Emozionante ritorno al Bharat Rang Mahostav Festival a Delhi e Mysore

Dopo l’affascinante regione del Kerala è tempo di tornare alla base, il luogo attraversato da tutte le nostre tournée in India: la National School of Drama a New Delhi.

Cuore pulsante del Festival Bharat Rang Mahostav, ogni anno l’Accademia viene allestita con decorazioni e costruzioni differenti che la trasformano in un enorme palcoscenico: il più grande dell’Asia.

Dopo il mega festival dello scorso anno, quando la National School of Drama ha ospitato le prestigiose Theatre Olympics, l’edizione del festival di quest’anno, la ventesima, sembra più sobria e contenuta, concentrata sulle produzioni dei più noti registi indiani e con una programmazione internazionale più contenuta e attentamente selezionata. Essendo la quarta volta che portiamo un nostro lavoro in questa sede, ed avendo tenuto numerosi workshop per gli studenti dell’Accademia, c’è molta attesa per il nostro spettacolo, che rispetto ad altre produzioni internazionali, registra non solo il sold out, ma addirittura un overbooking che consente alle persone di posizionarsi in piedi nei corridoi del teatro e sedersi a terra in tutti gli spazi disponibili. L’immagine che ne consegue rimane impressa nella mia retina quando, scendendo dal palco per donare agli spettatori i fiori, simbolo della rinascita dei 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa, mi ritrovo a camminare in quella miriade di spettatori, di cui riconosco tanti studenti e colleghi, alcuni dei quali posso chiamare addirittura per nome, consegnando nelle loro mani quel dono e sussurrando in diverse lingue “Volevano seppellirci ma non sapevano che eravamo semi”.

Tornare a Delhi per noi è sempre emozionante, sentiamo di aver costruito un nostro pubblico, e sono tanti anche i critici e i giornalisti che attendono ogni anno il nostro nuovo lavoro al Festival. La cosa che ci ha dato più soddisfazione è che Desaparecidos#43 a Delhi ha svolto la sua funzione di cassa di risonanza, attivando suggestioni e connessioni con altre vicende in India, legate alla sparizione forzata di studenti e purtroppo anche di bambini.

Alcuni spettatori portano la nostra attenzione sui tanti casi avvenuti in Kashmir. Rimaniamo letteralmente scioccati quando, solo pochi giorni la replica di Delhi, già arrivati a Mysore, dai notiziari apprendiamo dell’attentato di Pulwama, il più sanguinoso degli ultimi vent’anni, avvenuto proprio in quella regione.

Poche e frammentarie le notizie che riusciamo a reperire, dalle drammatiche immagini che scorrono sugli schermi commentate nella lingua locale e dai racconti di alcuni spettatori tra il pubblico e organizzatori del Festival che ci ospita.

Sulla strada che collega Jammu a Srinagar 46 paramilitari indiani sono morti dilaniati quando un loro convoglio è stato colpito dall’esplosione violentissima di un’autobomba che ha coinvolto 78 veicoli. Un attacco suicida rivendicato dai terroristi irredentisti islamici dell’Esercito di Maometto, che rivendicano l’indipendenza di un territorio autonomo a grande maggioranza musulmano, sul quale India e Pakistan rivendicano la propria sovranità.

Entrando in teatro a Mysore, il pubblico si alza in piedi e la sala sprofonda in un interminabile minuto di silenzio.

I 43 studenti di Ayotzinapa e i 46 paramilitari Indiani si ritrovano ad essere evocati in uno stesso luogo, un teatro, affollato di gente pronta a condividere il proprio dolore restituendo proprio al teatro la sua funzione catartica e di agorà.  

E’ la prima volta che alcuni spettatori assistono ad uno spettacolo di una compagnia straniera, eppure, malgrado l’assenza totale di sottotitolazione, il messaggio arriva forte e diretto, come la risposta del pubblico, che al termine sale in massa sul grande palcoscenico per ringraziarci. La persona incaricata della consegna dei fiori è una regista anziana, molto conosciuta a Mysore, ha le lacrime agli occhi, abbraccia Anna Dora e le sento dire “the most emotional performance I’ve seen in the last years”.

Il giorno successivo lasciamo Mysore. Le strade sono poco trafficate, l’autista ci riferisce che la gente ha paura di uscire per via dell’attentato. Giunti nei pressi di un piccolo paese lungo la strada, l’auto è costretta a fermarsi dietro una lunga colonna di camion e veicoli in coda. Ai lati della vettura continuano a passare moto e motorini che si infilano nei minuscoli corridoi lasciati dalle auto incolonnate, sventolando piccole bandiere dell’India e inneggiando al proprio Paese, “Bharat! Bharat!”

Ai lati delle strade e sui tetti degli edifici ci sono centinaia di persone che attendono il passaggio di un convoglio che riporta la salma di una delle vittime dell’attentato nel proprio villaggio di origine. Auto della polizia precedono un camion pieno di fiori gialli che vengono lanciati sui passanti dalle persone aggrappate ai lati del mezzo. La gente sale sui camion in coda, sfodera i propri telefonini per filmare il passaggio del convoglio. Tra la folla appare l’immagine del militare caduto nell’attentato.

Malgrado la pericolosa ressa e la tensione che cresce al ritmo di frasi che esaltano l’India e accusano il Pakistan, l’emozione che riceviamo nell’assistere alla risposta di un’intera comunità è di una potenza incredibile. A poco a poco il giallo dei fiori ricopre la strada e il convoglio continua il suo viaggio, accompagnato da lacrime, orgoglio e indignazione.

 

Il sentimento che rimane in noi è quello di una catarsi itinerante che attraversa le strade del Paese dal Kashmir all’estremo sud, dove ci troviamo in questo momento, un momento delicato in cui, come non mai, ci sentiamo vicini a questo Paese e alla sua gente.

Partiamo alla volta di Pune, dove, dopo intensi giorni dedicati alla formazione, prima con un workshop organizzato da Thespo, al quale prendono parte 20 giovani attori affamati di “physical theatre”, poi con due giorni di laboratorio all’Università Lalit Kala Kendra, si conclude il nostro tour in India. Decolliamo alla volta di Kathmandu, in Nepal, dove ci aspetta una nuova affascinante tappa del #worldtour2019.

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dicembre, 2024

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