Metti una sera fra una birra e un Otello #tourneedabar

E finalmente è partita, ieri sera, al Bar Doria di Milano questa #tourneedabar #03, che vede Davide Lorenzo Palla ‘one man show’ ad imbonire un pubblico – di giovani, per lo più: quello degli happy hours – tutt’altro che avvezzo a quel teatro istituzionale, che forse gli sa di stantio.

Ma Davide crede nel teatro e nella sua bellezza, potenzialità, evocatività e portata. Ed è, Davide – classe 1981 – non molto più ‘agé’ di loro. Così l’idea – già tre stagioni fa -: una sorta di ‘se Maometto non va alla montagna…’, che gli accende il guizzo di andare lui da quei ragazzi, che passano le serate nei vari locali milanesi – forse un po’ perdendosi quella chance in più che è la proposta teatrale. E lo fa con garbo: prima con spettacoli decisamente più vicini alla satira e alla ‘realtà’; ed ora – che le ossa se l’è un po’ fatte -, la scommessa è quella di portare niente di meno che Shakespeare, riuscendolo a raccontare con lo stesso piglio e passione con cui si i suoi coetanei chiacchierano, ai tavoli, a proposito della trama dell’ultimo film al cinema o delle vicende di amici o colleghi di lavoro. Scommessa vinta: almeno a giudicare dalla prima…

foto Fabrizio Fortini
foto Fabrizio Fortini

C’era un sacco di gente, ieri – accomodati sulle sedie appositamente messe a disposizione, ma anche assiepati ai bordi del palco, a terra ed ovunque ci fosse uno spazio possibile. Pochi i visi ‘noti’ – qualche collega o amico attore, certo; ma poi: tantissimo pubblico. Ed è per questi che Davide ha rievocato la trama dell’ “Otello” – sì, la storia più o meno la conosciamo tutti; ma, in effetti, chi ne ricorda il preciso intreccio, i sordidi moventi, le complicate macchinazioni? “Ma un grande non smette mai d’insegnarci qualcosa”, lo ricordavano, proprio ieri, in un altra conferenza/presentazione meneghina, quasi che ci fosse questa precisa coscienza collettiva, ieri, a levitare nell’aria di una metropoli troppo spesso disegnata solo come una ‘macchina per far soldi’.

Ma non solo questo: l’operazione di Palla non è stata mossa solo da un intento divulgativo – in fondo: quanti l’avrebbero, l’urgenza di rispolverare una simile storia? No, l’intento di Davide è stato quello di avvicinare, chi già non lo fosse, alla bellezza della narrazione, alla coralità della dimensione dell’ascolto, alla paradigmalità di quei prototipi narrativi che, nel mentre sembrano raccontare di eventi lontani – nello spazio, nel tempo… nella specificità di vicende personali e private -, di fatto acchiappano il fil rouge, che scorre trasversale nelle vite di ognuno, svettando fino al plateau dell’universale: ed è lì che ci ritroviamo tutti. Del resto: come non vedere la scottante attualità del femminicidio, pur trasfigurato dalla poetica di Shakespeare, o l’eterna questione della verità, dell’essere, dell’apparire e di chi ci sia realmente amico e chi, invece, ci trafigga col suo ostentato esserlo? Ha saputo farlo da grande mattatore, Palla: shakerando evocazione fantastica – “Non abbiamo i mezzi, in quest’epoca di crisi, ma la fantasia non manca. Immaginate di essere a teatro…”, ha esordito con l’affabulazione ammaliante di un ipnotico Mangiafuoco – e pragmatica ironia contro la necrotizzazione di certe istituzioni – quel ‘megadirettore teatrale’, a cui ha inizialmente alluso… -, fedeltà testuale, licenza gigionesca e poetica scientificità metateatrale – “Seguiamo la diagonale… a teatro il regista insegna che c’è sempre una diagonale da seguire…”. E poi si è soffermato a svelare i retroscena del dietro-le-quinte – forse davvero quel che il pubblico vuol sapere, per guardare al teatro in modo proiettivo ed empatico, anziché come ad un mastodontico meccanismo asfittico, i cui portenti hanno smesso di stupire -: dai cambi scena, alla pulsione viva e vitale delle maestranze – anonime: ma che pure fanno il teatro… -, fino alla prosaica vivacità di sigarette furtive fumate dagli attori, fra una scena e l’altra. Senz’enfasi: intercalandolo, semplicemente, a quell’appassionato e roccambolesco racconto, registicamente scandito in due tempi: la narrazione – avvincente – del ‘one man show’ – scoppiettante, divertente, secondo un modello (iper)realistico di sfondamento della quarta parete: alla ricerca di una complicità col pubblico –, da una parte, e, poi, una sorta di ‘ a parte’ – insufflati in un microfono dedicato: quasi a sottolineare la differente temperatura di quel che si andava recitando -, a cui Palla ha affidato il riadattamento degli snodi drammaturgici salienti: quasi tutti monologhi, in cui i personaggi principali – Desdemona, Otello, Iago – si raccontano/riflettono fra sé, in una sorta di funzione di ‘coro’.

Un animale da palcoscenico, Davide – e, con lui, il polistrumentista Tiziano Cannas – capace di avvincere il pubblico: e ‘quel’ tipo di pubblico. Cioè, un pubblico non ‘addomesticato’, oltre che in un contesto ‘non espressamente dedicato’ – quindi, non tutelato, ad esempio, dal religioso silenzio che dovrebbe vigere a teatro e che certo concilia la disposizione all’ascolto, agevolando l’attenzione… Ma, se vogliamo – e per paradosso – è esattamente questo, il tipo di pubblico – variegato e potenzialmente discostante -, a cui era avvezzo rivolgersi il Bardo nelle sue pièce – dalla lunghezza estenuante, anche perché costrette alla ripetizione e all’interpolazione di siparietti, a vantaggio di un pubblico ‘libero’. Così fa anche Palla: funambolico, ammaliante, performativo in un’operazione di pedagogia drammaturgica e giocosa divulgazione culturale, che, del resto, lo ha ripagato: accompagnandolo a questa sfida che a tutti i crismi – ed i prodromi – della felice riuscita.

La #tourneedabar prosegue fino all’8 giugno, qui il programma dettagliato.

Francesca Romana Lino

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marzo, 2024

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