Con senso non è consenso. La rivoluzione è nella relazione (promemoria ottimista e nonostante il Natale)

Dice Piergiorgio Giacchè: “Il consenso è l’opposto del successo, che è participio passato del verbo “succedere” e accade dopo, non lo puoi prevedere. Oggi si insegue il consenso che è preventivo e non il successo”.

Cosa accomuna il convegno a cura di Piergiorgio Giacchè, il “Teatro della Critica” (il Funaro e ATP, Pistoia, 14 e 15 novembre) con il Premio Ubu 2015 alla regia, a Massimiliano Civica per Alcesti e i circa venti corsi teatrali, per non professionisti organizzati dal Funaro, a cui partecipano più o meno 350 persone, ogni anno? Nonostante questa rubrica si intitoli “Effetti personali” e sia compilata (raramente, dice giustamente Simone Pacini) seguendo come unica direttrice il mio personalissimo e momentaneo estro, no, non sono io il filo pur rosso (i capelli non mentono) che tiene insieme le tre questioni, anche se tutte e tre mi vedono coinvolta.

Alcesti (foto Duccio Burberi)
Alcesti (foto Duccio Burberi)

Il filo, anzi la fune a cui stanno attaccate le tre boe è la capacità di posizionare il fuoco sulla relazione, ricordando di tenere il braciere acceso e lo sguardo fisso sulle fiamme. Con meno enfasi: ricordare che il teatro nasce avendo come centro la relazione e che muore se la si perde di vista, anche quando il carburante monetario, ovvero i finanziamenti ci sono (la crisi esiste ma non può essere un capro espiatorio). “Relazione” viene da “riferire”: si può riferire a sé stessi? Alcuni lo fanno anche a teatro ma sarebbe il luogo meno indicato perché si è sempre almeno in due: chi fa e chi guarda. La prima relazione è fra attore e spettatore, poi c’è quella fra regista e attore, quella fra spettatore e spettatore, quella fra critico, spettatore e attore/regista (ma anche “il critico come garante della relazione fra spettatore e artista”, ha detto Massimiliano Civica a Pistoia). C’è anche la relazione fra coloro che lavorano dietro le quinte: non sono pochi e non possono produrre molto se non esiste una stretta (e possibilmente non forzata) vicinanza. “L’unione fa la forza” vale qui più che in altri mestieri, per via di quell’artigianalità e quella dimensione nomade che sono caratteristiche fondanti di questo territorio produttivo.  Relazione è, non ultima, quella di una struttura teatrale col suo pubblico. Insomma: il teatro è una comunità e crea comunità quando mantiene fede al patto originario. Ce lo dimentichiamo, non accade a tutti, non accade sempre ma si può perdere di vista il tutto per il particolare di una routine infelice. Le ristrettezze e la mortificazione di un contesto monco o deforme, di certo non comodo possono essere uno stimolo per la creatività, come la storia dell’arte ci racconta ma anche uno straordinario solletico per la miseria umana, la disperazione e il narcisismo che, come si sa, non favoriscono affatto la relazione né tantomeno l’arte (che è per sua definizione generosa).

Cosa fare? Bah, cadrebbe anche un funambolo, alla ricerca di questo equilibrio, è vero però sarebbe già buona prassi concentrarsi su ciò che funziona oltre che sulla lamentela, la giusta rivendicazione di quanto è dovuto.  E a teatro la radice profonda, il senso primo e ultimo di quello che si sta facendo, lo straordinario uovo di Colombo è la relazione. Le tre esperienze sopra hanno avuto il vantaggio di tenere fede al principio. Non sono le prime né le ultime ma le ho vissute in prima persona e sono quindi esempi che posso portare.

il Teatro della Critica (foto di Filippo Basetti)
il Teatro della Critica (foto di Filippo Basetti)

Il convegno “Il Teatro della critica” a cura di Piergiorgio Giacchè e con lui relatori conduttori Rodolfo Sacchettini, Massimiliano Barbini e relatori ospiti Consuelo Battiston&Gianni Farina, Alfonso Berardinelli, Massimiliano Civica, Lorenzo Donati, Goffredo Fofi, Vittorio Giacopini, Daniele Giglioli, Nicola Lagioia, Sandro Lombardi, Claudio Morganti, Silvia Pasello, Attilio Scarpellini, Nicola Villa è stato ideato dal Funaro con l’unico scopo di crescere come promotore teatrale e come promotore in relazione alla propria comunità. Con “comunità” si intende il pubblico – fetta di una provincia di circa 90.000 abitanti – ma anche Associazione Teatrale Pistoiese, che col Funaro ha promosso le due giornate e tutti coloro che da fuori Pistoia, dalla Toscana e da altre regioni si muovono, sempre più spesso, per seguire la ricca attività teatrale della città. Il focus sulla relazione ha prodotto un convegno con contributi significativi e un’ampia partecipazione anche di non addetti ai lavori, oltre che un buon riscontro da parte della stampa locale (fatto non scontato trattandosi in fin dei conti di un argomento specialistico). Questo “successo” deve essere in parte dovuto ad un impianto non accademico e trasversale (il tema era l’atteggiamento critico ancora prima che la critica come mestiere e la critica teatrale) e questo perché una proposta altamente qualificata e slegata da qualunque opportunità è, non tanto per assurdo, uno spazio di riflessione più vicino alle persone, meno tecnico, più filosofico e quindi più percepibile come di tutti.

I venti corsi “non professionali” del Funaro che sarebbe più corretto definire “per tutti” (per alcuni sono il primo capitolo di un mestiere), iniziati nel 2003, prima che il Funaro avesse la sede che ha ora, sono il cuore dell’attività del Centro e non nel senso che sono la finalità progettuale che lo anima ma poiché senza il dialogo più che decennale, con tutte quelle persone il Funaro non avrebbe neanche la forma architettonica che ha, forse (arrivando si resta subito colpiti dalla dimensione di accoglienza, da spazi pensati perché le persone passino lì del tempo) e non avrebbe il successo che ha avuto presentando anche progetti apparentemente non di largo richiamo. Le circa 350 persone iscritte animano il centro tutta la settimana e sono le stesse che vengono a vedere gli spettacoli di Peter Brook, della compagnia libanese che presenta uno spettacolo senza attori in scena, il convegno sul senso del fare critica, il “Cinetandem”, il “Leggiamo poi si vedrà” o uno dei tanti progetti per il territorio. Pistoia non è Milano, questo è evidente e non solo perché ci sono meno abitanti, eppure gli appuntamenti proposti sono sempre molto frequentati. Perché? Per lo stesso motivo per cui si va al cinema, a vedere un film di cui non si sa nulla, con un amico: ci si fida di lui e se il film sarà una delusione sarà comunque bello parlarne. Il Funaro è un teatro amico, il suo successo sta nel dialogo perché le singole scelte invece, si azzeccano e si sbagliano come ovunque, nel mondo.

Il Funaro (foto Schinco)
Il Funaro (foto Schinco)

“Alcesti” ha appena vinto il Premio Ubu 2015 come migliore regia: il titolo è chiaro e uninominale e va a Massimiliano Civica, ciò nonostante il regista ha pubblicamente condiviso il merito della vittoria con tutte le persone della compagnia, comparto non artistico incluso. Ha iniziato a parlare, dal palco del Piccolo Teatro specificando che lì con lui c’erano amici oltre che professionisti e la dichiarazione è stata commovente però la relazione che si è creata fra noi non era duratura nelle premesse, in altre parole poteva non tradursi in un’amicizia ma sarebbe comunque stata tutelata, valorizzata dalla maniera di lavorare di Civica che è infatti un professionista lungimirante oltre che un artista. Ogni passaggio di questo spettacolo (prodotto da Pontedera Teatro e Atto Due) che ha visto in scena Daria Deflorian, Monica Demuru, Monica Piseddu e Silvia Franco, con i costumi Daniela Salernitano, le maschere Andrea Cavarra e le luci di luci Gianni Staropoli ha ricevuto la necessaria cura, ogni persona era una persona che svolgeva un’attività e non l’attività stessa. Impostare la costruzione di un lavoro in questo modo è strategico oltre che a misura d’uomo e se anche non ci fossero stati premi a certificarlo ci sarebbero stati un pubblico grato e il sostegno di una stampa attenta, presente e curiosa. In “Alcesti”, tragedia a lieto o almeno ambiguo fine, che narra di un amore –  il sacrificio di una donna per il proprio uomo, che si conclude, nella versione di Civica con “Henna”, di Lucio Dalla e le parole “Vedi io credo che l’amore è l’amore che ci salverà” – è stato uno spettacolo dall’impianto progettuale fortemente orientato verso il consolidamento (o rinnovamento) del patto col pubblico. Quasi un mese di repliche, per venti persone alla volta e un unico luogo (il Semitottagono dell’ex carcere delle Murate, a Firenze) in cui poter assistere a questo spettacolo. Nessun elitarismo, solo un invito: il Teatro è un rito, non un passatempo da incastrare nell’agenda delle incombenze e divertimenti settimanali. Chi vuol partecipare sottoscrive un piccolo patto, prende parte ad un gioco collettivo di cui rispettare le regole e che richiede tempo: è l’unica strada per portarsi a casa qualcosa (ammesso e non concesso che lo spettacolo sia di valore). Una provocazione? Una vanteria? No, solo rispetto del pubblico e di quello che si stava facendo.

Inaugurazione del Funaro (foto Francesca Pagliai)
Inaugurazione del Funaro (foto Francesca Pagliai)

Accade un fatto straordinario quando si ha la lucidità, la tenacia, il coraggio o l’incoscienza di svincolarsi dall’utilità avendo come unica direttrice la ricerca di un senso: dieci casi su dieci si ha anche successo. Non per forza “di critica e di pubblico” ma di sicuro è accaduto qualcosa e ci sono testimoni che avranno voglia di raccontarlo. Il resto è vapore, molto vapore per nulla, diceva qualcuno.

Il teatro italiano è fatto anche di tante esperienze sane e sensate, che vanno frequentate il più possibile, al motto di “chi c’è c’è, chi non c’è si arrangi”. Il binario su cui stare è quello della relazione, tutto il resto sono camicie di forza travestite da abbracci.

È facile averlo chiaro quando le cose vanno bene, lo so ma è per questo che va fissato, per ritirare fuori il promemoria nei momenti di magra.


 

IL TEATRO DELLA CRITICA
Convegno a cura di Piergiorgio Giacchè
Relatori ospiti Consuelo Battiston&Gianni Farina, Alfonso Berardinelli, Massimiliano Civica, Lorenzo Donati, Goffredo Fofi, Vittorio Giacopini, Daniele Giglioli, Nicola Lagioia, Sandro Lombardi, Claudio Morganti, Silvia Pasello, Attilio Scarpellini, Nicola Villa. Ospite: Walter Siti
Relatori conduttori Piergiorgio Giacchè, Rodolfo Sacchettini, Massimiliano Barbini
Media Partner Radio 3
La sintesi di Giulia Bravi e Lorenzo Donati, de IL TEATRO DELLA CRITICA


dal 30 settembre al 26 ottobre 2014
Semiottagono del complesso dell’ex carcere delle Murate,  Firenze

Compagnia Massimiliano Civica
ALCESTI
di Euripide
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Daria Deflorian, Monica Demuru, Monica Piseddu
e con Silvia Franco
costumi Daniela Salernitano
maschere Andrea Cavarra
luci Gianni Staropoli
traduzione e adattamento Massimiliano Civica
una produzione Fondazione Pontedera Teatro e Atto Due
in collaborazione con il Comune di Firenze e con Rialto Sant’Ambrogio di Roma
e Parco Tecnologico “Le Murate” – Centro Servizi, Comune di Firenze – Direzione Cultura, Turismo e Sport
con il riconoscimento di MIBACT – Ministero dei Beni e delle attività Culturali e del Turismo – Direzione Generale Spettacolo dal Vivo e di Regione Toscana.

La rassegna stampa di Alcesti


I laboratori di teatro per tutti del Funaro

Il video del laboratorio coi Blind Summit

Elisa Sirianni

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marzo, 2024

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