Luna Cenere: la ricerca, il corpo e la nudità. Intervista

Con questo pezzo ho deciso di riaprire un archivio di interviste rimaste nel buio per motivazioni legate al tempo o alla contingenza. Incontri fatti con performer, dal vero, subito dopo aver assistito ai loro spettacoli che si sono poi completati con successivi dialoghi-interviste fatti di persona o come questo, nato al tempo del COVID-19 attraverso un’incredibile chiacchierata su una delle tante piattaforme online diventate luoghi di incontro virtuale.

A Marzo 2020, all’interno di INVITO DI SOSTA XII, Danza Contemporanea ad Arezzo, è stata invitata Luna Cenere a presentare una versione ridotta del solo “Kokoro”, al quale assolo ha seguito un’incontro del pubblico con l’artista, durante il quale sono state fatte domande sullo spettacolo. Ho pensato per la seconda volta di voler intervistare Luna, la prima volta era stato a Kilowatt Festival 2018. L’intervista che segue si è svolta pochi giorni fa.

Claudia Roselli: Luna ti ringrazio per aver accettato la mia proposta e di condividere del tempo insieme per questa intervista. Ti chiedo perciò di cominciare a raccontarci la tua storia di educazione e formazione come artista.

Luna Cenere: Io sono danzatrice, giovane autrice, nata a Napoli e cresciuta a Napoli. Ho iniziato la mia prima formazione in questa città, in una scuola privata seguendo diversi insegnanti. Ho cominciato subito con la danza contemporanea, anche se in seguito ho integrato il mio studio con la danza classica fin dai primi anni di formazione. Ed in realtà anche adesso continuo a prendere lezioni di classico, perché (ride) fanno molto bene alla salute! (Ridono) Poi dipende dall’insegnante, ma quello lo scegliamo. Parallelamente ai miei studi di danza, che secondo le convezioni tradizionali sono cominciati molto tardi, ovvero a sedici anni, studiavo. Ho fatto l’università: Sociologia con indirizzo Antropologico. Quindi chiaramente, la Sociologia, l’Antropologia, le materie umanistiche sono materie che mi interessano. Non mi sono laureata, perché ho finito di studiare all’Accademia di Danza a Napoli e mi sono presa quello che potrebbe essere definito un anno sabbatico: avevo finito tutti gli esami, ma non la tesi. Ho cominciato a fare audizioni e seminari, a Napoli ed in altre città per continuare a formarmi. Ho passato delle audizioni ed ho scelto di andare a studiare in Austria. In un’Accademia che si chiama SEAD: Salzburg Experimental Academy of Dance, una scuola internazionale che si trova appunto a Salisburgo. Una domanda che mi viene fatta spesso è: perché te ne sei andata? Penso che questo abbia a che fare con il percorso personale, ed il motivo principale credo che sia che c’erano informazioni, delle quali avevo fame, che non potevo ricevere in Italia; quindi ho deciso di andare a studiare all’estero. La scuola in Austria dura quattro anni, io li ho seguiti tutti e sono stati degli anni bellissimi, al termine dei quali mi sono trasferita in Belgio, a Bruxelles. Lì c’e’ stato un periodo di grande transizione, perché in Accademia ho raccolto tantissime informazioni; le ho prese tutte, senza giudicare, perché come studentessa ero nella posizione di ricevere. Ho fatto tesoro un po’ di tutto, sino a che negli anni seguenti, mi sono chiesta dove volevo posizionarmi, che cosa volevo fare, dove mi vedevo io come danzatrice, cosa sentivo vicino e cosa mi poteva rispecchiare. Ho sempre cercato di capire io chi fossi e dove fossi e tutt’ora questa è una domanda viva dentro me. Si può dire che a quel punto io ho iniziato la mia ricerca, non solo come interprete ma come autrice. Quindi riuscire a studiare movimento ed a studiare le soluzioni dell’improvvisazione. Anche come interprete c’era sempre una partitura da seguire, ma ho sempre amato quei lavori che all’interno della stessa mi lasciavano libera di seguire il momento e di stare in ascolto piuttosto che averne una fissata rigidamente. Personalmente soffro dentro le partiture troppo fisse e quindi dall’altra parte mi appassiono di più in un lavoro dove il coreografo mi mette in una condizione di lavorare di improvvisazione e quindi di essere creativa, in modo costante, non soltanto nel momento del processo creativo. Quando ero in Belgio ho cominciato a lavorare con qualche compagnia, come free lance e tra queste una compagnia in Spagna e poi a viaggiare. In quello stesso anno sono andata a visitare la Biennale di Venezia, che in quell’anno era diretta da Virgilio Sieni. Mi sono molto stupita della qualità di quella Biennale, io che viaggiavo e vedevo Festival, in Austria, Spagna, Belgio, non mi aspettavo di trovare una Biennale così bella a Venezia.

Immagine 1:MondayDance_LunaCenere_ph Federica Capo

Claudia Roselli: Che anno era?

Luna Cenere: Non mi ricordo esattamente se fosse il 2016 o il 2015. Lì poi c’e’ stato anche l’incontro con Virgilio Sieni. Io non conoscevo il suo lavoro, perché avendo studiato all’estero mi sono persa molto di quello che accadeva in quegli anni in Italia. Un pò perché avevo sviluppato, lo ammetto, un atteggiamento esterofilo; mi riconoscevo di più nel lavoro di artisti non italiani, che chiaramente è anche diverso da paese a paese. Perché ogni paese ha la propria cultura e perciò anche la propria cultura per la danza. In quell’età, non mi sentivo vicina a quello che avevo lasciato in Italia.

Claudia Roselli: Napoli poi non è Firenze, ed è possibile che nella tua formazione artistica tu fossi più concentrata nella sfera della tua città e della tua regione, dove comunque arrivavano sicuramente delle cose però..
Luna Cenere:
.. Però molto poco rispetto a quello che arrivava al Nord Italia, ma si può dire che all’oggi siamo ancora a questo punto qui. Non è cambiato molto. Sia per quanto riguarda gli spettacoli che arrivano, che per quanto riguarda la formazione. Al Nord Italia è stato fatto un progresso, rispetto alla formazione, ci sono molti più danzatori professionisti al Nord che al Sud. Ci sono anche qui, però non è la stessa cosa. Mi sento di dire questo anche se dal mio punto di vista, è una considerazione molto triste. Non trovo giusto, che il mio stesso destino, di persona che deve sradicarsi ed andare fuori a studiare lo debbano, nel 2020, affrontare altri giovani. Spero che le cose cambino quanto prima possibile.

Claudia Roselli: Hai parlato di Virgilio Sieni, il quale a Firenze, dirige dal 2003 Cango Cantieri Goldonetta Firenze, Centro Nazionale di produzione per la danza ed ha fondato, in seguito, La Scuola sul Gesto e il Paesaggio. Nel 2013 Chevalier de l’ordres des arts et de lettres dal Ministro della cultura francese. Non è proprio una personalità facilmente replicabile.
Luna Cenere:
Bè, certo l’azione di Virgilio Sieni sul territorio è enorme e passerà alla storia. Perché è quel tipo di organizzazione, che funziona grazie a persone invitate da fuori che vengono per fare formazione: questo è importante e questo lui lo fa. Anche il Festival è strutturato così. Gli riconosco un grandissimo lavoro. Ed è per questo che dopo che l’ho conosciuto, mi ci sono avvicinata sempre di più, ho lavorato con lui, è nato un bel rapporto. “Kokoro” è stato un lavoro sostenuto da Virgilio e se non fosse stato per lui, e per la compagnia Körper di Napoli che lo ha prodotto, sarebbe stato molto più difficile portarlo a termine. Già così ci sono voluti due anni per terminarlo. E’ stato un momento molto bello. Prima c’e’ stato tanto lavoro, personale, durante il quale ho capito, che quello era il lavoro che io volevo portare a termine, di pari passo, con il mio lavoro di interprete. Era un’esigenza forte quella che sentivo ed è stato importante vedere che questa esigenza forte veniva riconosciuta anche da fuori e veniva riconosciuto anche il valore del mio lavoro. Perché per me che ne sono l’autrice tutto ha un valore, ma probabilmente molto personale. Quando poi vedi che questo valore, viene riconosciuto da fuori e sei cosciente di quello che è accaduto, le cose cambiano, fino a quel momento lì ha soltanto un valore personale.

Luna Cenere – KOKORO [ph Federica Capo]
Claudia Roselli: “Kokoro”: puoi narrarci il significato di questa parola e dirci se la tua creazione è nata partendo da questa parola o se, invece, il titolo è venuto dopo? Ero presente durante l’artist talk al Teatro Mecenate ed ho sentito il tuo racconto sulla genesi creativa dello spettacolo a Bruxelles.
Luna Cenere: Intanto ti dico che la parola “Kokoro” è un ideogramma giapponese che noi traduciamo come mente-cuore, ma che in realtà in Giapponese significa essere interiore. E’ un’unione, tra la parte razionale e la parte emozionale. La capacità di essere centrati e di manifestarsi come un unico. E’ una parola che spesso viene utilizzata anche nei percorsi di pratica buddista, nei percorsi di meditazione, ed è capitata davanti ai miei occhi quando ero in Belgio. Quello è stato per me un periodo di transizione forte, come ti ho già detto: dopo la fine della mia formazione, tutto quello che mi ero lasciata alle spalle in Italia; ero un pò in crisi. Sia dal punto di vista lavorativo, dal punto di vista professionale, dal punto di vista emotivo; quindi cercavo di affrontare e di capire: dov’ero e dove volevo andare e quindi ho iniziato a mettere in crisi una serie di concetti binari. Cosa vuol dire bene? Cosa vuol dire male? Sono concetti così relativi. Mi sono anche domandata cose è un lieto fine, se una fine non c’e’? Nella nostra vita noi attraversiamo tantissime fasi, ci trasformiamo sempre, ma quando è che qualcosa finisce e qualcosa comincia? E’ difficile riuscirlo ad identificare, a meno che non siamo noi in ascolto e sentiamo che qualcosa dentro di noi in un momento specifico sta cambiando, e quindi ho iniziato ad immaginare, qualcosa che fosse un unico, qualcosa che fosse circolare che fosse un percorso che non finisce mai nella vita; nella trasformazione che durante la nostra vita noi attraversiamo continuamente. Ero a Bruxelles, per un caso fortuito, una mia amica lasciò a casa mia, “L’attore Invisibile” di Yosho Oida e Lorna Marshall. Questo libro è diventato un testo sacro per me. Un manuale di riflessione costante. E’ un manuale bellissimo e consiglio a tutti di leggerlo, anche se purtroppo è uscito fuori stampa. Spero che tornerà presto fruibile in Italia: è incredibile ed io ne ho una copia in inglese. All’interno di questo testo mi comparve il concetto “Kokoro”. Fu per me una rivelazione.

Claudia Roselli: Yosho Oida ha scritto di “Kokoro”?
Luna Cenere:
Si. Lui ad un certo punto racconta che cos’è e perché è una pratica.
Considerato che per me la danza è una pratica ma spesso è anche una forma di meditazione: perché devo perdermi, devo ritrovarmi, devo concentrarmi, osservo la mia mente, osservo il mio corpo, sento tante cose, quindi per me – sopratutto quando sono dentro un’improvvisazione – è una pratica meditativa. Perché apre tutti i tuoi canali, finché non riconosci qualcosa. Allora la segni, la riconosci e ti dici: “Okay oggi sono arrivata qui”. Quindi il percorso di “Kokoro” è proprio iniziato come una pratica. Ho individuato dove ero e non dove volevo andare, ma il flusso nel quale stavo viaggiando: eliminare il dualismo, eliminare il concetto di bene male, di bello brutto ed anche lavorare nel mio corpo in questa direzione, quindi accettare tutto quello che io in quel momento potevo portare come esperienza. Scoprire come potevo trasformare questo corpo perché potessi assumere forme, che si facessero spazio, ma che non raccontassero di me. Dove, sono io, che racconto, però sono sempre io che sparisco.
C’e’ una storia molto bella, che condivide Yosho Oida nel suo libro ed è la descrizione della storia di due attori: uno dei due attori è molto bravo tecnicamente, punta la luna e tu guardi il suo dito, perché lo fa con una tecnica molto precisa nel puntare il dito. E c’è l’attore, attore, che indica la luna e tu, tu vedi la luna. Tu alzi lo sguardo per cercare la luna. A me questa metafora è rimasta così impressa, che io volevo che il mio corpo fosse questo. Vorrei che il mio corpo in scena fosse in grado di mostrare altro e quindi che diventasse spazio vuoto. Anche se io sto raccontando la mia storia, anche se nello spettacolo si svela che c’è una storia di amore che io sto raccontando o comunque un aspetto sentimentale forte. Nel modo nel quale lo racconto, io vorrei che diventasse quasi universale, che non raccontasse di me, ma che diventasse un essere, un corpo che attraversa tanti stati fino al punto tale che sembra diventare umano, ma che poi diventa qualcosa di altro ancora, e che lascia in scena un vuoto. Perché ogni vuoto si riempie sempre di qualcosa e di qualcun altro. Se io guardo uno spazio vuoto, io lo sto riempiendo con il mio sguardo, con il mio pensiero. Se io perdo una persona, se qualcosa viene a mancare nella mia vita, inevitabilmente io quel vuoto lo riempirò di me: di un qualcosa che riguarda me o di un qualcosa di nuovo. Lo spettacolo è tutto questo, che è un pò la sintesi di quello che mi attraversava, nel periodo nel quale ho creato “Kokoro”.

Claudia Roselli: Tu stavi pensando a “Kokoro” quando hai iniziato il tuo lavoro?

Luna Cenere: Io avevo scritto cosa stavo ricercando, quindi avevo già scritto il primo dossier, ma non avevo un titolo. Nel mio dossier preparatorio, c’era scritta la mia intenzione di eliminare il dualismo, dell’essere unico. Quindi in realtà quando mi è apparsa la parola “Kokoro” per me quella era una risposta. Quello doveva essere il titolo. E’ stato definitivo.

Claudia Roselli: Come spesso accade nel momento di creazione, sono arrivati contemporaneamente.

Luna Cenere: Quando mi sono messa in sala prove, aveva il titolo, nella prima residenza. Perché, la mia prima sala prove a Bruxelles era un garage, che non ti dico: condizioni nella quali i poveri disgraziati devono allenarsi. Non ti dico.
(Ridono)

Claudia Roselli: Ne so qualcosa.

Luna Cenere: A volte quando mi dicono: “Non posso andare a provare perché non ho la sala!”. Ora al tempo del Corona Virus: sono tutti nei terrazzi, nelle case ed ecco le pratiche quando non ci sono le sale. Quando ero a Bruxelles, ho terminato mettendo il titolo su questo dossier e l’ho inviato per la prima residenza a Napoli. Quindi da lì poi, è avvenuto anche il mio riavvicinamento alla città, ci sono voluti quattro anni, prima che io mi ri-trasferissi, a Napoli da quella prima residenza.

Claudia Roselli: E’ stato tutto abbastanza lungo?
Luna Cenere:
Si

Claudia Roselli: So cosa vuol dire.
Luna Cenere:
Ma io non volevo tornare.
( Ridono )

Claudia Roselli: In questo momento comunque è impossibile pianificare spostamenti, trasferimenti, viaggi. Un’altra domanda su “Kokoro” riguarda la musica: hai usato gli stessi suoni fin dall’inizio oppure a che punto del lavoro sono arrivati e che valore hanno avuto per te, come artista ed anche per la ricerca che stavi conducendo i suoni che hai inserito?
Luna Cenere: La prima residenza di “Kokoro” si è conclusa con una restituzione pubblica, nelle quale le musiche erano tutt’altre. In realtà in tutta la prima parte io non ero completamente nuda, avevo dei leggings attillati. Torniamo alla musica, nella prima residenza, io avevo presentato un piccolissimo estratto dove ero completamente in silenzio. Questa proposta fu ricevuta in maniera molto strana. E’ raro lavorare in silenzio assoluto, qua in Italia, è come se non ci fosse l’abitudine. Nel contesto dove mi trovavo era molto strano, poi ho cominciato ad usare la colonna sonora di una musica di un film molto molto bello che si intitola “Only lovers left alive”. La usavo anche per provare, e poi alla fine, decisi di presentare il pezzo con questa musica. Nel percorso di creazione, al suo interno c’era un accenno, non ad una storia d’amore nello specifico, ma comunque di un’emotività che sta sul lato amoroso, e quindi “Only lovers left alive”, poteva essere di sostegno.

Claudia Roselli: Si ho visto delle immagini di questa fase iniziale: dei fuseaux azzurri.
Luna Cenere:
C’e’ un pò di mitologia nello spettacolo, penso che si evinca, che sono evocate alcune immagini: la sirena, la medusa, delle figure femminili mitologiche. All’inizio io pensavo che un costume potesse aiutarmi, invece, il corpo nudo lo rendeva perfettamente da solo. Ma questa è una scoperta che è arrivata nel corso della sua creazione.

Claudia Roselli: Non è detto che questo sia raggiungibile da tutti: il tuo corpo, i tuoi movimenti, rendono questo Luna. Non per tutti i corpi c’e’ la medesima possibilità di raggiungere gli stessi messaggi estetici e nel movimento. E’ la stessa similitudine che hai ricordato tu scritta da Yoshi Oida: alcuni attori non sanno farci vedere la luna, ma solo il loro dito e la direzione che stanno indicando ed ugualmente non tutti i corpi possono evocare le fattezze di questi animali.

Luna Cenere: Certo. Nella ricerca del movimento se all’inizio avevo bisogno di vestirmi per trasformarmi, ho raggiunto un punto dove ho sentito che il corpo si trasformava da solo, senza altri strumenti. Non c’era bisogno di travestimenti per veicolare il messaggio. Questo è stato durante la prima residenza. Poi ho cominciato a lavorare con una giovane compagnia di Spagna che si chiama Agitart Company, che attualmente organizza anche un Festival estivo a Figueras, che è la città di Dalì.

Claudia Roselli: Si conosco questa luogo, l’ho visitato.
Luna Cenere:
Proprio lì nel periodo nel quale lavoravo con loro, alle musiche dello spettacolo, stava anche lavorando un giovanissimo compositore di musica elettronica. A Figueras è nato questo incontro. Mi è piaciuto molto il suo modo di lavorare e di interpretare con la musica la coreografia e quindi mi sono chiesta, se avesse avuto voglia di cominciare un altro percorso. Ed effettivamente sono stata molto contenta quando mi ha detto che voleva sperimentare. Da lì è cominciato questo percorso di composizione, che poi è andato di pari passo. Nel senso che io componevo il movimento e gli mandavo i video. Abbiamo lavorato quasi per tutto il tempo distanti. Finché poi abbiamo fatto l’ultima residenza per chiudere il lavoro da Virgilio Sieni. Però per gran parte del processo creativo abbiamo lavorato a distanza. Ogni volta che ero sicura di una composizione, preparata usando un’altra musica – la quale però era solamente indicativa rispetto al tipo di ambiente – che volevo che si ricreasse, gliela inviavo come traccia per la quale creare la musica.

Claudia Roselli: Come facevi a spiegare la musica? Non è facile. Le emozioni, l’atmosfera che stavi cercando. Poi quando la musica tornava indietro, immagino che non fosse completamente rispondente a quello che avevi in mente, quindi, questa collaborazione è stata parte attiva del tuo processo creativo individuale?
Luna Cenere:
Sono stata molto fortunata. Gerard Valverde, il compositore, era molto disponibile. Quindi nonostante io dovessi ancora imparare in che termini comunicare con un musicista, perché non l’avevo mai fatto prima, trovare un vocabolario comune ha richiesto un certo tempo. Lui si è messo in gioco tanto, perché io andavo avanti con delle richieste quando sapevo esattamente cosa volevo. Cercavo perciò di essere quanto più chiara possibile e d’altra parte lui aveva un sentire molto particolare. Lui è entrato in perfetta sintonia con il lavoro. La prima cosa che mi mandava non era esattamente come doveva essere, perciò gli bocciavo dei suoni, piuttosto che degli altri, oppure gli spiegavo che ci voleva un pò più di ritmo o qualche suono in più. E’ una musica lavorata sul dettaglio. Siamo andati veramente sul minimo dettaglio, sul minutaggio. Io ho una partitura che è molto precisa, all’interno della quale improvviso, ma la partitura e le durate del mio viaggio dentro sono super precise, perché comunque molto legate al sonoro che insieme abbiamo costruito, quindi così come ho coreografato il corpo. Non dico che mi ha influenzato, però sicuramente quando danzo la musica mi influenza e perciò diciamo che è stato da ambo le parti. Non sento di essermi, per mia fortuna, mai dovuta accontentare. A volte capita, per necessità produttive, di tempo, ma questo è un progetto quasi del tutto auto finanziato. Per cui eravamo tutti e due dentro questa cosa, quasi completamente a spese nostre, poi alla fine io per fortuna, sono riuscita a pagarlo per questo lavoro, ma non era detto che sarebbe stato così. Quindi è stata proprio la voglia di collaborare e di venirci incontro tutti e due. E tutt’oggi quando ascolto quella musica mi emoziono sempre tanto e penso al grande percorso ed al grande lavoro che abbiamo fatto all’interno del processo. Io ho imparato tantissimo, veramente tanto

Luna Cenere – Kokoro [ph Andrea Macchia – Bolzano Danza 2018]
Claudia Roselli: Ancora un’altra domanda su “Kokoro”, oltre a queste immagini, di figure femminili e animali mitologiche, hai parlato di questo elemento non dualistico, comprende anche l’unione maschile-femminile?
Luna Cenere: In realtà l’unione maschile-femminile non è troppo presente nel lavoro. Piuttosto è più presente la voglia di, sopratutto all’inizio, far sparire l’elemento femminile, e quindi di non identificarmi subito in quanto donna in scena, ma essere più uno spazio aperto, nel quale il pubblico non sa cosa sta guardando. Forse sta guardando un animale, ma non lo identifica subito con un corpo maschile o femminile. Già dopo i primi dieci minuti è chiaro che quello che stiamo guardando è un corpo di donna, perché nel momento nel quale assumo la posizione orizzontale e non verticale, si svela.
Io volevo che questo spettacolo non fosse il solo della persona che lo danza: ovvero io. Questo spettacolo non riguarda me. Desideravo sparire e che uscisse fuori da me qualcos’altro.
“L’attore invisibile” è proprio questo, come ci racconta Yoshi Oida, è l’attore che si rende invisibile. E perciò poter vedere la luna e non guardare l’attore, è questo, l’attore invisibile.
Quindi il mio desiderio era quello di interpretare qualcosa che sono io, facendo però in modo che la mia identità sparisse, annullarmi, farmi veicolo. Parlare il meno possibile, raccontare il meno possibile; agire, ricreare delle immagini, ma all’interno delle quali le persone potessero fare il loro proprio viaggio. Tante volte le storie, sono molto diverse rispetto a quello che uno percepisce, io sono molto contenta quando questo accade, perché è esattamente quello che volevo. Nella parte finale, quella che non è stata presentata ad Arezzo, c’è un momento, nel quale si sente una voce fuoricampo, una voce di donna, che svela un accenno di storia che sto raccontando. Lì un pò si manifesta l’elemento maschile: oggetto d’amore, oggetto di desiderio, come l’altro elemento di una fiaba, perché è proprio come se io raccontassi una fiaba.

Claudia Roselli: Ho capito.

Luna Cenere: Mentre il dualismo del corpo è proprio rispetto al corpo animale, corpo mitologico ed il corpo di donna, é più riferito a questo il dualismo. Che è anche un dualismo di presenza – assenza. Sono presente ma posso diventare invisibile diventare qualcosa altro.

Claudia Roselli: Stai evocando presenze non immediatamente percepibili.
Luna Cenere:
La cosa dalla quale sono partita è stata l’osservazione del mio corpo. Io sono una donna dalle fattezze mediterranee. Ho constatato questo elemento e l’ho preso come parte del mio lavoro. Io se sono in piedi in scena, già comunico qualcosa. Ci sono delle informazioni che passano dal mio corpo ed è inevitabile che ognuno di noi le abbia. Sono già parte di quello che poi concettualmente è definito da Zoè. Il tuo corpo, i tuoi dati biologici, i tuoi dati biografici, sono scritti su di te.

Claudia Roselli: Per fortuna o sfortuna, ma è così : siamo frutto della nostra storia.
Luna Cenere:
Questo è un concetto forte politico e culturale.
  

Luna Cenere – Kokoro [ph Andrea Macchia – Festival Interplay 2018]
Claudia Roselli: Luna vuoi raccontare qualcosa del tuo nuovo progetto “Genealogia”: inspirazioni, titolo, modalità di composizione
Luna Cenere: Certo. “Kokoro” era un discorso personale anche se apriva un ventaglio di argomenti universali, questo lavoro nuovo è un progetto che avevo scritto, almeno un anno prima di diventare artista associata di “Oriente Occidente”. Ogni due anni, “Oriente Occidente”, sceglie due giovani artisti da sostenere e per il biennio 2019/2020 sono stata scelta io. Loro sostengono delle produzioni che l’artista vuole fare, chiaramente loro scelgono i progetti dell’artista oltre che l’artista stesso. Quindi significa incontrare il direttore, raccontargli il proprio punto di vista artistico, ed anche la ricerca che si sta facendo e poi – nel caso piacciano queste narrazioni – si può venir scelti per un biennio come artista associato. Che è una cosa bellissima, perché hai la possibilità di sperimentare con un sostegno che è quello di un festival, progetti che magari avresti difficoltà a portare avanti anche soltanto dal punto di vista economico ed organizzativo, perché il Festival comunque offre spazi, residenze, sostegni, eventualmente anche relazioni con altre realtà sia in Italia che fuori d’Italia. E’ un grandissimo dono quello che io ho ricevuto ed in occasione di questa offerta io ho pensato di metter in gioco questo progetto che avevo scritto, che aveva bisogno di un certo sostegno per essere realizzato. Perché è un lavoro corale, un progetto di ricerca. Come artisti associati, nella Biennalità, c’e’ la possibilità di creare due produzioni: una per ogni anno da presentare ad ogni nuova edizione del Festival. Io che conoscevo la portata del progetto che avevo scritto ed il tempo che immaginavo per poterlo realizzare ho deciso di non fare due debutti, ma di dedicare l’intera Biennalità ad un unico progetto. In concomitanza a questo c’e’ stato anche l’altra offerta del network Anticorpi XL e di ResiDanza XL, che è un altro premio a sostegno dei giovani autori, per il quale offrono dalle tre alle quattro residenze di creazione. E’stato chiaro per me, avendo questo ventaglio di possibilità, che era il momento di proporre questo progetto che ha visto anche la partecipazione di altri danzatori professionisti che sono: Lucas Delfino, Daria Menichetti, Ilaria Quaglia, Davide Tagliavini. Ho fatto delle audizioni tramite Oriente Occidente, tre giorni di laboratorio aperto. Su un centinaio di richieste che mi erano arrivate ho selezionato quindici persone, quindici professionisti. Bene o male, ci conoscevamo tutti. Sono state poche le persone che tramite curriculum o lettera motivazionale, io riuscivo ad immaginare per un lavoro del genere, oltre a quelli che già conoscevo. Avevo comunque bisogno di condividere del lavoro ed anche di vederli insieme per poter strutturare un gruppo. E’ stato bello perché è stato una sorta di ritrovo, non mi ricordo se per tre giorni o due; comunque io avevo lo script che ho subito condiviso con tutti, le mie note sul progetto con immagini che mi stavano nutrendo e mi nutrono tuttora. Per esempio le fotografie di Spencer Tunick ed Eveline Bencicova. Corpi coreografici con luce molto particolare, molto glaciale. Immagini surreali, surrealiste. Mi rendo conto che anche nel mio lavoro c’e’ un accenno al surrealismo: a corpi non identificati, capovolti, senza testa. Mi ritrovo molto in questo tipo di immagini, quindi quando trovo autori che lavorano in questa direzione e spesso sono fotografi me li segno sempre. Evelyne Bencicova ha fatto questo progetto fotografico che è diventato molto famoso: “Ecce Homo”. Nel quale si vedono corpi nudi, adagiati, in piedi, in movimento, acefali, in gesti quasi coreografici. Durante l’audizione, il gruppo si è formato da sé. Per me è stato molto chiaro, capire chi erano le persone che avrebbero partecipato al mio progetto. Non solo come postura, sono quattro performer molto intensi, ma anche per la loro generosità e il commitment artistico.

Claudia Roselli: Ho visto delle immagini con dei corpi nudi su una scogliera, sono foto dello spettacolo?


Luna Cenere: Sono delle foto scattate da un artista Brasiliano il cui nome d’arte è Vantees. Lui ci ha seguito durante il nostro processo di creazione ospitato dal Festival Armunia. Dopo lunghe giornate concentrati nel lavoro in sala, abbiamo pensato di portare i corpi fuori, nella natura; così siamo usciti a lavorare all’aperto e lui ci ha immortalati sulle scogliere.

Claudia Roselli: Questo progetto mi dicevi che coinvolge anche i cittadini comuni. Come, attraverso un bando di richiesta di partecipazione?

Luna Cenere: Si attraverso il bando, si fa richiesta di partecipazione. Io non faccio una selezione successiva, chi fa domanda può entrare nello spettacolo.

Claudia Roselli: Non c’è limite numerico?


Luna Cenere: C’è un limite che ho messo io di venti persone. Ma se mi arrivassero ventitré candidature, le accetterei tutte e ventitré lo stesso. Lo spettacolo è proprio immaginato per una moltitudine, perciò in realtà, più siamo e meglio è. Diventa sempre un percorso di comunità: lavorare con il corpo ci mette in discussione sotto tanti punti di vista. Non soltanto a livello personale, ma anche rispetto a dove nasce la nostra morale riguardo al concetto di corpo. Quindi poi ritorna il discorso delle dicotomie: cosa è bello e cosa è brutto, come mi vedo io rispetto a questa dicotomia, cosa è giusto e cosa ingiusto, e se mi lascio andare? E se mi trattengo? In che modo avvicino l’altro? Diventa un percorso che si fa insieme, perché è inevitabile che nel gruppo ci siano persone che hanno più difficoltà come persone che sono più disponibili, più aperte, persone che vengono da un background di danza, come persone che vengono da tutt’altro.

Claudia Roselli: Per “Genealogia” ti sei inspirata a qualche testo in particolare oltre alle immagini delle quali mi hai parlato? Di cosa parla “Genealogia” – se puoi descriverlo – ed anche se hai pensato lo spettacolo per presentarlo dentro un teatro o se sarà fruibile in altri luoghi?

Luna Cenere: Intanto “ Genealogia” come “ Kokoro “ ha un senso in quanto parola, la genesi del pensiero. Quindi in questo caso, la genesi del pensiero sul corpo, anche contestualizzato nel nostro tempo. E’ chiaro che noi pensiamo al corpo nel tempo nel quale viviamo, ma non solo al tempo, anche alla geografia, al luogo che noi viviamo. Mi sta venendo in mente tutto un discorso legato alla quarantena ed al corpo, ma lo lascio per un altro momento. Quindi “Genealogia”, implica tantissima discussione e non soltanto pratica. Prima di poter praticare c’e’ sempre bisogno di una riflessione, se poi la riflessione non ci coglie subito, arriva dopo. Però avere dei temi, sui quali riflettere, nel mentre che si pratica è necessario. Cosicché nel momento nel quale io sto praticando osservo, sotto un certo riflettore, una certa luce, quello che sto facendo, il tema diventa una guida. La parola guida non vuol dire che quello che ho scelto io, è stato dato, perché io devo dimostrare qualcosa durante il processo creativo. E’ una discussione aperta, ad un punto, ad una fine si arriva insieme: io ho una struttura coreografica, chiaro che è quasi il 15% anzi forse il 30% del lavoro che viene fatto durante il percorso creativo. Perché per arrivare a quella postura in scena, a quella disponibilità, a quell’ascolto di gruppo, c’è un lavoro creativo; perché come ti dicevo, la parola trasmissione in questo lavoro è molto importante. Perché c’e’una partitura, ma poi come ti ho spiegato, io lavoro con l’improvvisazione. I partecipanti hanno una partitura che è molto aperta, dentro la quale lavorano con la trasmissione del messaggio. Quindi se non c’e’ un ascolto, se non c’e’ un procedere insieme, cioè anche un accogliere difficoltà di chi ha difficoltà, non si procede. Il gruppo non procede, io non posso andare avanti nella ricerca che di solito dura dai dieci giorni alle due settimane se non si procede tutti quanti insieme. Io su questo sono molto ligia, nel senso che ci tengo davvero tanto che quello che va in scena sia la cosa meno importante, perché di fatto, quello più importante è il percorso fatto tutti quanti insieme, perché ci dobbiamo emozionare insieme, stiamo facendo teatro, stiamo facendo arte, e si, nel teatro nell’arte c’e’ tanto pensiero. Secondo me ci deve essere e bisogna fare un percorso insieme per mettere in discussione una serie di cose. Ho voglia, visto che sono una persona che si mette tanto in discussione, o per lo meno ci prova e se non vede qualcosa è ben felice se qualcuno gliela fa vedere. Sono felice quando delle persone insieme a me hanno voglia di mettersi in discussione su un tema, che poi alla fine ci riguarda tutti perché tutti noi siamo mente, ma siamo anche corpo, e non sappiamo mai dove finisce uno e comincia l’altro, come gestire sia l’uno che l’altro, se vanno gestiti.

Claudia Roselli: Lo spettacolo doveva andare in scena ad Oriente Occidente 2020? In che spazio?


Luna Cenere: Si, ed ancora non si sa se andrà in scena. E la domanda che mi hai fatto, su dove ho immaginato presentare lo spettacolo è molto pertinente perché io lavoro negli spazi non convenzionali e mi piace molto installare i corpi in spazi vivi che non siano solamente spazi teatrali. Lo stesso “Kokoro” ha viaggiato molto in spazi non convenzionali, perché secondo me il corpo ha questa grande potenza, di entrare in comunicazione con l’architettura in quanto architettura esso stesso e paesaggio esso stesso.

Claudia Roselli: Durante questi incontri infatti accadono delle cose.


Luna Cenere: Si certo, accadono delle cose. Delle cose anche molto belle, per cui io non penso che questo spettacolo sia necessariamente uno spettacolo di teatro, è chiaro che, come tutti gli spettacoli che vanno in site specific, andrà ripensato a seconda delle condizioni, perché diverso lavorare a teatro con delle luci, piuttosto che in un parco o in un museo.

Luna Cenere – Kokoro [ph Andrea Macchia]
Claudia Roselli: In questo lavoro hai sentito l’influenza di Virgilio Sieni, e tutto il suo progetto più recente con le persone comuni e gli abitanti dei luoghi?

Luna Cenere: Si certo questo è chiaro. Io quando ero in Accademia a Salisburgo, ma anche quando ero a Napoli, spesso ho insegnato ad amatori. Quando ero alla SEAD, tenevo proprio un corso serale per amatori, per avvicinarli alla danza contemporanea, alla floor work; quindi diciamo che mi è sempre piaciuto comunicare, portare e condividere. Però è chiaro che l’incontro con Virgilio Sieni mi ha aperto anche una finestra in questo mondo bellissimo degli amatori. Perché al di là dell’ottimo lavoro che fa Virgilio, da questo punto di vista c’e’ tanto da imparare. L’intensità che portano gli amatori in scena, la ragione che hanno per stare lì, a me affascina davvero tanto ed a volte non solo mi restituisce tanto del lavoro che faccio, ma mi affascina e me lo fa apprezzare ancora di più, a me che lo faccio tutti i giorni.
Quindi sicuramente con Virgilio, si è svegliato dentro di me questo desiderio. Poi fa parte anche del progetto, nel senso che “Genealogia” ha un senso, davanti alla molteplice diversità dei corpi. “Genealogia”, ha al suo interno tante ramificazioni, quindi all’interno del progetto sono nati tanti piccoli progetti a sé, che fanno tutti capo a “Genealogia”. C’e’ un quintetto di soli professionisti che è anche la matrice di ricerca di quello che è il linguaggio coreografico che poi viene condiviso con gli amatori. Questo quintetto, che vede anche me in scena, si chiama Zoé. Il quintetto anche doveva debuttare a Maggio 2020, ma chiaramente anche questo ora è rimandato a data da definire. Probabilmente 2021, perché penso che sia difficile che ciò accadrà prima. Questo quintetto è un pò la matrice del lavoro; un lavoro che ha come titolo, e come concept la diversità, la condivisione, non poteva non abbracciare la presenza dei cittadini; fare un percorso con tanti corpi, tante storie diverse, tante fattezze e pensieri diversi, ed essere in questo senso, aperto, quanto più possibile. Quindi si, c’era questo desiderio mio, che viene dal mio incontro con Virgilio. Ma d’altra parte, era già nel progetto stesso quando l’ho scritto.

Claudia Roselli: Quindi, anche qui, come per “Kokoro” è stata parallela la questione?
Luna Cenere:
Abbastanza parallela. Penso sia anche una questione molto personale di approccio al lavoro. Io mi vedo dentro un percorso, per cui, tutti gli elementi, vanno sempre a confluire dentro. Quindi come mi chiedevi prima anche il discorso sociologico, antropologico, è chiaro che se parliamo di corpo, di corpo contemporaneo; di cultura e di corpo che è dentro una cultura, dentro una società, inevitabilmente tutto può vertere verso un discorso di corpo politico. Sono molto presenti queste cose, così come anche il discorso antropologico è molto presente rispetto a come si è sviluppata l’immagine del corpo. Lavoro tanto anche con la fotografia. Quindi cerco anche di capire, come l’immagine del corpo, è cambiata storicamente. Il corpo è stato uno dei primi soggetti fotografati, uno dei primi oggetti fotografati ad uso di immagine. Come, c’è stato questo andare e venire dell’informazione rispetto alla fotografia: quello che noi pensiamo del corpo, e quello che noi pensiamo del corpo che rientra nella fotografia, e questo circolo continuo che a volte ha portato a degli ottimi risultati e che a volte ha portato…

Claudia Roselli: A volte ha portato a disastri socio-culturali

Luna Cenere: Quindi è chiaro che questo sguardo critico che viene sicuramente dal discorso, filosofico, sociologico, antropologico, se ho modo di accostarlo con dei testi che mi parlano in questo senso, a me interessa. Anche perché un lavoro che va in scena parla al pubblico, parla ai critici, parla a tutta la platea, quindi è chiaro che io cerco di essere il più informata possibile su quello che sto comunicando, su cosa voglio comunicare, cosa voglio che passi, e storicamente dove mi trovo. Anche rispetto alla nudità, quando ho cominciato a lavorare con il nudo, io mi sono detta che il nudo oggi, non è necessariamente osceno o di propaganda o che vuole passare un messaggio sessuale o di rivoluzione, non c’è nessuna rivoluzione più in questa cosa e se lo si fa è un pò fuori tempo.
Non è cosa ti metti addosso o cosa non ti metti addosso. Lì rientri di nuovo, in un discorso, su quale rivoluzione vuoi fare? Qui non c’e’ nessuna rivoluzione da fare, qui il discorso è concettuale, qui il discorso è il modo in cui uno lo fa e che cosa ti spinge a farlo, che non può essere lo stesso motivo degli anni sessanta, degli anni settanta, degli anni ottanta…

Claudia Roselli: Effettivamente abbiamo digerito.

Luna Cenere: Come lo usiamo questo corpo? Che cosa comunica? Quale dato, quale informazione in più noi ci diamo? Ancora più complesso dal punto di vista degli artisti, che sono secondo me chiamati a dare una lettura un pò oltre il mainstream. O almeno credo che ci proviamo. Che cosa vogliamo comunicare? Ed è per questo che per me la nudità è un ritorno a voler accettare quello che si è e non necessariamente voler essere qualcosa altro, che è il concetto di bello o brutto, il concetto di bellezza non soltanto riferito all’aspetto estetico. Perché si lavora sulla mente, ogni criterio estetico è legato ad un modo di pensarlo e secondo me, oggi, va un pò decostruito. A questo credo che risponda una ricerca basata su una pratica.

Claudia Roselli: Anche in “Genealogia” lavorate sempre nudi? Sei stata ispirata da Spencer Tunick ed Eveline Bencicova proprio per le immagini di corpi nudi?

Luna Cenere: Da “Kokoro” in poi io ho intrapreso una ricerca sul corpo nudo.

Luna Cenere – Kokoro [ph Andrea Macchia – Festival Interplay 2018]
Claudia Roselli: Quindi la tua ricerca ha preso questa direzione, attraverso questo mezzo, questa estetica e questa espressione concettuale che sono propri tuoi, in relazione a questa scelta dell’uso del corpo nudo.
Luna Cenere: Si. Non so se sarà per sempre, credo sia frutto di un processo nel quale sono io ora, ma non credo che sarà sempre così. Però sento che in questo momento è questo il linguaggio che mi chiama, è questa la postura che io assumo. Come in ogni processo creativo, un pò è una scelta, un pò è un’urgenza che razionalmente non mi riesce tanto spiegare. Ci sono tutte le spiegazioni razionali, ma allo stesso tempo c’e’ un’inspirazione altra che è nella tua testa, che è dove si posa il tuo sguardo e lo fa semplicemente senza che tu te ne accorga e questa è anche la cosa bella – in generale apro una parentesi – sulla nudità. Il modo in cui noi guardiamo il corpo nudo, ci racconta del modo nel quale noi guardiamo le cose. Ma faccio l’esempio del corpo nudo, perché è un esempio eclatante, è un esempio diretto, il modo nel quale io poggio il mio sguardo su un corpo, cosa vedo, quando è nudo, che comunque è una situazione particolare e ancora oggi resta, una situazione ed una condizione particolare del corpo. Forse racconta di più a me che lo guardo, come lo guardo, cosa sto osservando, che alla persona che è li’ e che è semplicemente lì, che si dona, si espone, si sta raccontando.

Claudia Roselli: Per arrivare a questa nudità non tutti sono pronti. Perché c’è un lavoro di abbandono, di distacco da tante cose, e sicuramente una persona che in quel momento sta attraversando questa condizione ha avuto almeno un approccio di preparazione a questo se non di istinto immediato.

Luna Cenere: C’e’ un enorme lavoro di presenza, perché si è vulnerabili ma allo stesso modo si è molto forti. Se è sostenuto da una forte presenza e da una forte consapevolezza, diventa potentissimo, e quindi c’e’ un lavoro dietro molto interiore.

Claudia Roselli: Anche i cittadini comuni che parteciperanno al tuo progetto immagini che saranno nudi?

Luna Cenere: Non lo immagino, accade già. Perché noi abbiamo fatto due residenze, con restituzione pubblica: una al Teatro Petrella di Longiano, dove c’erano venti persone in scena, ed un’altra a Civitanova, al Teatro Annibal Caro, dove c’erano dieci persone in scena ed erano tutti nudi o seminudi. A Civitanova Marche erano tutti nudi, a Longiano ancora qualcuno indossava delle mutande color carne, delle signore il reggiseno. Però, per esempio, ci sono state alcune persone che erano coperte a Longiano, che poi sono venute a continuare il loro percorso a Civitanova e si sono spogliate completamente. Quindi è un qualcosa che già accade, di riuscire a fare questo percorso, tutti quanti insieme. Il punto non è riuscire a far spogliare tutti.
(Ridono)

Claudia Roselli: Immagino che il punto non sia questo.

Luna Cenere: Perché io non voglio far spogliare nessuno. Il punto è che quando io faccio una call, chi risponde, inevitabilmente sta già cominciando un percorso, ancor prima di entrare in sala con me. Chi risponde in quel percorso c’e’ già: si va soltanto a lavorare insieme, a farsi delle domande, a capire il controllo e la propria consapevolezza nello spazio. Perché poi la nudità arriva e ci si libera anche di questo, però tutto il percorso che io faccio è di consapevolezza. Cioè dove sono nello spazio per poter lavorare con un corpo nudo. Io devo sapere anche in che prospettiva sono, rispetto al pubblico, rispetto alla luce, quindi necessariamente, quando lavoro con loro ho bisogno di un teatro che abbia almeno un semi allestimento, con qualche luce. In modo tale che loro possano fare esperienza, dello spazio, della luce, della prospettiva; oltre che quello che anche in sala potrebbero fare, il trasmettere un’informazione uno all’altro, lavorare con lo sguardo, mantenere lo sguardo aperto, comunicare, riuscire a selezionare, o comunque a fare propri dei gesti, che non siano delle pose, che non siano forme ma dei gesti veri e propri. Quindi capire la differenza in termini proprio di logica, di terminologia: che cose è uno e che cosa è l’altro. Ci sono tante tante fasi, che giorno dopo giorno io introduco.

Claudia Roselli: La musica in questo spettacolo c’e’? Usate la voce? C’è silenzio?
Luna Cenere:
E’ bello che tu mi chieda del silenzio perché io comunque resto affezionata al silenzio. Però in “Genealogia” la musica c’è. Attualmente sto lavorando con un compositore che vive a Napoli e si chiama Renato Grieco e stiamo lavorando ad un tappeto sonoro. La musica è musica elettronica e rispetto a “Kokoro” un pò meno descrittiva, un pò meno narrativa, sono più delle ambientazioni. Mentre sul lavoro di Zoé, ci sono dei momenti di silenzio. Ho lavorato alle musiche in parte con il compositore che ha fatto le musiche di “Kokoro” ed in parte usando delle musiche di un compositore che si chiama Mika Vaino e che purtroppo è venuto a mancare non molto tempo fa. E’ comunque musica elettronica alla quale io, resto affezionatissima.

Claudia Roselli: Puoi dirci qualcosa anche sui testi che ti stanno inspirando?


Luna Cenere: Per i testi di inspirazione in “Genelaogia”, io preferisco ancora non parlarne troppo. Ma sicuramente posso citarti: Jean-Luc Nancy in particolare il suo libro: “La pelle delle immagini”.

Claudia Roselli: Avrei ancora molte domande da farti, ma credo che per essere la prima intervista ci sia davvero tanto. Grazie ancora Luna, spero tu possa riprendere presto il tuo lavoro.

Luna Cenere: Grazie a te Claudia, è stato davvero un piacere! Spero che tutti potremo riprendere presto a lavorare. Rompere questa solitudine del corpo che inevitabilmente ci ha insegnato qualcosa e tornare a condividere le nostre esperienze insieme.

Articoli correlati

Condividi?

1 commento su “Luna Cenere: la ricerca, il corpo e la nudità. Intervista”

  1. Pingback: NOBODY NOBODY NOBODY. IT’S OK NOT TO BE OK/ KOKORO - La Falla

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Fatti di teatro - il podcast (ultimo episodio)

Vuoi ricevere "fattidinews" la newsletter mensile di fattiditeatro?

Lascia il tuo indirizzo email:

marzo, 2024

X