In dialogo con Neja Tomšič, l’artista slovena di “Opium Clippers”

Fotografia 1 – Claudia Roselli intervista Neja Tomšič, Luglio 2023, credits: Claudia Roselli

“Paradiso Adesso” è il titolo dell’ultima edizione del Festival Kilowatt.  Il Festival anche quest’anno ha mantenuto la doppia localizzazione inaugurata l’anno scorso, nei due bei comuni di  Sansepolcro e Cortona, in provincia di Arezzo.  I direttori artistici del Festival,  arrivato ormai  alla sua ventunesima edizione, hanno invitato Neja Tomšič, artista visiva, narratrice  e performer a presentare  dal 19 al 23 Luglio 2023,  “ Opium Clippers”: una narrazione molto particolare del commercio dell’oppio in Cina e delle rotte connesse ad esso,  tra la seconda metà del XVIII e il XIX secolo.  Ospitata nel chiostro di sant’Agostino a Cortona, la performance, un rituale per dieci spettatori soltanto, si è svolta, intorno ad un tavolo ovale. Gli spettatori si sono seduti ad ascoltare la narrazione di Neja, sorseggiando un tè caldo, servito più volte dalla performer in originali ceramiche dipinte a mano da lei stessa. Le ceramiche sono state usate dall’artista come supporto di ausilio alla narrazione:  le imbarcazioni, i luoghi narrati, le tratte dell’oppio e del tè e le persone chiave di questa storia sono state finemente tratteggiate sui fianchi delle teiere e delle piccole coppette del tè.  Segue il dialogo che ho avuto il piacere di scambiare con l’artista.

Claudia Roselli: Neja, ti ringrazio molto per aver accettato di fare questa intervista.  Ho preso parte  alla tua performance il primo giorno di “Opium Clippers”, a Kilowatt Festival 2023 in Cortona. Posso chiederti di introdurti  brevemente come artista: qual’è il tuo background e perché sei arrivata qui.
Neja Tomšič: Sono un’artista visuale di Lubiana in Slovenia. Ho studiato pittura all’Accademia di arti visive di Lubiana, alla fine dell’Accademia ho lavorato per dieci anni circa come organizzatrice culturale per il festival di musica contemporanea Sonica e per MoTa un’organizzazione di eventi culturali in Lubiana che si interessa per lo più dello spazio pubblico. Durante questi anni ho cominciato un dottorato in  filosofia e teoria della cultura visuale presso l’Università di Koper. Il progetto che presento in questo Festival è cominciato nel 2014, quando ho seguito una residenza a Baltimora, negli Stati Uniti. E’ il primo progetto dove ho convogliato tutte le mie pratiche artistiche, dopo il periodo nel quale ho lavorato come professionista in ambito organizzativo di eventi culturali. E’ un progetto che mescola tutte le mie diverse pratiche artistiche ed interessi: ricerca storica, pratica documentaristica, arte visiva, disegno, performance e storytelling. Possiamo dire che questo sia un format “ibrido”.        

Claudia Roselli: Quindi è la prima volta che crei una performance.
Neja Tomšič: (annuisce) 

Claudia Roselli: Questa performance è realmente collegata con la storia di un paese specifico, posso chiederti come mai hai deciso di narrare questa storia, quando eri in Baltimora, se ci sono delle connessioni.
Neja Tomšič:
Sono andata a Baltimora nel 2014,come parte di un programma promosso da ArtsLink: una piattaforma che unisce artisti e operatori culturali dall’Europa dell’Est, Europa  Centrale e gli Stati Uniti. Il progetto funzionava così: tu procedevi con l’applicazione per andare negli Stati Uniti, ma non sapevi dove saresti andato o andata erano le organizzazioni localizzate in diversi stati degli Stati Uniti che sceglievano tra le diverse applicazioni e ti invitavano a raggiungere la loro istituzione. Io fui invitata dall’Università di Baltimora, come artista visiva nel programma post-laurea presso il Dipartimento Intermedia. Sono rimasta due mesi e durante questo tempo, mi sono dedicata ad una ricerca sugli spazi pubblici. Durante la mia vita quotidiana a Baltimora, partecipando a questo programma professionale di residenza, ho avuto la possibilità di osservare quanto fosse diffusa nella città, la dipendenza da oppioidi. Io ho pensato che fosse una cosa davvero devastante, anche perché guardando al mio passato, questo era un problema che già conoscevo,  un problema diffuso purtroppo, anche nella mia città natale. Una città molto molto più piccola di Baltimora, in Slovenia, una città di diecimila abitanti circa. Ma durante le mie scuole elementari sino alle mie scuole superiori, ho avuto esperienza di osservare nella città ondate di dipendenza da eroina ed è per questo forse, che ho riconosciuto qualcosa di simile in Baltimora. In Baltimora la differenza era la scala di grandezza: era molto più grande ed io ho cominciato a pensare all’economia generata dalla dipendenza da droghe illegali. Come è avvenuto? Come funziona dal punto di vista economico? Una grande percentuale della popolazione dipendente da oppiodi non è in grado di lavorare normalmente, ma lavora nel mercato nero, parlando dal punto di vista dell’economia; simultaneamente il sistema sanitario è sovraccarico dal mantenimento delle persone che hanno una dipendenza da droga. Certamente c’è molta violenza e marginalizzazione. Ho cercato di capire tutto questo, ed ho cominciato a studiare la storia dell’oppio e della sua diffusione negli stati Uniti d’America.  E ricercando in questo ambito, ho cominciato ad imparare che l’inizio della storia della diffusione dell’oppio negli Stati Uniti è qualcosa molto collegato con la storia dei commerci della Cina e dell’India. Da qui ho cominciato a conoscere la storia del commercio dell’oppio che era illegale in Cina in quel tempo, ovvero nel diciottesimo  e gran parte del diciannovesimo secolo, e come fosse collegato con il commercio del tè. Il tè è un bene di consumo che viene usato quotidianamente. Ho imparato che queste merci sono interconnesse tra loro e che sono esistite da sempre una vicina all’altra. 

Claudia Roselli:  E’ molto interessante sapere che provieni dal mondo dell’arte visuale, dagli studi di arte visuale e arte negli spazi pubblici. Puoi spiegare meglio il processo che ha generato la performance, così come è stata presentata qui: per pochi partecipanti con una condivisione di una narrazione molto intima e una composizione dello spazio scenico così organizzata? Hai deciso di creare una narrazione orale o una narrazione visuale come parte del tuo progetto di ricerca di Baltimora o piuttosto è stata una ricerca parallela? E quando hai iniziato a raccogliere informazioni sul commercio di oppio, di tè e sulla storia economica di queste merci avevi già un’idea collegata ad una performance o magari pensavi piuttosto a disegnare o scrivere? Come hai generato la performance?
Neja Tomšič: Per rispondere alla prima parte: ero in Baltimora per lavorare sugli spazi pubblici. Effettivamente il progetto era diverso ed era quello, oggetto, della mia residenza. Ma questa ricerca, che ha portato alla costruzione della performance “Opium Clippers” è scaturita da un mio interesse personale, generato dalla mia curiosità o forse anche dalla mia sensibilità, a causa, come ho detto, delle esperienze già conosciute e tristemente osservate di dipendenza da droga. Ero in Baltimora e ho cominciato a leggere molto su questo argomento: avrei voluto anche restituire qualcosa subito indietro agli artisti o alle persone che ho conosciuto in quella città.  Così alla fine della mia residenza, mi è venuta l’idea di fare una cerimonia del tè ed ho iniziato a programmarla. Era una cosa che inizialmente è stata pensata per gli amici, o meglio, per gli amici di Baltimora. Poi la ricerca è continuata ed ho scoperto che c’era così tanto da imparare e da scoprire che ho continuato ad approfondire la mia ricerca anche quando sono tornata indietro a Lubiana. Tre anni dopo ho pensato: adesso ho abbastanza conoscenza a proposito. All’inizio ho pensato che avrei fatto un’esposizione di disegni, forse un libro; ma più cercavo e leggevo, e più scoprivo dettagli interessanti di storie particolari. In effetti tutta la performance è costruita su caratteri curiosi, su persone che magari non hai mai sentito nominare: uomini di affari, che hanno cambiato il corso della storia, o forse pirati o capitani navali, o alcuni individui, o compagnie che magari non sono delle grandi corporazioni, ma piccole compagnie. Le storie che io ho trovato sono così affascinanti che mi hanno fatto pensare che se avessi fatto una mostra, tanta gente non avrebbe potuto leggere tutto questo, avrebbero visto solamente delle immagini ed avrebbero avuto un altro tipo di esperienza. Ma io ho pensato che volevo veramente che le persone si sedessero e ascoltassero veramente tutto: dall’inizio fino alla fine, tutte le storie che io avevo raccolto. Questo è anche il motivo per il quale ho deciso di dipingere le ceramiche. Certamente gli oggetti di ceramica, nella storia, sono sempre stati usati durante le cerimonie. Anche nelle navi venivano usate le ceramiche con dipinti storici o connessi con la nave, c’era anche questo collegamento.  Le ceramiche venivano dipinte nel passato con episodi significativi della storia, per celebrarli.  Ma questo era un caso diverso: questi eventi non sono così conosciuti e non vengono generalmente celebrati: perciò questo è davvero un set particolare di ceramiche. Per me, inoltre, era importante che le persone fossero sedute insieme in un piccolo gruppo, partecipando a questo rituale del bere tè insieme, ingerendo il liquido del quale sto parlando durante la narrazione. Spesso la reazione, ad una cerimonia del tè, è che il tè non sarà più lo stesso. Alcune persone mi hanno raccontato che infatti, bevendo tè durante la performance hanno cambiato la loro esperienza di bere tè perché hanno ascoltato alcune storie ed imparato cose diverse. Questo è uno degli obiettivi perché ho scelto questo tipo di format per la perfomance. 

Fotografia 2 – “Opium Clippers” di Neja Tomšič, Kilowatt Festival 2023, credits: Luca Del Pia

Claudia Roselli: Si è un’esperienza molto particolare, che per fortuna ho potuto apprezzare direttamente con la tua voce originale in inglese. Un’esperienza molto diretta, anche grazie alla disposizione delle sedie intorno al tavolo, che aumenta la possibilità di sentire meglio ogni storia. Durante la performance non è proibito parlare. E’ possibile fare delle domande.  Si crea una spazio molto intimo ed è evidente che tu voglia condividere qualcosa di più che una storia. Di sicuro non è un segreto, quello che è accaduto, tra l’India, la Cina e tutti i coloni che sono arrivati da diversi luoghi dell’attuale Europa. Ma non è conosciuto da tutti, e soprattutto non si conoscono le storie particolari alle quali tu fai riferimento, In effetti poi, riguardo al tè, si conosce di più, ma non si conosce così tanto a proposito dell’oppio. Non è un dialogo così comune. E’ la prima volta che tu presenti la tua storia fuori dalla Slovenia?
Neja Tomšič:
La prima cerimonia credo sia stata nel duemiladiciassette in Lubiana, successivamente la performance è stata in giro ed è stata presentata sino ad oggi. Ho presentato la performance in diversi parti in Europa. Ci sono state almeno cento repliche di questa performance e queste qui a Kilowatt, sono tra la centoventesima o centotrentesima replica credo. La performance è cambiata in tutti questi anni perché ho creato così tante versioni della stessa. In Italia credo che questo sia il quarto Festival dove è stata presentata, con la partecipazione della narratrice Silvia Viviani. L’ho presentata a Pergine Festival, a Wonderland Festival a Brescia,  a Cagliari, al Festival Prototipi ed in altri festival più piccoli. C’e’ stata questa idea di creare una versione con la traduzione in italiano per il pubblico italiano. Poi a Pergine hanno curato anche una versione per i ciechi e per chi ha disabilità uditive: la prima con mappe tattili da leggere con le mani e la seconda tradotta con lingua dei segni. Con il Bazaar festival di Praga abbiamo anche creato una versione per i grandi teatri dove c’erano due grandi videocamere a riprendere la narrazione, che si svolgeva sul palco che veniva poi proiettata con i sottotitoli: essendo una performance nella quale il testo ha molta importanza. 

Claudia Roselli: Questo non in Slovenia?
Neja Tomšič:
No, ma a Praga e poi a Olòt, in Spagna, durante il Festival Sismograf. Queste erano versioni diverse: c’era la parte intima di condivisione, ma le persone sono sedute in un teatro e possono vedere le ceramiche nelle proiezioni in schermi grandi posti dietro di me. Ci sono, in ogni versione, i lati positivi o negativi. 

Claudia Roselli: Le persone possono bere del tè nei grandi teatri oppure no?
Neja Tomšič:
No, solo le persone che sono sedute al tavolo con me, sul palco.  La disposizione è la stessa, ma come avevo iniziato a spiegare,  ci sono due camere che riprendono il tavolo dove io svolgo la cerimonia e le persone che sono sedute nel teatro possono vedere. Una camera riprende dall’alto perciò si possono vedere le coreografie dei movimenti delle ceramiche e delle mani che prendono il tè e un’altra,  è di fronte che mostra tutti i dettagli delle immagini sulle ceramiche ed entrambe proiettano sugli schermi dietro di me. E’ diverso. 

Claudia Roselli: Immagino che quando hai iniziato a costruire la storia da narrare allora hai cominciato a pensare anche ai pezzi delle ceramiche uno dopo l’altro? Quanto tempo ti ha preso il processo della rappresentazione visuale, perchè le ceramiche utilizzate durante la performance sono state progettate e realizzate da te, giusto?
Neja Tomšič:
Credo che la parte del dipingere vera e propria mi abbia coinvolta per tre mesi circa. Prima ho fatto degli schizzi, ma la parte difficile, per me, è stata organizzare la narrazione, scegliere le immagini da riportare sulle tazze e le teiere. Ma dipingere in sé per sé, è stato più veloce, ma non solo dipingere, piuttosto pensare come farlo e come collegare i personaggi, i luoghi e le storie da narrare, è durato circa tre mesi. 

Claudia Roselli:  Hai mai presentato la performance in Baltimora?
Neja Tomšič:
Sfortunatamente no, io sarei voluta andare negli Stati Uniti con questa performance, perchè la mia ispirazione per questa performance è nata lì. 

Claudia Roselli: Sì immaginavo ed è per questo l’ho chiesto.
Neja Tomšič:
Ancora non è accaduto, spero che sarà possibile. 

Fotografia 3 – “Opium Clippers” di Neja Tomšič, Kilowatt Festival 2023, credits: Luca Del Pia

Claudia Roselli: Come ti sei sentita dopo aver costruito questa performance come artista? Apparentemente diversa dal tuo linguaggio precedente, densa di oggetti e di contaminazioni.
Neja Tomšič:
All’inizio io non ho considerato il potenziale teatrale, performativo del lavoro. Piuttosto ho sempre immaginato che questo lavoro potesse essere presentato in una galleria. Lo immaginavo come un lavoro di arte visuale che potesse attivare anche un aspetto legato allo storytelling: poi con il tempo, ho cominciato a ricevere sempre più inviti da festival teatrali o di arti performative. Questo è stato il tipo di contesto dove il lavoro è stato accolto o dove ha suscitato più interesse. Negli anni ho aggiunto la musica, le luci, più dettagli, aumentando la struttura; diciamo che ho sviluppato il lavoro. Riguardo i miei sentimenti per questo lavoro: sono molto complessi. Nella mia relazione con questo lavoro  ci sono anche dei dettagli molto difficili. Per esempio prima ho cercato di spiegare come potesse essere per me che sono slovena raccontare una storia usando rituali di un’altra cultura in maniera appropriata.  Ma anche le storie che racconto e che sono parte della mia ricerca personale. Mi sono resa conto di come più si conosce e più si diviene consapevole di quanto poco si conosce. Tutto questo ha fatto parte di me in questo lavoro. Ma magari, questo format, spero che mi permetterà di arrivare ad altre esperienze. Non vorrei presentare qualcosa di granitico del tipo “questa è la storia e questo è quello che è accaduto”, ma piuttosto vorrei trasmettere al pubblico che noi siamo individui che impariamo dalla storia e che la storia è qualcosa di fluido, e questa è la mia concezione di come le cose accadono e che vorrei trasmettere. 

Fotografia 4 – Alcune ceramiche di “Opium Clippers”, Kilowatt Festival 2023, credits: Claudia Roselli

Claudia Roselli: Questo è quello che io ho sentito quando sono stata parte della performance. Io ho sentito questa apertura che tu hai creato nella condivisione del rituale e cerimonia del tè. Vorrei chiederti, come hai scelto gli elementi che hanno creato la tua narrazione? Per esempio, come mai proprio quella nave o proprio quella persona coinvolta  nei commerci internazionali? Questa libertà nello scegliere i punti di vista della narrazione è molto interessante e poi porta a riflettere su che cosa può ingenerare l’economia nelle persone. Che poi credo che questo sia uno dei fili che abbiano inspirato il tuo lavoro. Per quanto riguarda la musica, è un elemento che è sempre presente nel sottofondo, durante tutta la durata della tua performance. E’ stata composta in maniera originale per il tuo lavoro?
Neja Tomšič:
All’inizio ho ricercato le storie di diversi clipper, ho cercato i nomi dei loro proprietari, le aziende per cui lavoravano, le storie in cui apparivano o i testi in cui erano magari solo brevemente menzionati. I nomi hanno iniziato a ripetersi e dopo un po’ sono diventati familiari e sono riuscita a riconoscere quelli che comparivano più spesso o in relazione a eventi più importanti. Alla fine ho scelto cinque navi i cui proprietari, capitani, rotte o eventi storici di cui hanno fatto parte, possono guidarci attraverso i centocinquanta anni della storia che volevo raccontare. Per quanto riguarda la musica è  una composizione originale creata da un musicista sloveno Gašper Torkar. La musica, nella performance,  è sempre sullo sfondo, ma aggiunge atmosfera. E’ stata questa anche la tua sensazione? 

Claudia Roselli: Sì, la musica aggiunge molti livelli alla storia, visioni collegate al commercio di tè ed oppio. Come artista, quale pubblico è stato più generoso con te?
Neja Tomšič: Il lavoro funziona quando ricevo dagli spettatori, quando si crea una connessione con loro. Non credo che ci sia stato un luogo più generoso di un altro. Dopo la performance normalmente c’e’ uno spazio dedicato alle domande o osservazioni  delle persone che hanno partecipato. Devo ammettere che è sempre molto interessante, perché si generano degli argomenti diversi: qualche volta mi parlano del caffè e dei rituali del caffè, qualcuno condivide le proprie esperienze con la dipendenza, e magari anche con il consumo di oppio, qualcuno mi parla delle proprie conoscenze o della propria interpretazione di diverse parti della storia. Io credo che questa parte di condivisione alla fine della performance, sia una parte davvero molto importante. Non faccio quello che normalmente ci sarebbe alla fine di uno spettacolo teatrale, alzandomi in piedi inchinandosi, perché siamo già tutti insieme, non è solo il mio lavoro, la performance è frutto della presenza di ogni partecipante.

Fotografia 5 – “Opium Clippers” di Neja Tomšič, Kilowatt Festival 2023, credits: Luca Del Pia

Claudia Roselli: Hai studiato la cerimonia del tè per la perfomance o improvvisi i tuoi movimenti?
Neja Tomšič: Ho studiato per un pò la cerimonia giapponese del tè, successivamente ho fatto un workshop sulla cerimonia del tè taiwanese e ho letto descrizioni della cerimonia del tè cinese. Ma ho anche lavorato con una donna americana che ha studiato e vissuto in Cina per diventare maestra della cerimonia del tè. Ma non era mia intenzione ricreare una cerimonia del tè cinese, per esempio anche le ceramiche che uso non sono come quelle tradizionali cinesi.  Ne ho fatto una particolare interpretazione. 

Claudia Roselli: Hai realizzato qualcosa con i disegni che hai prodotto all’inizio della tua ricerca su questo argomento? O hai intenzione di farlo in futuro?
Neja Tomšič: Si, iniziai a raccogliere storie di quello che rimane oggi collegato a quel preciso periodo. Per esempio i palazzi o i musei o la banca HSBC che era coinvolta con il commercio dell’oppio. Ci sono un sacco di luoghi, rituali, rappresentazioni delle cose  che sono connessi con la storia di questo periodo, con determinate famiglie o specifiche persone coinvolte nei commerci o con determinate imbarcazioni. Ho cominciato a raccogliere tutte questi elementi ed ho pubblicato un libro. 

Claudia Roselli: Puoi darci il titolo del libro?
Neja Tomšič: Si,  ha lo stesso titolo della performance “Opium Clippers” è un libro artistico. Non è un libro tradizionale infatti non è rilegato, ma è una pubblicazione d’arte, composto da schede separate le une dalle altre. Queste schede sono state presentate in Gallerie d’Arte parallelamente anche alla performance. 

Fotografia 6 – Il libro “Opium Clippers” di Neja Tomšič, credits: Claudia Roselli

Claudia Roselli: Stai continuando anche le tue ricerche sullo spazio e come artista visuale?
Neja Tomšič: Questo è il mio primo lavoro di questo genere, ma sto continuando a lavorare in questa direzione unendo arte visuale, ricerca e storia. Per quanto riguarda il mio lavoro nello spazio pubblico, sono parte di un gruppo che si chiama Nonument Group ( https://nonument.org/ ). Lavoriamo con gli spazi pubblici e i monumenti che hanno cambiato il loro significato a causa di circostanze sociali o politiche. Mappiamo questi luoghi e talvolta facciamo anche degli interventi artistici o performativi. Ma continuo anche a lavorare con l’arte visuale e la pratica dello storytelling, come pratiche mie personali.  Per quanto riguarda gli spazi pubblici,  per esempio, in Baltimora, abbiamo realizzato il primo intervento pubblico di Nonument Group, in quella che è chiamata la fontana McKeldin. E’ una fontana in stile Brutalista che si trovava nel centro della città di Baltimora. Questa era stata dichiarata Free Speach Zone ed era anche una zona importante per la città,  dove potevano svolgersi le manifestazioni o i raduni in maniera libera. Ma la fontana è stata demolita.  Insieme con il mio collega Martin Baraga e Lisa Moren e  Jaimes Mayhew, due artisti di Baltimora, abbiamo sviluppato un progetto,  ricreando la fontana ma in uno spazio virtuale, dove le persone possono ancora camminarci dentro, ma solamente in una una realtà artificiale. 

Fotografia 7 – Immagine da “Opium Clippers” di Neja Tomšič, credits: Luca Del Pia

Claudia Roselli: Per quanto riguarda lo storytelling, hai deciso di studiare la tecnica dello storytelling quando hai deciso di narrare la storia di “Opium Clippers” o anche precedentemente eri in questa pratica?
Neja Tomšič: No, non l’avevo mai praticata. Sempre sono spinta dalla voglia di imparare cose nuove. Ho fatto un corso di storytelling con la storyteller slovena Ana Duša. Forse in futuro potrò imparare di più.  Non l’ho detto prima,  ma per me,  in questa performance è molto importante anche l’elemento del tatto. Vorrei davvero che le persone si guardino le une con le altre e che possano  toccare gli oggetti che sono presenti nel tavolo e che possano sentire con il loro corpo. 

Claudia Roselli: Nella mia percezione, durante la performance, è accaduto. Vorrei chiederti se hai qualche nuova idea da condividere, qualche anticipazione sul tuo lavoro futuro? Se puoi.
Neja Tomšič: Ho prodotto un lavoro intitolato “Circle”, una sorta di performance organizzata in maniera similare a questa. Generalmente è stata ambientata in un teatro, le persone sono sedute in cerchio in mezzo alle sculture e io cammino in mezzo a loro. Anche questo lavoro è dedicato agli spazi pubblici. In particolare ai parchi pubblici:  parchi che sono stati abbandonati o cancellati-demoliti e che oggi, non esistono più o non sono più accessibili. Mi interessa la  loro storia per riflettere sui cambiamenti sociali e su quelle che erano le loro connessioni con la comunità. Questa performance è stata presentata nell’Agosto 2022 per la prima volta ed è il mio secondo lavoro come performer. E’ uno spazio aperto per storie che voglio ancora sviluppare, ma (ride) è accaduta la stessa cosa che è accaduta per “Opium Clippers”. In quella prima occasione ho presentato il lavoro per la prima volta nel 2017, ma poi ho continuato a modificarlo, aggiungendo e cambiando un po ‘ le storie. Perchè penso che sia più interessante lavorare così e più fluido. Per l’anno prossimo sto pianificando un lavoro che è connesso con una storia molto particolare nella regione della mia città di origine Ajdovščina, che si trova nella parte occidentale della Slovenia. Temporalmente localizzata  nella seconda parte del ventesimo secolo o fine del diciannovesimo secolo: migliaia di donne slovene, che vivevano nelle aree rurali, hanno viaggiato verso l’Egitto o Alessandria per lavorare. Principalmente come badanti, baby sitter, governanti, anche come aiutanti per lo svezzamento e l’allattamento dei bambini. Adesso sto lavorando su questa storia, facendo ricerca su questo ed anche sull’esistenza di un parco, situato al confine tra l’Italia e la Slovenia, chiamato dalle persone “la villa Egiziana”, perché è stato costruito in stile egiziano ed ha un grande parco esotico. In effetti non è l’unico parco di ispirazione esotica in Slovenia, ma uno dei primi. Sto cercando di mettere insieme questi due fenomeni: parlando dei giardini ma anche della storia delle donne. Questo è quello su cui sto lavorando adesso e che penso che comincerò a presentare l’anno prossimo. 

Claudia Roselli: Molto interessante, grazie.
Neja Tomšič:  Il parco è stato abbandonato per più di cinquanta anni ed è qualcosa di incredibile perchè è un parco esotico. Una sorta di giardino paradisiaco: le piante esotiche hanno continuato a crescere. C’e’ anche la villa che ha un’architettura di stile neo islamico eccezionale per l’intera area. L’anno scorso hanno aperto nuovamente il giardino ed hanno cominciato a rinnovarlo. Questo processo di rinnovamento è molto interessante da osservare. Il giardino credo che aprirà al pubblico questo anno in autunno.  

Claudia Roselli: Tornando al tuo secondo lavoro “Circle”, ti chiedo se anche in quella performance, usi degli oggetti o dei disegni di piante per esempio.
Neja Tomšič: No, non uso disegni nella performance, ma oggetti che ho trovato in cantieri o parchi. Semplicemente pezzi di legno, pietre, ferro; vari materiali da costruzione, poi costruisco la storia posizionando questi oggetti e dando loro un significato. 

Claudia Roselli: Le persone possono toccare questi oggetti?
Neja Tomšič: Si alla fine, i partecipanti si alzano e possono toccarli. 

Claudia Roselli:Molto interessante. Il lavoro è dedicato solo a parchi sloveni? Oppure a parchi che ti hanno interessata e colpita per storie particolari?
Neja Tomšič:  Attualmente la performance parla di tre luoghi particolari. Uno è in Romania, in Cluj, il parco dei lavoratori ferrovieri. Poi parlo del parco Antioniadis in Alessandria di Egitto ed infine del parco della mia infanzia nella mia città natale. Vorrei ampliare la performance con esempi diversi, ma la ragione per la quale mi sono concentrata su questi parchi particolari è che sono stata invitata per una residenza in Romania, che era dedicata agli spazi pubblici importanti per la comunità, ed è li’ che ho deciso di lavorare sul parco dei ferrovieri. Per l’esattezza, questo lavoro mi è stato commissionato da due organizzazioni ( Bunker di Lubiana e Centro culturale di Cluj ) su un tema specifico: lavoro e felicità. Io volevo esplorare questo tema attraverso gli spazi pubblici. Guardando ai parchi, come luoghi di svago per la comunità siamo in grado di interpretare le concezioni del lavoro e del tempo libero di una società. Poiché gli spazi pubblici e gli alberi sono in diminuzione in tutto il mondo e il parco pubblico, storicamente introdotto nelle città per i lavoratori, sta diventando in molti luoghi una forma estinta di parco pubblico, ho deciso di dedicare il lavoro ai parchi in rovina.

Claudia Roselli: Il parco dei ferrovieri è stato distrutto?
Neja Tomšič: E’ stato rinnovato, ma la sua storia è stata cancellata. E’ ancora un parco, ma la sua storia non esiste più. Era un quartiere operaio, collegato alle ferrovie e oggi l’intero quartiere è stato rinnovato e il rinnovo del parco fa parte del design urbano di questa intera area. 

Claudia Roselli: Molto interessante, ed il parco della tua infanzia?
Neja Tomšič: Era un parco dell’esercito jugoslavo e non esiste più neanche quello. Pensando anche al parco esotico, della mia nuova performance, situato in Slovenia ma al confine con l’Italia,  io credo che l’eredità culturale dei parchi abbia dei significanti complessi, anche collegati alla storia. Per esempio in questo caso a questa storia di scambi tra Slovenia ed Egitto, che era intensa e ricca ed è sempre stata anche un pò conflittuale ed anche collegata a così tante immaginazioni e proiezioni su “un’altra terra”, l’Egitto appunto. Il parco è localizzato in un’area rurale sovena ed è comprensibile, come potesse essere percepita una terra lontana del nord africa, senza averla mai vista. 

Claudia Roselli: Neja ti vorrei ringraziare per il tempo trascorso insieme e per l’interessante dialogo. Spero di poter vedere presto anche i tuoi nuovi lavori in Italia.
Neja Tomšič: Anche io spero. Grazie a te. 

Più  informazioni su Neja Tomšič e sul suo lavoro:
https://ne-ja.com/
https://nonument.org/

 

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