Il teatro di Deepan Sivaraman. Dal caldo di Delhi un report sull’ultima creazione dell’artista indiano: la sua visione dell’Ubu Roi di Alfred Jarry

di Claudia Roselli

Deepan Sivaraman, regista e scenografo indiano, è nato in Kerala ma da diversi anni vive a Londra, dove insegna al Wimbledon College of Art, la stessa Università dove ha conseguito il suo titolo di dottorato con una ricerca sulle diverse identità spaziali ed il linguaggio visuale nel teatro indiano. Deepan ha prodotto diversi spettacoli mescolando conoscenze, metodologie e strumenti appartenenti all’arte visuale: inventando ed assemblando oggetti scenici dall’impatto visivo molto forte e proiettando anche video. Candidato a sette categorie dell’India’s Mahindra Excellence in Theatre Awards 2010, è risultato vincente di tre titoli tra i quali migliore regia, miglior coreografia e miglior scenografia, con lo spettacolo Spinal Cord inspirato al racconto di Gabriel Garcia Marquez, Cronaca di una morte annunciata.

photo Claudia Roselli

Dal 14 al 21 di Maggio alla National School of Drama di Delhi ha presentato un’interpretazione unica dell’Ubu Re, messa in scena dagli studenti dell’ultimo anno della scuola. Nella suggestiva ambientazione open air di uno dei cortili interni della scuola, lo spettacolo è stato allestito all’interno di un un rettangolo pavimentato, delimitato da alte reti di filo spinato, all’interno del quale poligono erano sistemate sui lati lunghi, delle panchine metalliche usate dal pubblico come sedute. Lo spazio scenico cosi costruito alludeva ad un’area soggetta ad un forte potere di controllo: una prigione, il confine tra un paese ed un altro, una terra sotto regime dittatoriale. Gli attori e gli oggetti scenici, compresa la macchina decervellatrice, facevano irruzione nella scena entrando ed uscendo da due cancellate di ferro e da due passaggi collocati rispettivamente sui lati lunghi della struttura e su i suoi lati corti. La singolarità dello spettacolo, oltre al fatto di essere completamente interpretato ed attualizzato seguendo la cultura e la politica indiana, è stato anche quella di essere caratterizzato da un forte dinamismo che lo ha percorso per tutta la sua durata. Ubu Re, Madre Ubu, Bordure, i contadini, il principe Bugrelao e tutti gli altri personaggi si muovono nella piattaforma scenica illuminati non soltanto da luci artificiali ma anche tra le fiamme alte di fuochi, motociclette cavalcate da guardie del regime e fantastiche macchine composte da marchingegni componibili.

photo Claudia Roselli

Claudia Roselli: Deepan, vorrei farti delle domande su Ubu Re. Mi ha colpito molto la forte impronta indiana visuale del tuo lavoro. Nei costumi, negli oggetti e nelle atmosfere. Qual’è’ il legame che hai con l’India, con la tua terra di origine?
Deepan Sivaraman: Per quel che riguarda il testo, è stato interamente ri-arrangiato sulla realtà indiana contemporanea. E’ molto lontano dal testo originale di Jarry. Non ci sono riferimenti a questo o quel politico particolare, quanto piuttosto alle dinamiche di potere che si verificano molto spesso anche oggi, in molti stati diversi dell’India. Il mio Ubu Re rappresenta il “tiranno”, l’uomo di potere. Tutto il materiale usato per costruire gli oggetti scenici è materiale riciclato. L’intera performance ha avuto un costo molto basso: 13.000 rp. Non è il denaro che mantiene vivo il teatro, è l’immaginazione che lo nutre. Senza immaginazione il teatro morirebbe.

CR: Qual’è, il significato politico della tua reinterpretazione del tuo Ubu Re oggi in India?
DS: E’ un lavoro che si è concentrato sulla contemporaneità indiana, avendo come figure di riferimento i despoti che non moriranno mai. Si pensi a Stalin, a Hitler ed alle dinamiche di potere che figure del genere riescono a costruirsi intorno. La struttura entro la quale si svolgono le azioni simboleggia il confine del reame di Ubu, entro il quale il dittatore assoggetta i suoi sudditi, in una dinamica di perversione e dominio. Ho pensato a chi potesse essere oggi Ubu Re in India: l’intero paese è percorso da battaglie di ogni tipo: corruzione, opposizioni politiche, lotte contro multinazionali che tentano di accaparrarsi la terra dei contadini. Insomma l’India coglie in molti suoi aspetti perfettamente il carattere di Ubu. Come in tutto il mio teatro, anche in questo ultimo lavoro ho cercato di sfidare il pubblico. Il mio teatro non è una forma di intrattenimento, è un teatro politico. Un modo per provocare la società: i performer cercano il coinvolgono del pubblico nelle loro azioni. Ma quello che ho notato è che purtroppo sembra che a volte, come nelle dittature o nei sistemi politici molto forti, essi stessi ne rimangano vittime. Come se ci fosse una sorta di compiacimento nell’essere torturati. Sei italiana: come mai i cittadini italiani hanno continuato a votare Berlusconi nonostante i suoi errori? In India lo scorso mese, le guardie del governo bengalese hanno ucciso un professore. Il mio testo sottintende a tutte queste cose, anche se non in maniera diretta. Non c’è’ nessuna vicenda particolare ma ce ne sono tante. Si il testo è completamente ridotto e semplificato per essere compreso profondamente anche nella cultura indiana. La rivolta dei contadini si trasforma in questo spettacolo nella lotta dei tribali contro certi governi locali o contro il potere distruttivo delle multinazionali. Si il teatro non può forse cambiare l’intera realtà politica ma può comunque modificare l’atteggiamento di individui i quali a loro volta hanno la forza e la capacità di influire e permeare nelle trasformazioni culturali.

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CR: Ho letto nel tuo curriculum che avevi già messo in scena un Ubu Re nel 1997. Era molto diverso da questo? In che cosa è cambiato?
DS: Nel 1997 ero da poco uscito dal mio master di studi e lo spettacolo era di un regista finlandese: Maya Tombek. Ho conosciuto il testo in quell’anno, ma in quell’occasione ho disegnato solo i costumi per gli attori.

CR: E la musica? E’ molto bello l’ingresso della banda dal vivo ed anche i suoni registrati. Che importanza ha la musica nel tuo lavoro? Che pezzi sono quelli usati nella performance?
DS: La musica, come i pupazzi, gli oggetti di scena, ma anche il testo sono tutti elementi ugualmente importanti per l’intera costruzione della performance. La musica originale è stata composta da Sunil Kumar PK, un compositore di musicaa tempo pieno per cinema e teatro.

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CR: Come anche in Spinal Cord, utilizzi le motociclette, le macchine sceniche in movimento, le carrucole ed il fuoco. Perchè? E’ una grande occasione che regala lo spazio aperto.
DS: Si, lo spazio così com’è’ pensato: open air è un’unica opportunità, in quanto spazio vuoto. E’ una specie di spazio fluido: le persone possono correre, muoversi, percorrere lo spazio, attraversarlo. Poi è necessario inserire qualcosa di meccanico, che implementi l’idea di movimento e poi, non solo questo, ma anche mutuare elementi dal teatro tradizionale. Hai presente Ramlila? Sono forme di teatro tradizionale molto popolari: i performer hanno sempre in mano torce di fuoco e l’atmosfera è sempre molto intensa. Per esempio in alcuni casi ci sono anche elefanti in scena. Ho ricercato molto nella narrativa tradizionale del teatro indiano. Si, mi piace molto ricercare elementi che rendano più interessante e densa la narrativa visuale. In una sorta di ricerca del rituale: una narrativa visuale e ritualistica. Anche in Spinal Cord, il pubblico era seduto intorno alla scena, non sempre potendone cogliere tutti gli aspetti. Ma il mio interesse è quello di creare uno spazio interattivo. Il pubblico non è solo pubblico, è come se vivesse un’altra esperienza, come quella di essere rinchiuso in campo di concentramento, in una galera, sotto il dominio di Ubu, senza nessuna libertà. Gli spettatori stanno in un certo senso traendo piacere dalla loro mancanza di libertà, un ragazzo mi ha raccontato di aver percepito nell’atteggiamento del pubblico, una sorta di compiacimento nell’assenza di libertà.

CR: Nelle dittature spesso non c’è’ nessuna altra scelta.
DS: No la sensazione è che a loro piaccia. Si divertono. A volte le persone vogliono essere costrette. Esistono in India leader politici molto violenti che sono tra quelli più popolari dell’intero paese. Perché? Le persone hanno pianto quando Hitler è morto, quando Stalin è morto, quando Saddam Hussein è morto, anche se erano stati dominati da loro. Questa è la dimostrazione che esiste una parte di umanità che desidera essere sottomessa.

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CR: Comunque solitamente per una parte di popolazione che si dispera ce né un’altra parte che gioisce per la liberazione.
DS: Claudia tu sei italiana perché gli italiani sceglievano Berlusconi? Non avevano scelta? Berlusconi anche era una sorta di Ubu. Tutti sanno dei suoi abusi di potere.

CR: Adesso le cose sono cambiate.
DS: No, Berlusconi è ancora popolare. Perché? Ho visto ragazzine con magliette con stampato “ I love Berlusconi” perché? Le persone nella storia possono scegliere, possono decidere. Il problema è nel cervello delle persone. Hitler non chiedeva che le strade fossero lavate prima del suo passaggio, la gente accorreva per strada e preparava la strada per il suo arrivo. Si c’è sempre una parte di manipolazione nelle dittature,  a volte però non si tratta di manipolazione quanto piuttosto di corruzione morale. La realtà è che a volte le persone si violentano da sole. Alla fine dello spettacolo, Ubu chiede al pubblico che gli venga scattata una foto: dopo quasi due ore di dimostrazione di totale deprivazione della libertà, dopo aver ucciso così tante persone, dopo aver maltrattano contadini e obbligato una donna a non avere figli. Sorprendetemente il pubblico ha sempre scattato la foto. Si può sempre scappare dai regimi totalitari: ogni persona è libera di fuggire altrove. Può anche suicidarsi per scappare. La dittatura non morirà mai. Un tiranno se ne va ed un altro tiranno appare in un altro paese. Il regime non morirà mai.

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CR: La struttura scenografica è inspirata ad un campo di concentramento?
DS: No, non ad un campo di concentramento, più a Guantanamo Bay, in America. Un sistema di controllo: Ubu può fare ciò che vuole, può abusare, può creare politiche, può decidere chi ha il diritto di parlare e chi no. Poi chiede al pubblico un cerino per accendere le torce.

CR: Perchè hai scelto queste macchine sceniche in movimento, le carrucole ed il fuoco?
DS: Considero lo spazio come un ambiente. Le macchine e l’uomo in che relaione stanno? Le macchine non recitano: funzionano continuamente. Danno un ruolo diverso allo spettacolo. I loro rumori. Sono più amichevoli con il popolo dello stesso Ubu, non chiedono loro niente, non li obbligano. Le motociclette muovono oggetti, hanno la capacità di muovere oggetti. Un’automobile è troppo ingombrante e la bicicletta non ha la stessa forza, è solo questa la ragione per la quale ho scelto le motociclette: per la loro forza. Il fuoco è presente per il suo potere evocativo. Le torce sono molto potenti, il fuoco ha diverse capacità evocative rispetto alla luce elettrica, anche a livello simbolico.

 

CR: Deepan sono un architetto. Ho notato come l’alternanza di luce elettrica e fiamme delle torce siano stati capaci di creare un ritmo nell’intero spettacolo. Non soltanto condizionato dai suoni ma anche dalle ombre.
DS: Effettivamente c’era un problema con la proiezione delle ombre sulle pareti degli edifici intorno.

CR: No, quando ho visto lo spettacolo, invece non l’ho percepito come un problema ma piuttosto come un altro livello di interazione dato dai movimenti, dalle ombre e dal dinamismo visuale: oltre le linee di confine del reame di Ubu, oltre il filo spinato.
Quanto è durato il tempo di preparazione dell’idea dello spettacolo?
DS: Un anno di preparazione per l’idea ed un mese e mezzo di giorni di prove.

CR: Quali sono i tuoi prossimi progetti?
DS: Il prossimo progetto è quello di un’esposizione degli oggetti di scena che potranno anche essere messi in vendita in una galleria d’arte in Kerala. La scenografia che diventa come un oggetto artistico. In questo caso gli oggetti sono stati realizzati da Anto George, abbiamo una collaborazione aperta.

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CR: Questo spettacolo non sarà ripresentato?
DS: Per questa performance decide la National School of Drama. Io probabilmente presenterò i miei due precedenti spettacoli: Spinal Cord and Peer Gynt in alcuni festival di teatro in India ed in Iran, in Russia ed in Georgia. Poi forse l’idea di cominciare una nuova produzione con un regista russo molto anziano.

CR: Caro Deepan, grazie e buon lavoro!

UBU ROI
regia Deepan Sivaraman
visto a Delhi (India), National School Of Drama – Bahawalpur House il 17 maggio 2012

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