Orgy of Tolerance. L’opera d’arte totale di Jan Fabre

Jan Fabre - Orgy of toleranceHo assistito all’opera d’arte totale. Post wagneriana. Ho assistito all’opera d’arte totale degli anni Zero. Jan Fabre, nel suo Orgy of Tolerance [photo: Jean-Pierre Stoop] parte da un mito contemporaneo: quello della masturbazione e soprattutto quello della ricerca ossessiva dell’orgasmo. Moda, arte, consumo: siamo tutti vittime e la pagheremo, le prede del nostro razzismo si ribelleranno, i miti del nostro tempo ci tradiranno: Michael Jackson balla vestito da adepto del Ku Klux Klan, Gesù Cristo diventa un modello da sfilata, Barack Obama potrà dirci “yes, we come” ma anche “yes, we cum”. L’omaggio a Il portiere di notte di Liliana Cavani è tremendamente attuale. Dovremmo smettere di alimentare mercati malati, ma siamo troppo presi dai vernissage a dalla ricerca di biglietti omaggio per il teatro. Troppo froci per essere credibili. Troppa cocaina per essere lucidi. Vittime del capitalismo tardivo e delle nostre depravazioni. La tolleranza in cui ci illudiamo di vivere non basterà a salvarci, partorire i prodotti che consumiamo non potrà essere la soluzione. L’estasi del consumo ha vinto. Siamo corpi morti.

Da questi temi prende vita l’opera d’arte totale di Jan Fabre, il cui genio artistico ha avuto la definitiva consacrazione con la mostra personale al Musée du Louvre di Parigi (L’Ange de la métamorphose, 2008). Il suo Orgy ha tutto: un testo originale, dissacrante, moderno e pungente. Ambientazioni eleganti, scene da quadri di Edward Hopper. Luci perfette. Musica dal vivo rock, rap e non solo, recitazione multilingua e danza di alto livello per gli artisti totali della compagnia, col fucile perennemente a tracolla in attesa di non si sa quale guerra. Danzano sui divani Chesterfield (simboli della sicurezza domestica ma anche simboli estetici fine a sé stessi) e danzano anche i carrelli del supermercato. Si scorre verso il finale pirotecnico dove gli attori si uniranno per un vaffanculo a tutto il mondo, liberatorio come liberatoria sarà la danza di chiusura confusa e poetica.

Un pamphlet con la tagliente arma dell’autoironia. Un teatro totale, un orgasmo teatrale. Penso a certi registi nostrani, penso provocatoriamente di chiudere col teatro. Non credo che vedrò più niente di simile. Avrei concluso in bellezza.

Simone Pacini
Simone Pacini

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novembre, 2024

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