È iniziata il 4 maggio la seconda edizione di Performing Italy, ciclo di video ritratti di artisti dal background migratorio nel teatro contemporaneo italiano.
I video della prima edizione, grazie ai quali abbiamo potuto approfondire i percorsi artistici e umani di Shi Yan Shi, Bintou Ouattara, Marcella Serli, Alberto Lasso, Miriam Selima Fieno, Abdoullaye Ba, Thaiz Bozano, sono approdati su Rai5 e adesso visibili anche su Raiplay.
Il prossimo 15 giugno uscirà sul canale Vimeo dell’Istituto Italiano di Cultura di Londra (che commissiona il progetto) l’ultimo ritratto di questa seconda serie: protagonista sarà Rabii Brahim attore diplomato all’ISAD (Institut Supérieur d’Art Dramatique de Tunis) dal 2020 fondatore e co-direttore del centro d’arte decoloniale Milano Mediterranea.
Ho rivolto qualche domanda a Margherita Laera, Senior Lecturer in Drama and Theatre alla University of Kent e curatrice del progetto.
Simone Pacini: Margherita, è significativo che un istituto che si occupa di italiani all’estero commissioni un progetto su artisti dal background migratorio che vivono e lavorano in Italia. Da dove nasce l’idea?
Margherita Laera: Nel 2018 leggevo una serie di testi di drammaturgia italiana e notai una caratteristica in comune: includevano tutti dei personaggi di etnie non bianche, ma erano scritti da scrittor3 bianch3. La rappresentazione dell’’altr3’ sembrava un tema ricorrente nel teatro italiano, ma sempre mediata dalla visione inevitabilmente un po’ stereotipata di chi ha una posizione privilegiata. Allora mi sono messa a ricercare il teatro fatto, scritto o diretto da quest3 ‘altr3’ – l3 scrittor3, l3 regist3, l3 attor3 afro-italian3, o di origine asiatica, araba, latinoamericana, indigena, eccetera. Ho chiesto a tantissim3 amich3 e collegh3 di indicarmi nomi, ma in pochi mi hanno saputo aiutare, tra cui Tiziana Bergamaschi di Teatro Utile e Oliviero Ponte di Pino. Poi ho conosciuto Carla Peirolero e Alberto Lasso del Suq Festival di Genova, che su questo argomento sono all’avanguardia in Italia. Poi mi sono resa conto che questa mia difficoltà a trovare teatrant3 con background migratorio in Italia – fossero di prima, seconda o terza generazione – evidenziava un serio problema di visibilità e marginalizzazione. Il teatro, in questo senso, è molto più indietro del cinema, della TV, della letteratura, della musica e dello sport in Italia. A quel tempo poi mi aveva contattato la mia ex-collega Katia Pizzi, nuova direttrice dell’Istituto di Cultura Italiana a Londra, per chiedermi di proporre progetti di promozione della cultura teatrale italiana nel Regno Unito. Allora ho proposto a Carla, Alberto, Oliviero e Katia di creare insieme una serie di interviste per conoscere meglio le storie e il punto di vista dei ‘nuovi italiani’ che fanno mestieri teatrali. L’idea è piaciuta a tutti e ci siamo messi subito al lavoro.
SP: I 14 protagonisti di queste due edizioni danno un volto nuovo al teatro italiano. Come li avete scelti?
ML: Siamo arrivati a questa selezione a partire da una lista lunghissima, cercando di essere il più possibile rappresentativi dei diversi mestieri del teatro, delle diverse aree di provenienza etnica e culturale, e rispettando la parità di genere. L3 artist3 su cui ci concentriamo sono tutt3 ‘giovani’ under 50, chi già affermat3 e chi agli esordi, un misto di prime e seconde generazioni. Abbiamo scelto quattro donne e tre uomini, includendo drammaturgh3, regist3, performer. Sono tutt3 artist3 di alto spessore, che danno un contributo inestimabile al teatro italiano, e che hanno grande coscienza sui temi affrontati, e le cui testimonianze vanno ascoltate e riascoltate. Spesso mi trovo a ripensare ad alcune frasi importanti delle interviste che mi hanno colpito particolarmente. Questo è il senso del progetto.
SP: Perché il progetto è dedicato specificatamente al teatro contemporaneo?
ML: Perché l’obiettivo concreto è quello di amplificare le voci di questi artisti, disseminare le loro storie e i loro punti di vista, moltiplicare in maniera esponenziale le conversazioni sui temi che loro ci propongono, che parlano di un rinnovamento dell’identità italiana, e di razzismo nel teatro contemporaneo italiano. Sono storie di cui non si parla, di cui noi teatrant3 bianch3 spesso non siamo al corrente o non ci curiamo, e che tutt3 invece dovrebbero avere molto fresche nella mente, come guida nell’agire quotidiano. L’altro obiettivo molto chiaro, di cui ho parlato spesso con il mio co-curatore Alberto Lasso e con altr3 artist3 intervistat3, è quello di contribuire a creare un senso di comunità tra l3 teatrant3 con background migratorio in Italia, perché non si sentano sol3, e che sentano di avere dell3 alleat3 nella loro vita quotidiana. Dunque, ci dedichiamo al teatro contemporaneo perché vogliamo intervenire nel contemporaneo ampliando i punti di vista e diffondendo un discorso anti-razzista.
SP: Mi ha colpito, quando Cristina Parku (una delle attrici intervistate) nel suo video ritratto dice: “il mio sogno, per l’Italia in generale, è vedere ragazzi di seconda generazione che sono protagonisti in una serie TV, in cui non ci sia di continuo il problema dell’essere stranieri, della pelle e tutto quanto”. Senza stereotipi insomma. Come è successo recentemente a Coco Rebecca Edogamhe, protagonista della serie Netflix Summertime, di padre nigeriano. Tu che da anni vivi in Inghilterra: che differenze ci sono con l’Italia? Che sensazioni hai a riguardo?
ML: Il dibattito su questi temi nel Regno Unito è all’ordine del giorno ed è ad uno stadio molto avanzato. I cambiamenti in questo senso sono palpabili: da quando mi sono trasferita a Londra negli ultimi 15 anni ci sono stati passi da gigante, anche se non bastano: ora mi capita anche di essere in minoranza a teatro, una di poch3 spettator3 bianch3 in teatri londinesi – è raro ma accade. Certi ‘fatti’ che nel Regno Unito si danno per scontati, in Italia non si accettano ancora: per esempio, che il teatro contemporaneo in Europa è strutturalmente razzista, oltre che sessista e quant’altro. Che se l3 spettator3 di uno spettacolo o di un teatro o di un festival sono tutt3 bianch3, non va bene, e la responsabilità è della gestione del teatro, del festival o della compagnia, non dell3 spettator3 stess3. Che se il teatro non coltiva attivamente le storie delle cosiddette ‘minoranze’ – ci tengo a precisare, storie scritte, dirette e interpretate dalle cosiddette ‘minoranze’ – non sconfiggeremo mai il razzismo. Dico ‘cosiddette minoranze’, perché non è un bel termine, bisogna trovarne un altro: in inglese è ormai di uso corrente la perifrasi ‘people of global majority’, ovvero persone facent3 parte della maggioranza globale – un termine che evidenzia il fatto che le popolazioni bianche nel mondo sono una minoranza, eppure razializzano e minorizzano tutte le altre popolazioni del pianeta.
SP: Per quanto riguarda il formato, personalmente trovo le interviste un po’ troppo lunghe. Credo che un formato di quindici minuti, ottimale per una fruizione televisiva, non si addica all’ambiente del web. E inoltre, forse oltre a Vimeo avrei sperimentato qualche altra piattaforma, ad esempio Instagram. Hai qualche dato o commento su come sta rispondendo il pubblico ai video di questa seconda edizione? Ci sono variazioni significative rispetto al 2021?
ML: L’anno scorso è andata benissimo perché abbiamo lanciato la serie durante il lockdown e la gente non poteva uscire, quindi in molt3 passavano più tempo davanti al computer o al telefonino, e poi Rai5 ha trasmesso la serie durante la maratona sul teatro Next Generation. La risposta è stata davvero incredibile, e non ce lo aspettavamo. Quest’anno abbiamo già centinaia di visualizzazioni per video, senza peraltro aver lanciato la serie intera. La serie rimane accessibile anche dopo il lancio, e continua ad avere visualizzazioni da tutto il mondo. Nel creare questi video-ritratti abbiamo voluto optare per una via di mezzo tra il giornalismo, l’intrattenimento e l’archivio teatrale o accademico. Si tratta di temi troppo complessi e importanti per liquidarli in pillole da 2 minuti. Non volevamo creare un prodotto consumabile nella cornice di quelle che chiami ‘tempistiche del web’, anche se abbiamo poi fatto i classici teaser da pochi secondi su Instagram per ogni artista. Chiediamo invece ai nostri spettatori – che facciano mestieri del teatro o meno – di darci la loro attenzione per 15 minuti, che forse sono troppi per qualcuno, e che io invece credo siano troppo pochi! Se ti dicessi che travaglio sono stati i tagli per ogni intervista… Avremmo potuto farle da 60 minuti ciascuna, ed è stata dura scegliere quali storie includere e quali omettere. Per l3 collegh3 studios3 di teatro italiano nel mondo, le versioni da un’ora sarebbero state risorse ancora più preziose. Quanto a fare sperimenti su Instagram, uno dei protagonisti della prima serie, Shi Yang Shi, ispirato dal progetto, ha poi creato una serie di belle interviste Instagram live con attivisti di seconde generazioni italiane. Sarebbe fantastico se ci fossero altre iniziative di questo genere.
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