzare un evento di questo tipo, sia per le difficoltà linguistiche, dato che non molti coreani non parlano inglese, che per quelle organizzative, in quanto le dinamiche relazionali sono molto difficili da comprendere anche per chi come noi ha già lavorato qui diverse volte. Bisogna quindi fare le cose poco per volta, “cian cianin”, come si dice da queste parti. Inoltre occorre rispettare delle gerarchie. Ognuno partecipa in modo diverso al processo di creazione in base al livello di conoscenza del progetto. Fanno da guida le nostre azioni individuali, così come quelle dell’attrice Sun Yung Park, la più “anziana”, la quale conosce meglio “Stracci della memoria” in quanto ha partecipato a tre delle quattro sessioni internazionali precedenti, ed ha scritto la sua tesi di laurea sul nostro progetto. Ci sono poi le azioni collettive che due dei partecipanti già conoscono perché create nelle precedenti tappe.
Nei pochi giorni di lavoro rimanenti passiamo in rassegna differenti “Studio”, sale prove tutte molto simili e ricavate nei piani ammezzati dei palazzi, prive di finestre e scarsamente riscaldate, per poi entrare nella Blue light live hall di Seul, un teatro in piena zona universitaria, per il montaggio e la prova generale. Dopo un attento lavoro dedicato a modificare lo spazio scenico con l’ausilio di pedane ed elementi praticabili, alla disposizione particolare del pubblico in sala, e all’illuminazione dell’intero teatro con centinaia di piccole candele siamo pronti ad andare in scena.
Il 16 e 17 dicembre alle 19.30 un pubblico vario e composto da studenti, professori universitari, teatranti, ricercatori e critici riempie la piccola sala da 50 posti e si crea subito un atmosfera magica, come in rituale. La nostra performance East meets West, riempie lo spazio di ritmi, sonorità antiche, canti italiani e coreani che si intrecciano ed azioni dove il corpo si riappropria di una sua memoria ancestrale. Il momento più toccante avviene quando avvolgiamo una benda intorno ad una ciotola d’acqua dove galleggia una barchetta di carta in mezzo a delle candele, ricreando il simbolo che ricorda l’incidente in mare che ha sconvolto la Corea alcuni mesi fa. Nella tragedia sono morti molti studenti giovanissimi e i coreani agli angoli delle strade e nelle piazze organizzano continuamente piccole manifestazioni per ricordare la strage e chiedere giustizia ad un governo che da mesi sta coprendo la verità sull’accaduto. Molti portano una coccarda gialla in segno di lutto e quest’anno i festeggiamenti del Natale saranno all’insegna della sobrietà nel rispetto dei parenti delle vittime. Per capire davvero una cultura così diversa, per noi è fondamentale, attraverso il nostro progetto, venire a contatto con la memoria di un paese non solo nel senso di tradizione e di passato, ma anche di vita e storia presente.
La risposta del pubblico al termine del lavoro è molto buona, tutti restano per il dibattito finale facendo domande e lasciando i propri commenti. Ci colpisce il parere di una professoressa universitaria, che mette in evidenza il fatto che il confronto tra la cultura orientale e quella occidentale contiene ancora numerosi aspetti da sviluppare, nonostante l’attuale processo di globalizzazione ci porti a pensare ad un appiattimento delle differenze. Apprezziamo molto il fatto che lei abbia visto nel nostro lavoro la capacità di valorizzare le differenze culturali e soprattutto che all’interno del processo di lavoro mostrato fosse chiaro il tentativo di unificazione e non di omologazione. Moltissime le domande, le curiosità, alle quali cerchiamo di dare risposta ma ciò che soprattutto ci da soddisfazione è l’interesse per i successivi step del progetto e la volontà da parte di tutti di continuare a seguire questo percorso di lavoro, come studenti partecipanti al workshop, come attori, all’interno delle sessioni di lavoro e come pubblico nella fruizione della performance.
Speriamo quindi di tornare presto, come tutti ci chiedono, e di riuscire a costruire un confronto continuo in questo paese che ormai sembra essere una seconda casa per noi.
Leggi la prossima ed ultima puntata il 23 dicembre su Instabili Vaganti On Tour | fattiditeatro , in diretta da Busan dove Instabili Vaganti condurrà dal 19 al 21 dicembre un workshop per gli studenti della metropoli all’estremo sud del paese