ph Valerio Agolino
Dopo il nostro primo giorno di adattamento, ancora in pieno jetleg iniziamo il workshop al Jaturi Actor’s studio di Seul. Il gruppo è formato da sei attori selezionati in base ad esperienze diverse in modo da dare un apporto alla fase di ricerca del progetto, con competenze che spaziano da canto alla danza e al cinema.
Nonostante il teatro coreano sia ancora molto classico e legato alla parola, gli attori hanno tutti una buona predisposizione ad un lavoro fisico come il nostro. Probabilmente perché sin da piccoli, a scuola, apprendono discipline e forme legate alle proprie tradizioni (danze, arti marziali, etc.). Inoltre tutti cercano sempre di dare il massimo sia per una forma di rispetto verso il maestro, sia per un’educazione improntata all’eccellere, al non fallire nel proprio compito. Caratteristica quest’ultima che talvolta diventa un ostacolo al lavoro di gruppo spostando l’attenzione solo sull’azione individuale. Quello che si avverte nel lavoro è questo contrasto molto forte, da una parte l’educazione alle attività collettive che provengono dalle arti performative tradizionali, e dall’altra la forte gerarchia, trasmessa dai registi coreani ai propri attori, che prevede “primedonne”, ruoli principali e ruoli secondari, e che rispecchia la tipica gerarchia sociale legata all’anzianità. Per cui gli attori più giovani non si permettono mai di contrastare o di avere semplicemente maggior iniziativa rispetto a chi ha più esperienza, ma soprattutto aspettano sempre il comando dei registi.
Dopo i nostri 5 anni di esperienza in questo paese, siamo arrivati ad una personale conclusione: in Corea ci sono attori potenzialmente bravissimi ma in linea di massima pessimi registi. Qui non esiste un attore “creativo”, non ancora. Ognuno si limita ad eseguire al meglio la propria parte attraverso un’interpretazione molto spesso psicologica e intimista. Il modello è il metodo Stanislavskij e molti coreani studiano teatro nelle accademie Russe, mentre per il teatro fisico il loro punto di riferimento è il mimo.
Pertanto i partecipanti al nostro workshop devono “rompere” qualcosa di questa dinamica per poter entrare davvero nel nostro modo di lavorare e diventare attori e creatori, in grado di elaborare e gestire i propri materiali e condividerli nel processo di lavoro. Non è un percorso semplice ma abbiamo sempre avuto ottimi risultati in questo senso: una volta crollate le abitudini, tutti adorano il senso di libertà che incominciano ad acquisire.
Generalmente nelle sessioni di lavoro del progetto Stracci della memoria lavoriamo prima condividendo il nostro training ritmico-vocale che si è andato consolidando dalla creazione del progetto nel 2006 ad oggi per passare poi ad una fase di confronto e infine di creazione.
In questo workshop abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcune danze legate alla tradizione del teatro in maschera coreano, in particolare sulla danza del lebbroso che contiene dei movimenti molto interessati da cui possiamo estrapolare passi ritmici e azioni sulle quali basare una parte del lavoro fisico. Il nostro fine è di trasmettere agli attori la possibilità di attingere da elementi codificati della propria tradizione di appartenenza per la costruzione di qualcosa di nuovo, originale ma che contiene in se la potenza e la carica espressiva del passato. Un lavoro di ricerca da cui si estrapolano elementi di base che possono essere destrutturati, trasmessi, condivisi e in parte modificati.
Dopo questa prima fase d‘indagine passiamo al confronto con le forme performative provenienti dal nostro bagaglio culturale ma anche e soprattutto con gli elementi già custoditi nel progetto. Da questa fase di lavoro nasce un nuovo alfabeto, fatto di azioni, ritmi, canti e parole che ognuno di noi è in grado di comprendere e dal quale possiamo partire per la creazione artistica.
Così in ogni workshop e sessione il progetto si arricchisce e si porta dietro questi frammenti, o sarebbe meglio dire “stracci della memoria”, al fine di custodirli e continuare a trasmetterli, attraverso un montaggio sempre nuovo di azioni che fissano attraverso la fase performativa il processo di ricerca compiuto.
Il workshop si chiude infatti con una dimostrazione di lavoro finale aperta al pubblico nel teatro Playcampus di Incheon, in cui per due ore passiamo in rassegna il materiale emerso in questi giorni entrando in un processo di lavoro continuo che, come un flusso ininterrotto, ci permette di ripercorrere i passi compiuti. Siamo contenti e soddisfatti, i partecipanti cominciano ad informarsi su come proseguire con noi il lavoro in futuro, nella prossima fase del progetto qui in Corea ma anche in Italia. Come sempre speriamo che possa davvero esserci una continuazione, vista la bella esperienza, l’interesse suscitato e le emozioni condivise.
continua…
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