Intervista a Dewey Dell su “I’ll do, I’ll do, I’ll do”, performance con ispirazione ritualistica di stregoneria e volo del corpo.
“Eccesso di realtà” e’ il titolo della XX edizione di Kilowatt Festival svoltasi nell’estate del 2022 a Sansepolcro e Cortona. In quella edizione del Festival ho avuto il piacere di assistere alla performance “I’ll do, I’ll do, I’ll do” di Dewey Dell. La performance della durata inferiore ai trenta minuti presenta, in scena, una donna vestita di nero che impugna due falcetti, originali strumenti di tradizione contadina. La musica appositamente creata da Demetrio Castellucci, per questo lavoro, accompagna il pubblico in una visione di sabba contemporaneo, dove il corpo della performer diventa il mezzo di unione con una dimensione altra, attraverso il viaggio dell’anima fuori dal corpo in un volo di estasi. L’intera performance ha richiami alla stregoneria e ad una divinità femminile rappresentativa della fertilità della terra e dell’agricoltura. A distanza di due anni dal debutto e con diverse repliche al seguito,, ho chiesto al gruppo Dewey Dell di potermi concedere un’intervista. Segue l’interessante dialogo, sulla creazione di “I’ll do, I’ll do, I’ll do” avuto con Teodora e Agata Castellucci, le due sorelle che oggi compongono la compagnia, insieme a Demetrio Castellucci e a Vito Matera.
Claudia Roselli: Care Teodora e Agata, vi ringrazio molto per aver accettato di fare questa intervista.
Potete parlarci di DeweyDell? Come è nato il vostro gruppo? Avete un manifesto dove avete enucleato le vostre fonti di ispirazione od i vostri principi creativi?
Teodora Castellucci: Noi siamo nati nel 2006, eravamo adolescenti, andavamo ancora a scuola. Non c’è stato un manifesto e non c’e’ stata neanche una reale coscienza a lungo termine di quello che stavamo facendo.
Stare insieme per creare era un’esigenza nata per sopportare la noia di vivere in una piccola città. All’inizio, secondo noi, l’estetica era sufficiente per riuscire a creare un mondo, un universo molto preciso, in grado di far viaggiare lo spettatore attraverso le immagini. Adesso, dopo tanti anno ci siamo invece accorti che iniziare uno spettacolo da un’idea più profonda dal punto di vista del pensiero, in realtà provoca una libertà maggiore nei confronti dell’estetica che si può utilizzare per poter mettere in scena quell’idea. Quindi se prima eravamo preoccupati di avere restrizioni da parte di concetti a priori, e quindi cercavamo di non averli, sopratutto per raggiungere immagini “libere”, adesso ci troviamo in una fase in cui il pensiero provoca delle immagini che percepiamo più libere di quelle che pensavamo di avere. E’ stata una bella contraddiozione. LA compagnia è formata da noi due, che siamo Teodora e Agata, manche da Vito Matera e dal musicista Demetrio Castellucci.
Claudia Roselli: Ho assistito due anni fa a “ I’ll do, I’ll do, I’ll do”, performance breve che nasce ad un certo punto del vostro percorso di creazione, un punto di arrivo della vostra ricerca?
Teodora Castellucci: È uno spettacolo che è nato nel 2022. Oggi, più che in precedenza, possiamo affermare che è un lavoro essenziale.
Agata Castellucci: Un lavoro che forse ha raccolto delle linee già presenti nei lavori precedenti e che in qualche modo, ha fatto breccia, per aprirne di nuove. È un lavoro essenziale nelle sue caratteristiche…
Teodora Castellucci: …e allo stesso tempo anche fondante. Perché nella sua scarnificazione, come sostiene Vito, ci ha aperto delle vie. In effetti, nel presente, è come se avessimo due linee di ricerca: una possiamo chiamarla “grande” perché letteralmente è pensata per essere presentata ed ospitata nei luoghi convenzionali del teatro e della danza. L’altra invece è più piccola, nel senso di minimale. Dove ci piace lavorare proprio con pochissimi elementi, come in “I’ll do, I’ll do, I’ll do”.
Immagine 2 : Teodora Castellucci in “I’ll do, I’ll do, I’ll do”, Kilowatt Festival 2022 (Luca Del Pia)
Claudia Roselli: E’ una scelta che avete fatto per poter raggiungere tipologie di pubblico diverse? Per poter raggiungere più luoghi?
Agata Castellucci: Forse una scelta inconscia. Questa tipologia di lavori non nasce secondo questa necessità, però forse inconsciamente si. E’ bello andare ad indagare altri ambienti, altre relazioni o altre atmosfere, grazie proprio all’agilità, di questi lavori che possono essere fatti quasi ovunque.
Teodora Castellucci: Quando è avvenuta la creazione di questo lavoro non abbiamo pensato ad un pubblico diverso. E’ stata piuttosto una necessità nostra quella di misurarci con il quasi niente.
Agata Castellucci: Alcuni dei nostri lavori sono quasi massimalisti. Soprattutto se inseriti in un panorama più ampio della danza. Per esempio “Le Sacre du Printemps” ha costumi, scenografie e richieste tecniche e di spazi prettamente teatrali. E’ una produzione legata a quel tipo di luoghi e di ambientazioni. Tuttavia già con “Deriva Traversa” ci siamo resi conto che l’altra nostra tipologia di lavoro è piuttosto minimalista. Di un minimalismo che ha a che fare con l’uso dello spazio che entra a far parte dello spettacolo. Solitamente per questo tipo di lavori, studiamo molto bene gli allestimenti, perché nella scarnificazione degli elementi è molto importante che questi siano rigorosamente studiati.
Claudia Roselli: Tornando a “ I’ll do, I’ll do, I’ll do” potete parlarci della sua genesi? Che cosa vi ha ispirati? Quale era l’oggetto della vostra ricerca? Ci sono state delle fasi di studio prima della creazione oppure no?
Agata Castellucci: “I’ll do, I’ll do, I’ll do” è nato come esplorazione di un movimento di Teodora. Questo movimento, che è l’oscillazione della testa, è semplicissimo ma è molto potente perché ha a che fare con l’umano. E’ una ripetizione del movimento che tocca altri significati per esempio il gesto di dire no con il capo: il gesto più atavico dell’essere umano. Quel no però è anche il rifiuto di una presenza in scena; nel senso che questo gesto – proprio nella ripetizione – porta ad una sorta di distacco nella persona che lo esegue, ma anche in chi la osserva da fuori. Per distacco dalla presenza in scena intendo che è come se, allo stesso tempo, la persona non ci fosse diventando evanescente, ma al contrario è anche fortemente presente. Quindi nasce un’altra dimensione: un altrove. Nella riflessione sul gesto, questo fatto ci ha fatto pensare ai “voli in spirito”, che sono una sorta di ascesi mistica, verso l’alto. In particolar modo ci siamo ispirati ai voli in spirito delle streghe. Testimonianze delle accuse che venivano loro fatte, perché si diceva che nella notte raggiungessero dei ritrovi notturni demoniaci. Ci siamo poi addentrati nelle testimonianze raccolte da Carlo Ginzburg in “ Storia notturna. Una decifrazione del Sabba”. Ma non lo definiamo un lavoro sulla strega.
Teodora Castellucci: No infatti.
Agata Castellucci: È un lavoro che sfiora anche la figura della strega.
Claudia Roselli: Essendo il movimento della testa da voi descritto anche collegato all’inizio del fenomeno della trance, vorrei chiedervi la differenza tra “volo del corpo in spirito” e la possessione. Se c’e’ una differenza e se si può raccontare partendo da un movimento, che comunque poi diventa una danza, anche se non una danza coreografica. Il movimento è stato studiato, Teodora, mi ha parlato di aver scelto di muovere la testa, come se fosse un “no”. Un no reiterato e potente. Quindi qual’è la differenza tra il volo in spirito e la possessione? Perché aver deciso di muovere la testa in quella determinata modalità implica una scelta coreografica, e l’essere presente, anche se in modalità evanescente si contrappone all’assenza. Implica comunque una possessione?
Teodora Castellucci: Non l’abbiamo studiata ad un livello accademico. La possibilità di entrare in trance, o di essere impossessati o di “volare”, dipende essenzialmente dalla cultura. È una questione strettamente culturale. La visita di un essere umano nel mondo degli spiriti è il volo in spirito; la visita di uno spirito dentro il mondo degli umani è la possessione. Io non mi definirei impossessata; in scena infatti devo essere assolutamente presente mentre svolgo il lavoro. Il rischio è quello di cadere, o di essere completamente invasa da questo movimento che a livello ottico crea una confusione nella mente; perché visivamente nulla è presente, poiché nulla è fermo. C’è una grande lotta in me tra l’esserci e il non esserci. Se vogliamo proprio rispondere più precisamente alla domanda, direi che è proprio una via di mezzo tra le due cose, ma ne parlo in modo puramente legato alla mia esperienza.
Claudia Roselli: Grazie. Diceva Agata che avete fatto anche una ricerca bibliografica, partendo dalle testimonianze raccolte da Carlo Ginzburg in “ Storia notturna. Una decifrazione del Sabba”.
Teodora Castellucci: Da una cosa è nata un’altra. Come al solito nei nostri lavori non c’è una metodologia che ripetiamo, ma ogni volta cerchiamo sempre di cambiarla, facendo prima delle cose rispetto ad altre senza mai decidere veramente a tavolino. Questa volta è arrivato prima il movimento, e attraverso il movimento Vito e Agata hanno collegato questo mio sentirmi presente e non presente a un viaggio vero e proprio. Sono stati loro a collegare quindi la figura, alle testimonianze di Carlo Ginzburg e poi ad una reminiscenza della figura della strega. E’ molto pericoloso dire così perché la figura della strega, è forse una delle più stereotipate di sempre. Nel senso, quando pensiamo ad una strega pensiamo ad una figura con il cappello, fatta in un certo modo, in una storia dove ci sono spesso gli stessi elementi, con una musica che deve fare paura. Tutto quello che abbiamo fatto in questo lavoro è andare contro lo stereotipo, per mantenere però un’oscurità.
Agata Castellucci: O meglio è proprio grazie a Carlo Ginzburg che si capisce il perché di questi stereotipi e si può andare alla base della ragione della loro esistenza.
Teodora Castellucci: E’ vero.
Agata Castellucci: Per esempio anche la presenza delle falci, che sono uno degli altri pochi oggetti presenti in scena.
Claudia Roselli: Ecco: proprio la presenza dei falcetti, è uno dei motivi per il quale ho deciso di chiedervi di potervi intervistare dopo aver visto la vostra performance, più di due anni fa, a Sansepolcro. La prima volta che l’avete presentata in Toscana, a Kilowatt Festival. Avevo chiesto a Teodora, come mai avesse scelto questi due elementi, a mio parere particolari e quale collegamento ci fosse secondo voi o secondo le vostre letture proprio con un’ipotetica figura della strega o del sabba. Raccontatemi.
Agata Castellucci: Anche questo particolare è nato tra il casuale e l’inconscio. Teodora stava provando con degli oggetti che avevano una forma arcuata e li usava in un modo che andava ad accentuare le forme del corpo femminile. Ovvero i fianchi, il bacino..
Teodora Castellucci: .. ma anche i glutei, il seno. Rotondità tipiche del corpo femminile.
Claudia Roselli: Della Venere, o come le veneri di Willendorf.
Agata Castellucci: Come una reminiscenza femminile. Ma vedevamo nel movimento di Teodora anche una potenza in grado di trascendere la sua stessa figura, in grado di evocare altro, più vasto, informe, indefinito.
La lama delle falci ricorda la luna.
Teodora Castellucci: Ma anche perché come un coltello, sono oggetti con i quali si taglia, si recide, si sceglie cosa tagliare e cosa lasciare in vita.
Claudia Roselli: C’era perciò l’idea della necessità di un oggetto tagliente o affilato? Perchè? Sempre un collegamento con la figura della strega?
Teodora Castellucci: No, semplicemente il pezzo del movimento della testa necessitava di aprirsi ad altro.
Agata Castellucci: Ed è una danza abbastanza limitata nella sua evoluzione spaziale.
Teodora Castellucci: All’inizio di una creazione ci lasciamo molto liberi volutamente, di collegare cose, oggetti, ma anche idee o concetti, i più disparati possibili. Perchè se ci sono venuti in mente, in relazione a un preciso contesto, esiste una ragione profonda. Questo è successo con le falci, apparentemente non avevano una necessità di esserci ma erano state richiamate quasi dal momento, dal movimento. Abbiamo dato fiducia all’intuizione e abbiamo provato ad andare avanti con questa idea. Più andavamo avanti e più si confermava la loro necessità e la loro presenza. Le falci fanno parte di quei pochissimi elementi di cui “I’ll do I’ll do I’ll do” si compone. Sono veramente tre: il movimento della testa, le falci e la seta. Non c’e’ niente altro.
Claudia Roselli: La musica
Agata e Teodora Castellucci: Certo, si.
Claudia Roselli: Magari se ne è occupato Demetrio, ma credo che per il pubblico o almeno per me, anche quello sia stato un elemento molto potente per contribuire a creare sia uno spazio scenico che uno spazio immaginifico.
Agata e Teodora Castellucci: Si assolutamente.
Claudia Roselli: Ritornando alle vostre fonti mi ricordo che Teodora mi aveva raccontato, che nelle testimonianze di Carlo Ginsburg, all’elemento della stregoneria che spesso è collegato al femminile ma anche agli ambienti rurali e mi avevi raccontato che questi falcetti utilizzati in scena erano proprio i falcetti tipici della vostra regione. Quelli che si usano e si usavano nelle vostre zone. Giusto?
Teodora Castellucci: Si è così
Claudia Roselli: La falce contadina tradizionale mi pare abbia una forma leggermente diversa.
Teodora Castellucci: Si in effetti quello che usiamo si chiama falcetto. Ma non credo sia solo usato in Emilia Romagna, noi abbiamo ricevuto testimonianze, e canzoni di lavoro, legate proprio all’uso di questo strumento. Se qualcuno dovesse chiedermi di immaginare una contadina antica, me la immagino con questo oggetto: fa parte del nostro immaginario.
Claudia Roselli: Da dove era nato questo no? Siete poi tornati alla sua origine? Oppure lo avete vissuto/trasformato con questa creazione?
Teodora Castellucci: Il no c’è e non c’è. Nel senso che è letterale, didascalico come completamente astratto e tutte le volte si incastona da solo in narrazioni diverse.
Agata Castellucci: Questo no ha accezioni diverse con dei gesti che portano avanti narrazioni stratificate. Uno spettro ampio, che si trasforma costantemente come tipo di no.
Teodora Castellucci: All’inizio c’e’ la testa, poi cominciano anche dei gesti con la mano e l’indice disteso della mano, i quali richiamano ancora di più la forza del no. Diventano più forti dei no di prima e poi rientrano dentro una specie di flusso molto più astratto, dove la normalità è il no.
Agata Castellucci: E’ come se il no si trasformasse nella condizione naturale di questa persona.
Teodora Castellucci: Quindi il no diventa no, in particolari momenti, ma è la condizione base di questa persona, la sua natura.
Immagine 4: “I’ll do, I’ll do, I’ll do”, Kilowatt Festival 2022 (Luca Del Pia)
Claudia Roselli: Grazie. La musica invece è un elemento che invece può condurre in questa dimensione della natura. Mi domandavo come è stata creata con che intenzioni e a che punto ha iniziato ad accompagnare la performance
Agata Castellucci: Anche la musica ha a che fare con la ripetizione e la stratificazione di paesaggi sonori. Infatti in questa testa che si muove, al di là della narrazione del gesto del ‘no’, viene indagata anche la ripetizione insistita di un movimento. La stessa cosa è valso per la musica.
Claudia Roselli: Demetrio come ha composto la musica? Ha avuto qualche stimolo da parte vostra, è lui che ha fatto una proposta dopo aver visto il gesto di partenza del lavoro, oppure vi siete agganciati alle letture?
Teodora Castellucci: La musica doveva essere qualcosa che supportava letteralmente il movimento senza coprirlo, senza invaderlo. Perché il movimento, di suo, non poteva e non può stare dentro un ritmo troppo preciso. Quello che lui ha fatto è stato lavorare su una grandissima aridità, secchezza di suoni. Un insieme di battiti microscopici tra cui alcuni più udibili che formano questo ritmo magmatico, è una fiamma.
Agata Castellucci: Ha lavorato con due tracce e le ha alternate. Dalla suggestione di questo movimento e di questo altrove. Inabissamenti che portano in un’altra partitura, un’altra composizione musicale che si alterna con l’altra. E nella scelta radicale fatta da lui, per i suoni, ha investigato uno spettro abbastanza ampio: per esempio c’è il rumore dei denti che sbattono tra loro che entra nel ritmo, nella sua ripetizione. Altri suoni sono quelli della palude: per esempio rane, cicale, altri animali. Non era sua la necessità di farli riconoscere, i suoni.
Claudia Roselli: Riguardo alla scenografia e perciò alla dimensione del cerchio. Come mai è stata scelta questa forma?
Teodora Castellucci: La cosa strana della scelta del cerchio è che di solito, il cerchio, si disegna per tenere fuori le streghe. In questo caso è l’unico campo di azione della figura. La persona difesa in questo caso è quella all’interno e non chi sta fuori. Il cerchio è un elemento che ha portato Vito e che ha collegato, ancora una volta, mettendo insieme tutti gli elementi di questo montaggio che è composto da pochissimi elementi. Il cerchio è una forma simbolica. Sembra un sole nero. La seta, in alcuni ambienti, ci è sembrata sabbia. Non sempre si capisce subito che è stoffa, dipende molto dalla condizione.
Claudia Roselli: Riguardo alla nuova produzione “Le Sacre Du Printemps “, che non ho avuto ancora il piacere di vedere. Potete raccontarci qualcosa sul processo creativo ed anche sui temi della ricerca di questo nuovo lavoro?
Agata Castellucci: Abbiamo avuto la fortuna di avere la libertà di scegliere su cosa lavorare avendo però un piano di lavoro piuttosto dettagliato, nato su commissione di un network italiano Ring, composto da Triennale Milano, Torino Danza, Bolzano Danza e Reggio Emilia Teatro Aperto. Grazie a questo supporto abbiamo avuto il contesto e le tempistiche adatte per approcciarsi a questa musica che da sempre ci aveva attirato e che non avevamo mai avuto il coraggio di affrontare.
Teodora Castellucci: Ma adesso se pensiamo al lavoro nuovo non pensiamo a questo.
Stiamo lavorando ad un nuovo lavoro che dovrebbe debuttare nel 2026.
Claudia Roselli: Il titolo c’e’?
Agata Castellucci: Volevamo lavorare sul “Didone ed Enea” di Henry Purcell. Un’altra composizione musicale preesistente e non nostra. Questa volta però vorremmo affrontarla lasciando la trascrizione sonora della musica di Purcell a Demetrio.
Claudia Roselli: Potete dirci da dove avete preso il titolo di “I’ll do, I’ll do I’ll do”?
Teodora Castellucci: E’ una frase delle streghe del Macbeth di Shakespeare. Le quali ripetono: lo farò, lo farò, lo farò. Non si sa bene cosa, ma è una ripetizione con qualcosa di affermativo: si lo farò. Ma rispetto a quello che succede in scena, secondo noi, pare essere un rafforzativo di: “Si lo farò: continuerò a dire di no!”. Un’affermazione e una negazione insieme.
Claudia Roselli: Colgo l’occasione per ricordare a chi legge che la prossima data di “Ill do, I’ll do, I’ll do” sarà a Venezia il 5 Dicembre (h.20.00) e 6 Dicembre (h.19.00) presso il Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta, durante la rassegna “Asteroide Amor”. Vi ringrazio tanto per lo spazio dedicato a questa intervista e per il tempo passato insieme.
Teodora Castellucci: Grazie a te.
Claudia Roselli: Spero di poter incontrarvi di nuovo dal vero e vedere anche questa ultima produzione.
Grazie e complimenti per il lavoro a Dewey Dell.
Teodora e Agata Castellucci: Grazie a te, a presto.